BENVENUTO



B E N V E N U T O !! Lo Spirito Santo illumini la tua mente, fortifichi la tua fede.


Padre Augusto Drago




Padre Augusto Drago è un religioso dei frati minori conventuali.  

Viene ordinato Sacerdote a Palermo, continua i suoi studi a Roma presso la Pontificia Università Lateranense e poi presso l'Istituto biblico dove studia scienze bibliche. 


Nel 1967, per obbedienza dei Superiori, giunge in Assisi, dove insegna Sacra Scrittura prima al chiericato francescano, poi all'Istituto Teologico di Assisi fino al 2002.
 

Fondatore di un istituto di suore francescane, Comunità Adveniat Santa Maria in Arce, esorcista e confessore presso la Basilica di San Francesco, ha seguito e segue molti giovani nel discernimento vocazionale.  


Noi abbiamo conosciuto questo sacerdote per grazia divina ed insieme a Lui abbiamo fatto un cammino di meditazione e di approfondimento sulla Parola di Dio, raccogliendo nel corso degli anni materiale utilissimo e validissimo che desideriamo mettere a disposizione di quanti vogliono camminare verso Dio alla luce della sua Parola e approfondire la propria fede. 


In questa sezione troverete articoli straordinariamente attuali e  ricchi di spiritualità, che potrete leggere, meditare, commentare arricchendovi per mezzo dello Spirito e dare anche a noi e a chi ci leggerà un ulteriore contributo
.

Grazie per la vostra collaborazione e amicizia.

Commento al vangelo di Luca 20,27-30

 
 
Gesù ha compiuto il suo viaggio, iniziato in 9, 51, verso Gerusalemme.
Il capitolo 19 ci descrive il suo solenne ingresso nella città santa e, possiamo intuirlo, cantando il Salmo 122, il Salmo dei pellegrini che giungono alla meta sospirata della santa Gerusalemme.
Ma la Gerusalemme che accoglie Gesù è piena di insidie e pericoli.
Egli compie il gesto della purificazione del tempio. Poi insegna nel Tempio stesso.
Capziosamente viene interrogato sul potere che Egli ha di fare tutto quello che ha fatto. Poi deve rintuzzare le sottili argomentazioni dei farisei.
Ed ecco ora gli si avvicinano i Sadducei. E' la prima volta che, nel Vangelo di Luca, appare questa classe di persone.
Chi erano i Sadducei? Erano una classe "privilegiata" di ricchi che, appoggiando il potere dei Romani, ricevevano da costoro privilegi e favori.
Il Sommo sacerdote era sempre un sadduceo, e molti sacerdoti che avevano delle particolari incombenze nel tempio, anch'essi erano Sadducei.
Dottrinalmente parlando, si distinguevano moltissimo dai Farisei.
Mentre infatti quest'ultimi erano molto vicini alla gente ed erano strenui difensori della Legge, i Sadducei al contrario, erano come gli epicurei della civiltà greca. Erano razionalisti, realisti, non credevano alla resurrezione dei morti, né agli angeli.
In quanto ai libri della Bibbia accettavano solo i primi cinque, vale a dire il Pentateuco (Genesi, Esodo; Levitico, Numeri, Deuteronomio).
Poiché in questi libri non si parla di resurrezione dei morti, essi non vi credevano affatto.
Non erano amati dal popolo dal quale si sentivano staccati: appartenevano all'alta aristocrazia del tempo. Distruggere l'idea della resurrezione dei morti, pare che fosse molto importante per loro.
Si presentano a Gesù cercando di capire che cosa ne pensasse Lui.
Intanto cominciano a portare il loro argomento: la resurrezione dei morti non può reggere davanti agli eventi reali della vita. E, come esempio, raccontano una storia, che ha anche del ridicolo, basandosi sulla legge del levirato (Deuteronomio 25,5). Secondo questa legge, se un uomo moriva senza lasciare figli, il fratello di costui doveva prendere in moglie quella del defunto per procurargli una posterità. In pratica il figlio che fosse nato, anche se generato
dal fratello, avrebbe preso il nome del defunto e così si assicurava la sua eredità e veniva salvaguardata la posterità.
Basandosi su questa legge, i Sadducei imbastiscono una caso che ha dell'incredibile.
Essi erano aggrappati alla logica che tutto lo scenario della vita si svolge su questa terra. Per questo diventa importante avere una posterità che abbia un nome ed un prestigio.
Sono persone che interpretavano la vita alla luce della Legge del levirato, sapendo poi conciliarla con le varie situazioni che si presentavano.
L'importante era che non si perdesse, nel buio della storia, la posterità, e che la ricchezza accumulata venisse non solo conservata, ma anche rafforzata ed accresciuta.
Aggrappati a questa logica, vedevano in maniera assurda, quanto goffa, l'idea della resurrezione: per essi contava la continuazione della vita terrena dentro le categorie del mondo reale. Mediante la discendenza, la ricchezza accumulata rimaneva sempre nell'ambito della famiglia.
Ecco, in fin dei conti, perché negavano la Resurrezione dei morti: non avevano il senso della vita eterna! Gesù infatti non risponde affatto alla loro provocazione.
Provoca a sua volta invece. Presenta subito una distinzione: ci sono i figli di questo mondo che prendono moglie e prendono marito, ma a fronte di loro ci sono, in perfetta contrapposizione, coloro che appartengono ad un mondo "altro": quello della vita futura e della Resurrezione dei morti.
Ecco posta allora la questione fondamentale che ci presenta la pagina evangelica.
Essa non è tanto quella di chiarirci il mistero della resurrezione dei morti, quanto invece di accogliere la novità radicale che Cristo, morto e risorto, vuole portare nella nostra vita.
Essa non si può esaurire in questa terra e nemmeno dentro una posterità. Tutto ha fine.
C'è invece un mondo "altro", dove chi entra fa parte della corte celeste come gli angeli. Dove non contano più le discendenze carnali, cose che appartengono alla visione del mondo e del suo scorrere nel tempo, ma il diventare "celesti" come "celeste" è il mondo dei Figli di Dio, chiamati anche, da Gesù, Figli della Resurrezione, perché partecipano alla Vita stessa di Dio.
Se non entriamo in questa novità, fratelli e sorelle, noi rischiamo di misurare tutta la nostra vita (e anche la morte), come i Sadducei, rimanendo ancorati alle nostre logiche terrene, mondane e "realistiche".
Rischiamo soprattutto di trasformare quel desiderio di eternità che il Signore ci ha messo dentro il cuore, in un mediocre istinto di sopravvivenza. Ma Gesù ci indica ben altre mete. Più alte, più vere, più sante.
A credere che, in fondo in fondo, la vita si misura solo sul presente, su quello che si vede, come facevano i Sadducei, allora il presente ci suggerisce che per sopravvivere, bisogna aprirsi a calcoli vantaggiosi e a compromessi mediocri.
Non così Gesù! Ben altro è l'ideale che Egli ci presenta.
Esso parte, sì da questo mondo, ma non si ferma ad esso.
Nella visione dei Sadducei e di non molti uomini di oggi, il domani, la vita futura, diventa una sorta di sopravvivenza di tutto quello che abbiamo posseduto, che ci siamo conquistati, che ci appartiene di diritto e nessuno ce lo può togliere.
La morte viene esorcizzata con il possedere sicurezze, ma non così per Gesù: Egli ci indica altre mete: fatte dal Suo amore per l'uomo.
Se non dovessimo darGli ascolto, come purtroppo avviene, la nostra fede correrebbe il rischio di diventare ridicola quanto l'esempio portato dai Sadducei, perché siamo noi che tendiamo a dare forma e contenuto a quella novità di vita che Gesù invece ci ha aperto per sola grazia e misericordia di Amore.
La prospettiva del mondo "altro": il mondo della vita! Della vera Vita.
Il mondo “altro” dove la Vita non può più morire.
Ed è talmente "altro" questo mondo di cui ci parla Gesù che gli uomini che vi abitano sono uguali agli angeli, figli di Dio e della Resurrezione.
Fratelli sorelle: siamo invitati dalla Parola di Gesù a vivere!
Invitati a concepire la vita come un cammino verso questa meta!
Noi infatti abbiamo un Dio amante della vita: è il Dio dei vivi!
Come potrebbe permettere mai che una creatura, come l'uomo, fatto ad immagine e somiglianza sua, possa essere lasciato al suo destino di morte e di perdita irreparabile?: No! Non può essere possibile!
Il nostro Dio, ci rivela Gesù, è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, del nostro Signore Gesù Cristo, è il Dio...e a questo punto ognuno può aggiungere il proprio nome.
Notate bene: non si tratta di dire " Io sono di Dio", ma al contrario: Dio di...E' Dio che si fa appartenere, si fa "catturare" per Amore.
Come è bello aggiungere allora anche il nostro nome alla sfilza dei nomi che Gesù richiama:
Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, Dio di...ognuno aggiunga il suo nome.
Egli si fa appartenere da me! Ed io Gli appartengo solo perché Lui mi dona la sua Vita, il mondo"altro" che i Sadducei e tutti gli uomini che concepiscono la vita come loro, non potranno mai comprendere. Questa è la Resurrezione dei morti!
Gesù non ci parla di come avverrà, o in che cosa consisterà: ci dice solo che è un mondo
"altro" da quello terreno: è il mondo dell'eternità. Il mondo della vita. "Credo....e aspetto laResurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà!". Così, fratelli e sorelle, celebriamo nel simbolo della nostra fede.
Ma io spesso mi chiedo quale incidenza reale abbia questa professione di fede circa la resurrezione e la vita del mondo che verrà, sul nostro abituale modo di concepire la vita?
Il tempo ci avvolge da tutte le parti! La temporalità che diviene mondanità, ci fa apparire come lontana la nostra professione di fede.
Eppure con forza oggi Gesù ci dice che siamo fatti per il mondo "altro", il mondo nuovo, preparato fin dall'eternità per gli eletti di Dio! Chi veramente pensa all'eternità? E' una domanda molto, ma molto seria! Amen............


 



Commento al Vangelo di Lc.  19, 1 - 10 Domenica 31ma del tempo ordinario Anno  C



Commento di Padre Augusto Drago,32ma domenica del T.O


Ciò che maggiormente mi colpisce e mi emoziona nella proclamazione della Parola di questa domenica, è una cosa in particolare. Come potrei chiamarla? La chiamerei così: "Il gioco degli sguardi".
Nella prima lettura, tolta dal libro della Sapienza ci viene detto: "Tu, Signore chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento." Nel racconto evangelico la storia di Zaccheo è tutta intessuta di sguardi. Per ben due volte si parla dello sguardo o del vedere di Zaccheo.
"Cercava di vedere Gesù!"...e per riuscire a vederlo, salì sull'albero di sicomoro...."
Ma Gesù invece di abbassare lo sguardo sul peccatore in attesa del suo pentimento, alza lo sguardo verso Zaccheo. C'è quasi come un circolo meraviglioso di sguardi.
Da parte di Dio/Gesù, prima di tutto.
Egli abbassa lo sguardo sul peccatore, poi alza lo sguardo sul peccatore medesimo.
Abbassare- alzare: un duplice movimento di amore che risponde ad un desiderio dell'uomo. Zaccheo infatti desidera vedere Gesù.
Cerca, lui piccolo di statura, sperduto tra la gente, di salire su un albero.
Tanto è il desiderio di vedere Gesù, che si espone perfino al ridicolo, lui ricco capo dei
pubblicani o "teloni". Che significa tutto questo? L'Amore che cerca l'Amore!
Ecco. Dio che cerca l'uomo per dirgli che lo ama. L'uomo, stanco del suo peccato, cerca la verità, e si sforza di trovarla. Ma Dio gli viene incontro, precedendolo con lo sguardo: alza il suo sguardo sul peccatore perché si plachi l'arsura della sua ricerca di verità. C'è dunque una grande festa di sguardi, dove le emozioni generate si incanalano per creare vita, là dove c'è desiderio di vita, sguardi che creano ed aprono prospettive nuove, esperienze cariche di risposte, cariche di "Sì" detti all'Amore cercato e ritrovato.
Sì, generosi e fecondi.
Potremmo dire: "Occhio a chi ha occhi per te!"
Dio ha occhi per me! Alleluia! La storia di Zaccheo è tutta quì.
Ma rimane sempre bello scendere in qualche particolare suggestivo.
Notiamo prima di tutto che, presso gli ebrei del tempo di Gesù, i banchetti serali avevano un'importanza grande. Erano considerati come il banchetto messianico del mondo futuro di cui già aveva parlato il profeta Isaia.
Riunire, pertanto, attorno alla mensa peccatori e giusti, era ritenuta una bestemmia contro la santità di Dio che li voleva separati. L'esclusione doveva costituire per i peccatori un perentorio richiamo alla conversione. Ed ecco che i giusti (farisei) amavano cenare tra loro invitandosi reciprocamente. Questa convinzione era condivisa da tutti in Israele.
Ciò spiega la sorpresa suscitata dallo "strano" comportamento di Gesù.
Nel brano di Luca chi cerca di vedere è un pubblicano ricco che si chiama Zaccheo.
Per una strana beffa del destino, il suo nome significa "giusto, puro".
Sappiamo che i pubblicani sono considerati da tutti, e con ragione, dei ladri.
Zaccheo non solo è pubblicano, ma addirittura capo dei pubblicani: alla lettera un
"super pubblicano". In quanto capo, si faceva pagare quel che oggi noi chiameremmo "pizzo" dagli altri pubblicani. Per questo era ricco. Notate l'ironia di Luca: ricco, ma piccolo di statura. Questa affermazione non è tanto per descriverci le fattezze esteriori di Zaccheo, quanto piuttosto per dirci che proprio perché era ricco era un uomo piccolo. E' l'immagine di come egli appare agli occhi di tutti. Uno sgorbio insignificante, un fastidioso puntino nero in una società immacolata. Era uno dei tanti esclusi dal banchetto dei "giusti".
Il Banchetto del Regno di Dio non era per uno come lui, Zaccheo aveva avuto tutto dalla vita!
Eppure era profondamente insoddisfatto. Da che cosa lo deduciamo?
Dal fatto che "cercava" qualche cosa che lo rendesse "uomo" nella pienezza della sua dignità.
Zaccheo era un uomo, che stanco di esistere senza valori, si mette a cercare.
Dove andare e che cosa cercare? La giustizia dei farisei?
No! Da essi si sentiva come un uomo senza possibilità di remissione.
Dagli scribi? Ma essi sapevano a memoria la Scrittura e la Legge e non gli avrebbero
consentito una conversione alla giustizia.
Aveva sentito parlare di Gesù.
Si era reso conto di come, in diverse occasioni, Gesù aveva bollato i farisei.
Forse sarà Lui, avrà pensato, a dirmi qualcosa di diverso?
Aveva partecipato a tanti banchetti, ancora andava alla ricerca del cibo che sazia!
Il bisogno che prova, si fa forte ed impellente. Per soddisfarlo è pronto a sopportare i lazzi più divertiti di una folla che non nutre simpatia per lui.
Vuole vedere Gesù: è Lui, pensa Zaccheo, il solo in grado di capire le sue angosce segrete e il suo dramma interiore. E, per poterlo vedere sale su un sicomoro.
Eccolo Zaccheo: l'immondo, il peccatore che tutti rifiutano.
Non gli interessa più di cosa pensi la gente di lui: vuole vedere Gesù.
Ha sentito parlare di Lui. Gli hanno raccontato che raccoglie attorno a sé peccatori e guarisce gli infermi. Conosce i giudizi pesanti che Egli ha dato nei confronti di scribi e di farisei.
Sa anche che è l'amico dei pubblicani e dei peccatori. Gli è stato riferito che Lui non è venuto a salvare i giusti ma i peccatori. Al ricordo di tutto questo il suo cuore si infiamma.
Avrà pensato: "ho trovato Colui che fa per me. Colui che può placare l'arsura del mio cuore, Colui che mi può colmare di Verità e di dignità".
Ed eccolo Gesù. Viene a Gerico, luogo di passaggio per andare a Gerusalemme.
L'occasione è più che propizia. E' l'ora! Non bisogna lasciarsela sfuggire!
In questa affannosa ricerca interviene la folla di coloro che accompagnavano Gesù.
Essa non favorisce l'incontro con il Maestro.
La folla che osanna Gesù, non ha capito che Egli è attratto dai peccatori e dai "piccoli", dagli emarginati, dagli impuri. Sono questi che Gesù cerca!
La folla ha un difetto di vista.
Zaccheo corre cercando di vedere, ma la gente gli fa da impedimento. Per questo ricorre a quel gesto ridicolo di salire su un albero, cercando di vedere Gesù.
Ma che succede? Qualcosa di assolutamente imprevedibile!
Quando Gesù passa nei pressi dell'albero, "alza lo sguardo e dice: Zaccheo, scendi subito, perché oggi io debbo entrare e fermarmi a casa tua!"
Nessuno della folla ha pronunciato questo nome, perché Zaccheo è l'impuro.
Solo Gesù lo chiama: Zaccheo-puro! Per Gesù egli è puro, è anch'egli un figlio di Abramo.
Dall'alto Zaccheo cercava di vedere Gesù, ma ora che dal basso, Gesù lo vede per primo, ha un sussulto nel cuore. Lo ha chiamato per nome!
Notate, fratelli e sorelle due cose:
"Oggi" dice Gesù. E' l'oggi, tanto usato da Luca, per indicare l'ora della salvezza.
Debbo entrare! Debbo! Gesù è come costretto dalla sua missione: Egli deve ubbidire alla Volontà del Padre. Deve compiere il suo Volere.
In quel "debbo" c'è non solo l'ubbidienza di Gesù al Padre, ma l'amore urgente di Gesù che lo costringe a compiere azioni assolutamente incomprensibili agli occhi di tutti. Lo sguardo limpido e puro di Gesù!
Come deve essere stato affascinante: chiaro di una chiarezza solare, illuminante più della luce del Sole.
In quello sguardo Zaccheo comprende subito chi è quell'uomo che tutti chiamano Gesù!
E' il Messia, il Salvatore, il portatore di salvezza!
Non c'è tempo da perdere. Occorre scendere subito per accoglierlo in casa.
E' veramente bello questo passaggio: non è il cercatore di verità che è accolto, ma è Gesù che vuole essere accolto!
La conversione è accogliere Gesù nella propria casa.
Il racconto si conclude con una cena. La corsa in avanti di Zaccheo, e i verbi di movimento (entrare, attraversare, correre, salire, scendere in fretta) caratterizzano la prima parte del racconto.
Ora è venuta la quieta pace gioiosa della cena: l'ora del vero banchetto messianico.
Osserviamo chi è dentro e chi è fuori. Chi fa festa e chi è triste.
Dentro, dovrebbero esserci i giusti, ed invece ci sono i peccatori e gli impuri.
Fuori dovrebbero esserci i peccatori ed invece ci sono i giusti. Le parti si sono invertire.
Così opera Gesù, così insegna, così fa comprendere che cosa è il Regno dei cieli.
La salvezza, tuttavia, non è avvenuta in modo automatico: Zaccheo capisce che è giunta l'ora della libertà e dell'offerta. E' stato liberato e salvato gratuitamente e si rende conto che esistono altre persone a cui rendere giustizia perché anch'esse entrino nel Regno.
Ma al tempo stesso capisce che il dono gratuito è stato immenso!
Ed immensa, oltre misura si fa la sua offerta e il suo risarcimento: va oltre quanto prescrive la legge.
Esattamente come la misericordia di Dio va sempre più oltre di quanto è possibile attendere.
E' qui che Zaccheo mostra la sua conversione: quando comincia a condividere e a donare oltre misura. Ha scoperto un amore grande e gratuito: essa è stata la luce che ha dissipato le tenebre che avvolgevano la sua vita.
Ha capito che solo l'Amore e il dono sono fonte di gioia! E noi, fratelli e sorelle lo abbiamo capito? Ma poi, siamo davvero convertiti?
Lo saremo solo quando saremo entrati nel raggio meraviglioso di quel gioco di sguardi che parlano al cuore e lo feriscono d'amore.





Commento al Vangelo di Lc.  18, 9 - 14  Domenica 30ma del tempo ordinario Anno C


di Padre Augusto Drago

Fratelli e sorelle, se vi ricordate, domenica scorsa Gesù ci aveva parlato della necessità di

pregare sempre senza stancarci mai!

Il brano si chiudeva poi con un inquietante interrogativo:

"Il Figlio dell'uomo, quando tornerà sulla terra, troverà ancora fede?"

La fede è come l'architrave della porta di ingresso nel Regno.

Gli stipiti che la sostengono sono la preghiera e l'umiltà. Senza la prima si muore di asfissia.

Senza la seconda si cresce nella presunzione.

Per questo, dopo aver dichiarato la neces

Può un ricco diventare testimone del Regno di Dio?

Domenica 32ma del Tempo Ordinario – Anno C


Dal vangelo secondo Lc 19,1-10


Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand'ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch'egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

Parola del Signore !

Enzo: Molto semplice questo brano a prima lettura: un pubblicano, il capo dei pubblicani, è impaziente di vedere, incontrare Gesù di cui aveva tanto sentire parlare. Semplice curiosità? C 'è qualcosa di più. Zaccheo “capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura!”

Luca ritorna su un argomento che gli sta particolarmente a cuore: Gesù è venuto per cercare e salvare i peccatori. Luca tiene anche conto della situazione della Chiesa del suo tempo: la maggioranza dei giudei persisteva nel rifiuto ostinato del messianismo attuato da Gesù in favore dei poveri e degli emarginati. E questo è il messaggio del brano di Vangelo di domenica prossima, valido anche per noi.
Oggi,  molti si allontanano dalla pratica religiosa, dall’osservanza della Parola, diventano peggiori degli stessi giudei del tempo di Luca, almeno loro le leggi le rispettavano: oggi con le parole accettiamo la Parola ma con i fatti la rinneghiamo, forse dando preferenza ad un messia del benessere a tutti i costi, all’edonismo, al tutto facile, al tutto possibile.

Zaccheo, superando l’ostacolo della sua statura, sale su una pianta per vedere, conoscere quel Gesù di cui tutti parlavano, supera la folla correndo per non perdere, forse ancora una volta, Gesù. Vedere Gesù, ma è Gesù a vedere lui, a parlare per primo: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Stupore, meraviglia, gioia inattesi: Zaccheo scende in fretta e accoglie Gesù che vuole essere suo ospite. Gesù si fa bisognoso per avere la possibilità di perdonare, Lui che conosce il cuore e la mente di Zaccheo, veramente anche il nostro cuore e la nostra mente se corriamo verso di Lui. Gesù sa accogliere tutti con bontà e delicatezza.

Zaccheo è la figura del peccatore convertito, attratto soltanto dallo sguardo e dalle poche parole di Gesù, peccatore pentito che subito capisce il suo peccatoe vuole correre ai ripari generosamente.
Zaccheo è anche la figura della potenza di Dio che sa trasformare un uomo facendogli cambiare vita.

Gesù accoglie Zaccheo prima della conversione.Non è la conversione che determina la simpatià di Gesù ma è l'amore di Gesù verso i peccatori che suscita la conversione. Zaccheo ha incontato, intravisto questo amore. Un esempio per chi ha cura delle anime: andare per le strade, suscitare incontri, annunciare, testimoniare l'Amore, non aspettare nel confessionale.
L’incontro con Dio è sempre, e allo stesso tempo, un dono e il compimento di una ricerca. L’incontro con Gesù cambia la vita.
Gesù premia la curiosità di Zaccheo, quella curiosità porta la salvezza: Oggi per questa casa è venuta la salvezza…

Il pubblicano Zaccheo è la figura del discepolo cristiano che non lascia tutto, come altri, ma rimane nella propria casa, continuando il proprio lavoro, testimone però di un nuovo modo di vivere: non più il guadagno al di sopra di tutto, ma la giustizia (“restituisco quattro volte tanto”) e la condivisione (“dò la metà dei miei beni ai poveri”). C’è il discepolo che lascia tutto per farsi annunciatore itinerante del Regno e c’è il discepolo che vive la medesima radicalità restando nel mondo a cui appartiene.
Infine Luca non si dimentica di ricordarci che anche questo gesto di misericordia ha suscitato scandalo: “Tutti mormoravano”. Come se il Regno fosse solo per i giusti! E invece è il contrario
L’incontro con Dio è sempre un dono e il compimento di una ricerca. L’incontro con Gesù cambia la vita.


Le parole rivolte a Zaccheo da Gesù sono rivolte anche ai presenti…. Sono rivolte a noi che ascoltiamo oggi la sua voce: Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch'egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”

Gesù entra in casa nostra, si autoinvita e siede a tavola con noi, fa comunione: il suo ingresso porta gioia, trasforma i cuori… rivoluziona la vita di chi l’accoglie… dà il potere di annunciarlo agli altri, a coloro che si contrappongono e giudicano la Parola.

Ha scritto don Primo Mazzolari commentando questo brano di vangelo:
«Io posso anche non vedere il Signore: lui mi vede sempre, non può non vedermi. Io posso scantonare, lui no. L'amore si ferma sempre e viene inchiodato dalla pietà. Io guardo e mi scandalizzo, guardo e giudico, guardo e condanno, guardo e tiro diritto: lui mi guarda, si ferma e si muove a pietà».





Ciò che maggiormente mi colpisce e mi emoziona nella proclamazione della Parola di questa domenica, è una cosa in particolare. Come potrei chiamarla? La chiamerei così: "Il gioco degli sguardi".
Nella prima lettura, tolta dal libro della Sapienza ci viene detto: "Tu, Signore chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento." Nel racconto evangelico la storia di Zaccheo è tutta intessuta di sguardi. Per ben due volte si parla dello sguardo o del vedere di Zaccheo.
"Cercava di vedere Gesù!"...e per riuscire a vederlo, salì sull'albero di sicomoro...."
Ma Gesù invece di abbassare lo sguardo sul peccatore in attesa del suo pentimento, alza lo sguardo verso Zaccheo. C'è quasi come un circolo meraviglioso di sguardi.
Da parte di Dio/Gesù, prima di tutto.
Egli abbassa lo sguardo sul peccatore, poi alza lo sguardo sul peccatore medesimo.
Abbassare- alzare: un duplice movimento di amore che risponde ad un desiderio dell'uomo. Zaccheo infatti desidera vedere Gesù.
Cerca, lui piccolo di statura, sperduto tra la gente, di salire su un albero.
Tanto è il desiderio di vedere Gesù, che si espone perfino al ridicolo, lui ricco capo dei
pubblicani o "teloni". Che significa tutto questo? L'Amore che cerca l'Amore!
Ecco. Dio che cerca l'uomo per dirgli che lo ama. L'uomo, stanco del suo peccato, cerca la verità, e si sforza di trovarla. Ma Dio gli viene incontro, precedendolo con lo sguardo: alza il suo sguardo sul peccatore perché si plachi l'arsura della sua ricerca di verità. C'è dunque una grande festa di sguardi, dove le emozioni generate si incanalano per creare vita, là dove c'è desiderio di vita, sguardi che creano ed aprono prospettive nuove, esperienze cariche di risposte, cariche di "Sì" detti all'Amore cercato e ritrovato.
Sì, generosi e fecondi.
Potremmo dire: "Occhio a chi ha occhi per te!"
Dio ha occhi per me! Alleluia! La storia di Zaccheo è tutta quì.
Ma rimane sempre bello scendere in qualche particolare suggestivo.
Notiamo prima di tutto che, presso gli ebrei del tempo di Gesù, i banchetti serali avevano un'importanza grande. Erano considerati come il banchetto messianico del mondo futuro di cui già aveva parlato il profeta Isaia.
Riunire, pertanto, attorno alla mensa peccatori e giusti, era ritenuta una bestemmia contro la santità di Dio che li voleva separati. L'esclusione doveva costituire per i peccatori un perentorio richiamo alla conversione. Ed ecco che i giusti (farisei) amavano cenare tra loro invitandosi reciprocamente. Questa convinzione era condivisa da tutti in Israele.
Ciò spiega la sorpresa suscitata dallo "strano" comportamento di Gesù.
Nel brano di Luca chi cerca di vedere è un pubblicano ricco che si chiama Zaccheo.
Per una strana beffa del destino, il suo nome significa "giusto, puro".
Sappiamo che i pubblicani sono considerati da tutti, e con ragione, dei ladri.
Zaccheo non solo è pubblicano, ma addirittura capo dei pubblicani: alla lettera un
"super pubblicano". In quanto capo, si faceva pagare quel che oggi noi chiameremmo "pizzo" dagli altri pubblicani. Per questo era ricco. Notate l'ironia di Luca: ricco, ma piccolo di statura. Questa affermazione non è tanto per descriverci le fattezze esteriori di Zaccheo, quanto piuttosto per dirci che proprio perché era ricco era un uomo piccolo. E' l'immagine di come egli appare agli occhi di tutti. Uno sgorbio insignificante, un fastidioso puntino nero in una società immacolata. Era uno dei tanti esclusi dal banchetto dei "giusti".
Il Banchetto del Regno di Dio non era per uno come lui, Zaccheo aveva avuto tutto dalla vita!
Eppure era profondamente insoddisfatto. Da che cosa lo deduciamo?
Dal fatto che "cercava" qualche cosa che lo rendesse "uomo" nella pienezza della sua dignità.
Zaccheo era un uomo, che stanco di esistere senza valori, si mette a cercare.
Dove andare e che cosa cercare? La giustizia dei farisei?
No! Da essi si sentiva come un uomo senza possibilità di remissione.
Dagli scribi? Ma essi sapevano a memoria la Scrittura e la Legge e non gli avrebbero
consentito una conversione alla giustizia.
Aveva sentito parlare di Gesù.
Si era reso conto di come, in diverse occasioni, Gesù aveva bollato i farisei.
Forse sarà Lui, avrà pensato, a dirmi qualcosa di diverso?
Aveva partecipato a tanti banchetti, ancora andava alla ricerca del cibo che sazia!
Il bisogno che prova, si fa forte ed impellente. Per soddisfarlo è pronto a sopportare i lazzi più divertiti di una folla che non nutre simpatia per lui.
Vuole vedere Gesù: è Lui, pensa Zaccheo, il solo in grado di capire le sue angosce segrete e il suo dramma interiore. E, per poterlo vedere sale su un sicomoro.
Eccolo Zaccheo: l'immondo, il peccatore che tutti rifiutano.
Non gli interessa più di cosa pensi la gente di lui: vuole vedere Gesù.
Ha sentito parlare di Lui. Gli hanno raccontato che raccoglie attorno a sé peccatori e guarisce gli infermi. Conosce i giudizi pesanti che Egli ha dato nei confronti di scribi e di farisei.
Sa anche che è l'amico dei pubblicani e dei peccatori. Gli è stato riferito che Lui non è venuto a salvare i giusti ma i peccatori. Al ricordo di tutto questo il suo cuore si infiamma.
Avrà pensato: "ho trovato Colui che fa per me. Colui che può placare l'arsura del mio cuore, Colui che mi può colmare di Verità e di dignità".
Ed eccolo Gesù. Viene a Gerico, luogo di passaggio per andare a Gerusalemme.
L'occasione è più che propizia. E' l'ora! Non bisogna lasciarsela sfuggire!
In questa affannosa ricerca interviene la folla di coloro che accompagnavano Gesù.
Essa non favorisce l'incontro con il Maestro.
La folla che osanna Gesù, non ha capito che Egli è attratto dai peccatori e dai "piccoli", dagli emarginati, dagli impuri. Sono questi che Gesù cerca!
La folla ha un difetto di vista.
Zaccheo corre cercando di vedere, ma la gente gli fa da impedimento. Per questo ricorre a quel gesto ridicolo di salire su un albero, cercando di vedere Gesù.
Ma che succede? Qualcosa di assolutamente imprevedibile!
Quando Gesù passa nei pressi dell'albero, "alza lo sguardo e dice: Zaccheo, scendi subito, perché oggi io debbo entrare e fermarmi a casa tua!"
Nessuno della folla ha pronunciato questo nome, perché Zaccheo è l'impuro.
Solo Gesù lo chiama: Zaccheo-puro! Per Gesù egli è puro, è anch'egli un figlio di Abramo.
Dall'alto Zaccheo cercava di vedere Gesù, ma ora che dal basso, Gesù lo vede per primo, ha un sussulto nel cuore. Lo ha chiamato per nome!
Notate, fratelli e sorelle due cose:
"Oggi" dice Gesù. E' l'oggi, tanto usato da Luca, per indicare l'ora della salvezza.
Debbo entrare! Debbo! Gesù è come costretto dalla sua missione: Egli deve ubbidire alla Volontà del Padre. Deve compiere il suo Volere.
In quel "debbo" c'è non solo l'ubbidienza di Gesù al Padre, ma l'amore urgente di Gesù che lo costringe a compiere azioni assolutamente incomprensibili agli occhi di tutti. Lo sguardo limpido e puro di Gesù!
Come deve essere stato affascinante: chiaro di una chiarezza solare, illuminante più della luce del Sole.
In quello sguardo Zaccheo comprende subito chi è quell'uomo che tutti chiamano Gesù!
E' il Messia, il Salvatore, il portatore di salvezza!
Non c'è tempo da perdere. Occorre scendere subito per accoglierlo in casa.
E' veramente bello questo passaggio: non è il cercatore di verità che è accolto, ma è Gesù che vuole essere accolto!
La conversione è accogliere Gesù nella propria casa.
Il racconto si conclude con una cena. La corsa in avanti di Zaccheo, e i verbi di movimento (entrare, attraversare, correre, salire, scendere in fretta) caratterizzano la prima parte del racconto.
Ora è venuta la quieta pace gioiosa della cena: l'ora del vero banchetto messianico.
Osserviamo chi è dentro e chi è fuori. Chi fa festa e chi è triste.
Dentro, dovrebbero esserci i giusti, ed invece ci sono i peccatori e gli impuri.
Fuori dovrebbero esserci i peccatori ed invece ci sono i giusti. Le parti si sono invertire.
Così opera Gesù, così insegna, così fa comprendere che cosa è il Regno dei cieli.
La salvezza, tuttavia, non è avvenuta in modo automatico: Zaccheo capisce che è giunta l'ora della libertà e dell'offerta. E' stato liberato e salvato gratuitamente e si rende conto che esistono altre persone a cui rendere giustizia perché anch'esse entrino nel Regno.
Ma al tempo stesso capisce che il dono gratuito è stato immenso!
Ed immensa, oltre misura si fa la sua offerta e il suo risarcimento: va oltre quanto prescrive la legge.
Esattamente come la misericordia di Dio va sempre più oltre di quanto è possibile attendere.
E' qui che Zaccheo mostra la sua conversione: quando comincia a condividere e a donare oltre misura. Ha scoperto un amore grande e gratuito: essa è stata la luce che ha dissipato le tenebre che avvolgevano la sua vita.
Ha capito che solo l'Amore e il dono sono fonte di gioia! E noi, fratelli e sorelle lo abbiamo capito? Ma poi, siamo davvero convertiti?
Lo saremo solo quando saremo entrati nel raggio meraviglioso di quel gioco di sguardi che parlano al cuore e lo feriscono d'amore.


sità della preghiera, Gesù, parla ora sulla sua

qualità di fondo: l'umiltà!

Dopo avere esortato alla preghiera, Gesù dubita se troverà la fede. Infatti senza umiltà, la

preghiera è dell'io, non di Dio. Pertanto la fiducia è in sé e non riposta nel cuore del Signore.

La prima è auto glorificazione, la seconda presunzione.

Ed eccoci nel cuore del brano che verrà proclamato in questa XXX domenica del Tempo

Ordinario.

Si tratta di una parabola che Gesù indirizza a quelli che avevano l'intima presunzione di

essere giusti e disprezzavano gli altri. Vedremo, alla fine, chi sono costoro.

Entriamo dentro la parabola. I personaggi sono due. Essi rappresentano due modi di pregare.

Il Fariseo e il pubblicano. Due personaggi perfettamente posti agli antipodi l'uno nei confronti dell'altro. Poniamo, prima di tutto, la nostra attenzione sul fariseo della parabola.

L'atteggiamento del fariseo non deve essere condannato e giudicato a priori. Egli compie la

sua preghiera secondo la sua coscienza e consapevolezza, altra preghiera la sua preparazione

spirituale e mentale, non gli consentiva di fare.

Il fariseo, osservante della legge, sapeva benissimo che il rapporto con Dio era regolato dalla

legge. Quindi è a partire dalle opere della Legge che inizia la sua preghiera. Non può essere

biasimato per questo! Questa era la sua cultura e la sua mentalità, oserei dire anche che, questa era la sua spiritualità.

Se, per caso, quel giorno, avesse commesso una mancanza in rapporto alla legge, non sarebbe

salito al tempio per fare la sua preghiera. Infatti non avrebbe potuto ringraziare il Signore per le opere buone compiute. Sarebbe dovuto andare prima a compiere le sue purificazioni legali, poi, reso puro, si sarebbe potuto recare al tempio a pregare. Che cosa dice questo fariseo osservante?

Prima di tutto dice: "Ti ringrazio, o Dio"

Non può sapere che il ringraziamento nasce da un dono gratuito ricevuto ed accolto.

Ringrazia Dio di essere stato bravo nel compiere le opere della legge. Ringrazia ancora Dio

per non essere come tutti gli altri, in special modo come il pubblicano che se ne stava in fondo.



Sta ringraziando Dio veramente? No! Sta ringraziando in realtà sè stesso.

Ma lo fà con retta coscienza: questa infatti era la sua mentalità e la sua dottrina.

Moralmente non gli si può rimproverare nulla. Ha osservato le opere della Legge, anzi ha

fatto di più!

La Legge ordina di digiunare due volte all'anno. Lui invece digiuna due volte la settimana. Dunque è bravo! Per quando si cerchi una mancanza in quest'uomo, non si scopre alcunché di riprovevole.

Certo, appare orgoglioso di essere stato bravo! Ma tutto sommato gli si può perdonare

questo orgoglio: ha fatto tutto bene, nò? E' orgoglioso della sua rettitudine, si contrappone

agli altri uomini e prende le debite distanze dai peccatori.



In stridente contrasto con questo primo personaggio, ecco comparire sulla scena il secondo:

si tratta di un pubblicano, uno che ha succhiato il sangue ai poveri, uno che li ha sfruttati, uno che si è arricchito in maniera fraudolenta. Insomma uno che aveva come Dio il denaro, non avrebbe potuto entrare nemmeno nel tempio a pregare.

La legge gli imponeva prima di tutto di restituire il denaro defraudato ai poveri, come, per esempio, fece Zaccheo. Insomma è un uomo carico soltanto di peccati.



Ma che succede nella parabola?

L'uomo che moralmente pregava in maniera ineccepibile e che era moralmente sano, non

trova giovamento nella preghiera. Il Fariseo infatti torna a casa senza avere ottenuto la

giustificazione.

Il pubblicano invece, non avendo osservato la legge, non può fare altro che ripetere le parole

del Salmo 51: "O Dio abbi pietà di me!".

Costui torna a casa giustificato. Come mai?

E' qualcosa che lascia il lettore meravigliato e confuso.

Come è potuto accadere questo rovesciamento? Qui sta proprio l'insegnamento della

parabola.

C'è un rovesciamento di giudizio: esso non riguarda il comportamento morale dei due.

Gesù infatti non dice che il pubblicano era buono e il fariseo cattivo.

Ma c'è un errore nel fariseo. Quale?

Egli sbaglia perché si colloca davanti al Signore nel modo scorretto:

va al tempio portando con sé un carico di buone opere che si accumulano con rigorose

penitenze e poi attraverso l'osservanza scrupolosa delle opere della Legge.

E' convinto che questo basti ad assicurargli la giustificazione.

E' come se dicesse al Signore: "Ammira e guarda come sono stato bravo! Ho osservato tutto e

più di tutto!"

Si noti: il fariseo non chiede a Dio di essere reso giusto.

Da Dio pretende solo che dichiari, che riconosca, come fa un buon notaio, la giustizia che egli

ha saputo costruirsi con le sue mani!

Non può capire che tutte le sue opere buone non gli conferiscono il diritto di autoproclamarsi

giusto. Chi fa il bene non merita assolutamente nulla, deve solo ringraziare il Signore che lo ha guidato a compiere il bene. Non sono le opere buone che rendono giusti: esse sono il segno che il Signore ci ha resi giusti. Le opere buone sono come i frutti che rivelano che l'albero è pieno di vita.

Ma non sono i frutti che fanno vivere l'albero! Chi ragiona come il fariseo, sia pure in buona

fede, non è cattivo, è solo uno che ancora non ha capito nulla del modo di agire di Dio!

Il fariseo si comporta come il figlio che pensa di meritare l'eredità del padre perché è un figlio

modello. In realtà l'eredità appartiene al padre e può soltanto essere ricevuta in dono e non come un

guadagno.



Da parte sua il pubblicano, non è affatto un uomo virtuoso, non è un modello di vita!

E' un povero che sà di poter offrire a Dio soltanto il suo cuore "spezzato ed abbattuto", cuore

che il Signore non disprezza, secondo il Salmo 51.

E' l'affamato che viene ricolmato di beni, mentre il ricco è rimandato a mani vuote, come

canta Maria nel Magnificat.

Egli non corre nemmeno il pericolo di illudersi che le buone azioni gli possano conferire il

diritto di avanzare pretese, perché non ne ha. Il Fariseo non deve rinunciare alla sua vita

moralmente irreprensibile,ma alla falsa immagine di Dio che ha in mente.

Dio non è un contabile che prende nota delle opere buone e castiga con giudizio di condanna

chi non ne ha! Da questa immagine deformata di Dio, fratelli e sorelle, derivano tutti gli altri

guai.

Il primo di questi guai è quello di formare una barriera divisoria fra giusti e peccatori.

Il termine fariseo, significa "separato", quindi diviso dagli altri. Ecco l'errore.

Chi pensa di accumulare meriti davanti a Dio, finisce poi di disprezzare gli altri o di

giudicarli.

Chi si sente giusto è convinto perfino di potere coinvolgere Dio in questa separazione,

vorrebbe iscriverlo nel suo gruppo, nel club dei giusti, vorrebbe farlo diventare un fariseo.

Ma Dio non ci stà affatto! Se proprio deve scegliere, allora sceglie il peccatore, come il

pubblicano che non ha alcun appiglio se non la supplica alla misericordia del Signore.

Ecco allora l'importanza dell'umiltà nella preghiera.

Se la preghiera non è umile, non è gradita a Dio. Dio la rigetta!

A questo punto diventa interessante il versetto introduttivo del nostro brano.

A chi è rivolta veramente la parabola?

Chi sono quelli che presumono di essere giusti e disprezzano gli altri?

Costoro non sono i farisei del tempo di Gesù: ma i cristiani della Comunità di Luca.

In costoro si è insinuata la pericolosa mentalità farisaica.

Allora la parabola è diretta ai cristiani non solo del tempo di Luca, ma anche a noi oggi: a me

e a voi, fratelli e sorelle. L'idea di potere meritare davanti a Dio è profondamente radicata

nell'uomo.

E' veramente difficile comprendere la gratuità e cioè che tutto è grazia!

Nessuno è completamente immune da questo "lievito dei farisei" che inquina e corrompe la

vita delle comunità.

Veramente, come il povero pubblicano, diciamo:

O Dio abbi pietà di noi, peccatori! Nessun uomo può dirsi giusto davanti a te!

Solo Tu, con il tuo amore, ci rendi giusti per la tua gloria, e capaci di possedere il tuo Regno. Amen...............

Commento al Vangelo di Lc. 17, 11-19 Domenica 28ma del tempo ordinario Anno C

di Padre Augusto Drago

Il brano di Luca che proclameremo domenica, potremmo benissimo titolarlo in questa maniera:

DALLA GUARIGIONE ALLA FEDE!

Di fatti si tratta di un itinerario che dalla guarigione ci conduce alla fede piena in Gesù , Messia e Salvatore.

Nella preghiera di colletta (la preghiera che il Celebrante recita a nome di tutta l'Assemblea), domani sentiremo fare la seguente preghiera: "O Dio, fonte della vita temporale ed eterna, fà che nessuno di noi ti cerchi solo per la salute del corpo, ogni fratello in questo giorno santo, torni a renderti gloria per il dono della fede, e la Chiesa intera sia testimone della salvezza che tu operi continuamente in Cristo tuo Figlio. Egli vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli, Amen.”

Questa preghiera della Colletta contiene già, in estrema, una chiara sintesi, il significato del

racconto evangelico.

Non è tanto il tema del ringraziamento, come si potrebbe supporre ad una prima lettura, ma è il tema della fede. Un tema, questo, che, assieme a quello dell'ascolto, attraversa l'intero vangelo di Luca. Questa Domenica il Vangelo tocca un nervo scoperto in quasi tutti noi.

Si parla della sofferenza, della malattia e di come Gesù agisca.

Il brano è interessante perché mostra il punto di vista del malato, in questo caso addirittura

lebbroso,ma anche quello di Dio, e questo non è affatto scontato.

Cominciamo dai malati. Sono al plurale: addirittura sono dieci, una cifra tonda che significa

"proprio tanti", una moltitudine, una pienezza, una totalità. Tutti cercano la salvezza.

Si diceva al tempo di Gesù: "Quattro categorie di persone sono equiparate ad un morto:

il povero, il lebbroso, il cieco e colui che non ha figli". Tutte le malattie erano ritenute un

castigo, ma la lebbra era il simbolo stesso del peccato.

Dio se ne serviva, così si diceva, per colpire soprattutto gli invidiosi, gli arroganti, i ladri, i

responsabili di omicidi e di falsi giuramenti.

La guarigione della lebbra era un fatto simile ad una resurrezione di un morto. Solo il Signore la poteva curare, prima tuttavia, dovevano essere espiate tutte le colpe che l'avevano provocata.

Se guardiamo, ritornando al testo del Vangelo, in tutti i verbi, troviamo qualcosa di molto

interessante: i lebbrosi gli andarono incontro, si fermarono a distanza, perché non potevano

avvicinarsi al mondo dei "vivi", alzavano la voce, andavano, furono sanati.

Sono tutti verbi di moto, di movimento. Essi, i verbi, descrivono tutti i tratti di queste persone:

andare incontro significa cercare, nell'andare incontro, c'è tutto quello che esprime la ricerca di Dio (pensate per un istante alla nostra preghiera, ai nostri pellegrinaggi, ecc.).

Stanno a distanza, perché lo status del lebbroso gli impediva di avvicinarsi ai sani. Quindi erano tutti rispettosi delle regole. Potremmo dire che certamente sono comportamenti di brave persone che, senza colpa alcuna (anche se la mentalità del tempo la pensava diversamente), si trovano a fronteggiare qualcosa di molto più grande di loro. Alzano la voce perché vogliono essere ascoltati da Gesù, Egli è la loro ultima spiaggia. Appena ricevuta la risposta di Gesù, senza indugiare, corrono, secondo la legge, dai sacerdoti. Non fanno storie, diremmo, ubbidiscono, anche se sanno di

non essere guariti. La legge infatti diceva che bisognava andare dai sacerdoti solo in caso di guarigione per essere benedetti ed essere riammessi nel consorzio civile. Forse è segno di fede, oppure di opportunismo...sia come sia, si mettono in viaggio. Se non altro possiamo parlare di una fede incipiente. Ma la fede è intesa come obbedienza ad un Maestro.

Infatti, da lontano, gridavano: "Gesù Maestro, abbi pietà di noi! E' il grido degli ammalati nel

Vangelo, ma questa volta non è rivolto a Gesù Messia e Salvatore, ma al Maestro.

Gesù appare loro come un guaritore. Di fatti il miracolo poi avviene. Quindi, possiamo parlare di un lieto fine? No, di certo. Gesù, infatti, come vede tutto questo?

E' strano che alla fine parli di "salvezza" solo a quello che è tornato indietro: ed era un Samaritano!

E come mai costui torna indietro? Torna indietro perché, vedendosi guarito, comprende qualcosa di più degli altri.

Se solo Dio può guarire la lebbra, allora, pensa il Samaritano, Gesù non è solo un Maestro, un

Guaritore, ma qualcosa di più: Il Messia! Colui che Dio ha mandato sulla terra!

Allora, mentre negli altri nove prevale il senso della legge e continuano il loro cammino verso i

sacerdoti, costui invece sente un moto irresistibile, e torna indietro da Gesù.

Non torna tanto per dire grazie, per cortese gentilezza, ma perché gli si sono aperti gli occhi

del cuore. Di fatti, appena giunto vicino a Gesù, gli si prostra a terra in segno di adorazione!

Solo Dio và adorato!

Ed ecco la maturazione della fede. Dalla guarigione alla fede in Gesù Salvatore e Messia. I

primi nove, sono devoti osservanti della legge, costui, un samaritano, che non conosce né

profeti né altri libri sacri se non solo il Pentateuco, costui approda invece alla fede.

Ora è salvo! "La tua fede ti ha salvato!"

Notate: prima erano tutti purificati nel corpo, ora uno solo è salvato!

Il che significa che costui entra a far parte del Regno! Egli riconosce la gratuità del dono!

Agli occhi di Dio noi siamo e rimaniamo sempre figli suoi. E' vero che ci confrontiamo con gioie e dolori, con la salute e la malattia, ma noi non siamo le nostre croci o i nostri corpi malati. C'è qualcosa di eterno in noi.: Il samaritano (giudicato eretico dagli altri ebrei) è quello che si rende conto di avere incontrato il Messia, il chè è infinitamente più importante di tutto il resto.

Sei salvo non quando il tuo corpo guarisce, infatti tu non sei il tuo corpo, ma sei salvo quando incontri Dio. Allora sai che la tua vita è indissolubilmente legata a Lui, qualsiasi cosa dovrai vivere, la vivrai assieme a Lui. Anche se dovessi passare attraverso una valle oscura!

La fede "funziona" quando mi sento con Dio anche nella sofferenza, perché ho ben presente

che sono stato fatto per l'eternità, è il paradiso che mi aspetta: per questo il Samaritano è

salvato! Egli ha riconosciuto il suo Signore, si sente alla presenza di Dio.

Passa in secondo piano la sua guarigione fisica.

Allora è proprio questo il messaggio di questo brano evangelico: la guarigione può essere un

imput alla fede, ma poi l'imput ha bisogno di raggiungere la sua pienezza nella corsa verso

l'adorazione del Signore. Ma se l'imput iniziale si perde nella "legge", come avvenne per i

nove, essi rimangono guariti sì, ma a che cosa servirà la loro guarigione?

Ma allora perché Gesù li ha guariti? Perché con l'incarnazione ci ha insegnato che Dio si

china su ciascuno di noi e cammina al nostro passo, e resta in attesa che noi lo possiamo

accogliere.

Chiudo ricordando le meravigliose parole di Paolo nella seconda lettura:

"Se anche noi manchiamo di fede, Lui però rimane fedele per sempre, perché non può

rinnegare se stesso!"

Bello e stupendo questo nostro Dio che Gesù ci ha rivelato! Perché con l'incarnazione ci ha

insegnato che Dio si china su ciascuno di noi e cammina al nostro passo, e resta in attesa che

noi lo possiamo accogliere.

Fratello e sorella, guarda cosa Dio ha fatto per te e scopriti guarito, riconosci le tante volte

che ti è stato a fianco per aiutarti e apri il tuo cuore alla lode, ringrazialo per quanto ti è stato

fedele. Amen.............................


Commento al vangelo di Lc 17,5-10 Domenica 27ma del tempo ordinario Anno C


di Padre Augusto Drago

Fratelli e sorelle, questa sera il Signore Gesù vuole farci comprendere qualcosa di molto

importante: ci vuole far capire in che cosa consiste la fede!

Se mi permettete vorrei accennare alla prima lettura che proclameremo domani:  è quella del profeta Abacuc, contemporaneo di Geremia. Questo testo mi sembra propedeutico alla comprensione della Parola del Vangelo.

Erano tempi, quelli di Abacuc e di Geremia, di grandi turbolenze morali, sociali, religiosi.

Tempi di violenza. Il profeta, angosciato, interroga Dio, quasi in maniera sotterranea, accusandolo di non intervenire! " Fino a quando Signore?" chiede. " Perché mi fai vedere l'iniquità e resti inoperoso? " Stupenda la preghiera di Abacuc. Egli ha il coraggio di dire al Signore che non è d'accordo con Lui. Il profeta, infatti, non capisce la tolleranza di Dio nei confronti di chi opera il male! Reclama contro la sua passività ed il suo silenzio!

Il profeta osa chiedere a Dio conto del suo modo di agire, o meglio di non agire.

La risposta del Signore non si fa attendere! Chiede al profeta di prendere accuratamente nota

di quanto sta dicendo. Ecco la promessa del Signore: a breve termine non accadrà nulla!

Non ci saranno cambiamenti immediati. Passerà un certo tempo prima che giunga la

liberazione.

Guai però a scoraggiarsi, diffidare, rassegnarsi all'ingiustizia, adeguarsi al comportamento

dei malvagi. Una risposta davvero sorprendente quella di Dio!

Egli non dà alcuna spiegazione, chiede solo fiducia ed abbandono alla sua Volontà in maniera

incondizionata!

" Ecco, soccombe colui che non ha l'animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede.

Che cosa è qui la fede?

Qualcosa che a noi viene difficile comprendere: avere la pazienza di Dio, sopportare il suo

apparente silenzio, attendere i suoi tempi, perché Egli non vuole la morte del peccatore ma

che viva e si salvi. La fede è abbandono all'incomprensibile Volontà di Dio quando essa ci

appare assolutamente illogica. Ma Dio ha le sue ragioni!  

Fede è entrare nelle ragioni di Dio, per mezzo dello Spirito santo

" Signore in questo momento ti sto chiedendo una grazia veramente grande.

Toglimi la paura di essere deluso da Te, che dai le tue risposte spesso facendoci attendere troppo tempo!  Toglimi, ti prego, la delusione di non essere ascoltato: dammi la fiducia e l'abbandono alla tua volontà. Alle volte mi sembra che tu dorma o non ti accorga di quanto sta succedendo nella

mia famiglia, nella mia casa, nella mia vita, nell'ambito della società e del vivere umano.

Taci! Fai silenzio. Mio Dio, come è difficile ascoltare il tuo silenzio, Come è penoso alle volte

aspettarti per avere una risposta! Dormi?”

No! Il Signore non dorme. Dice il salmo 121, 3-4: " Non si addormenterà il tuo custode, non

prende sonno il custode di Israele!".

So, Signore che Tu hai i tuoi tempi, e mentre attendo, mi insegni che avere fede, significa

prima di tutto comprendere che tu mi stai educando a vedere le cose non dal mio punto di

vista, ma dal tuo!

Dice san Giacomo nella sua lettera: " Chiedete e non ottenete, non ottenete perché chiedete male" (Giacomo 4,3).

Cosa è allora la fede? Ecco una prima risposta: chiedere bene, ovvero chiedere e chiedendo, sapere che ciò che più conta, desiderare prima di tutto che si compia la Sua Volontà.

Come Lui vuole, quando Lui vuole, perché Lui vuole!

Allora possiamo, a questo punto, andare al Vangelo di domani, e troviamo un ulteriore

approfondimento di questo concetto di fede. Gesù aveva parlato di lasciare tutto per seguirlo,

aveva tacciato negativamente la ricchezza, aveva parlato del perdono e della correzione

fraterna. Per questo gli apostoli cominciano a comprendere che seguire Gesù non è una

passeggiata.

Ci sono delle esigenze profonde che cambiano la vita. Cominciano ad avere paura di non

farcela. Le esigenze si fanno difficili, quasi impossibili per una persona normale!

Ed allora chiedono a Gesù un supplemento di fede: " Accresci in noi la fede".

Ma è possibile far crescere la fede? Molti pensano: o si crede o non si crede: non c'è via di

mezzo!

Questo sarebbe vero se la fede fosse solo un assenso dato ad un pacchetto di verità.

In realtà, credere non riguarda solo la mente: comporta una scelta concreta, implica la piena

ed incondizionata fiducia in Cristo Gesù e l'abbandono alla sua Volontà.

Se Gesù manifesta le sue esigenze e dice chiaramente quali cose occorrono per seguirlo, non

parla per scoraggiare chi è chiamato alla sequela, ma parla per far comprendere che tutto è un

dono che ci porta all'adesione convinta ed alla sua proposta di vita.

Il cammino al seguito del Maestro a volte è più spedito, a volte meno, a volte ci si stanca, si

rallenta e ci si ferma.

Senza la fede che è abbandono alla sua Volontà e fedeltà al dono, la tentazione di rimettere in

causa le proprie scelte, di tirarsi indietro, diventa davvero grande.

Fede è salvaguardia delle nostre chiamate! Fiducia che mi sarà dato da Dio ciò di cui ho

bisogno per continuare il mio cammino.

Se Egli, a volte, ritarda o fà silenzio davanti alla mia difficoltà a camminare, non devo per

questo chiamare in causa, quasi accusandolo, il Signore: ma sapere attenderlo, perché a volte,

spesso, il suo silenzio, anche se fà soffrire, ha il carattere pedagogico di chi vuole farci

crescere.

Ecco allora il senso della domanda dei discepoli: " Aumenta la nostra fede!" cioè toglici la

paura di dosso davanti alle tue esigenze.

Ma invece di esaudirli Gesù descrive le meraviglie che produce la fede:

E qui impiega una parabola paradossale! Usando un'iperbole ci fa comprendere che con la

fede – abbandono, si può persino piantare un albero - un sicomoro o un gelso- in mezzo al

mare!

Tutto infatti è possibile per chi ha fede.

Ma ancora ritorna la domanda: che cosa significa aver fede? Gesù lo spiega con una breve

parabola: Quella del servo e del padrone.

Il servo deve essere sempre pronto a fare tutto ciò che il padrone gli comanda. Così il discepolo deve essere pronto a compiere ciò che il Signore desidera da lui, ben sapendo che il desiderio di Dio non è un desiderio impossibile: basta accoglierlo e subito una forza pacificatrice invade il nostro cuore! Fede è essere sicuri che il Signore è comunque sempre con noi: sia quando ci fà sentire la sua presenza, sia quando ci fà pesare il suo nascondimento, sia quando ci fà sentire la sua apparente mancanza. Quello che importa nella fede, è che si debba sapere che il Signore ha per noi, comunque, solo disegni e pensieri di pace e di amore.

Se capissimo questo, fratelli e sorelle, quante angustie di meno avremmo nella nostra vita!

Quante difficoltà potremmo superare senza affannarci inutilmente.  

Quanta più pace avremmo nel cuore!


                 Ventiseiesima domenica del T.O. - anno C
 Commento al Vangelo di Lc.  16,  19-31 



L'evangelista Luca, nel suo vangelo, sembra proprio volerci "ossessionare" con il tema della ricchezza e della povertà! Domenica scorsa abbiamo letto il brano dell'amministratore disonesto, e poi alcuni insegnamenti di Gesù sul pericolo del denaro.
Questa domenica, di seguito, abbiamo la parabola che comunemente viene chiamata del "ricco epulone". In realtà tutto il vangelo di Luca è attraversato da questo tema.
Già nel cantico del Magnificat, quasi come introduzione al Vangelo, aveva messo in bocca a Maria una verità che poi continuerà a manifestare nel corso della narrazione evangelica: "Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili" (1, 52).
Dentro queste parole di Maria, che possiamo considerare profetiche del vangelo, possiamo leggere la parabola del "ricco epulone".
Per comprenderla, cominciamo ad identificare i personaggi.
Uno che non viene nominato: è Colui che, nell'altro mondo, a mettere a posto ciò che in questo mondo non è andato bene, è Dio. I suoi pensieri e le sue decisioni sono posti sulla bocca di Abramo, al quale, dunque, spetta il ruolo di protagonista.
Poi viene il ricco che pure recita una parte importante: il suo dialogo con Abramo occupa i due terzi dell'intera parabola. Infine abbiamo Lazzaro, che rimane sempre nell'ombra.
Non dice nemmeno una parola, non fa assolutamente nulla, non muove un dito, non fa un passo.
Egli sta sempre seduto dietro la porta del ricco. In terra seduto, in cielo in braccio ad Abramo..
Durante il viaggio tra la terra e il cielo è trasportato dagli angeli. Se volessimo dare un titolo più aderente alla parabola, sarebbe scorretto chiamarla: la parabola del povero Lazzaro. (che non è nemmeno protagonista), oppure la parabola del ricco cattivo.
Il messaggio centrale del racconto riguarda il giudizio di Dio sulla distribuzione della ricchezza nel mondo. In nessun altra parabola Gesù assegna un nome ai personaggi.
Solo in questa si dice che il povero si chiamava Lazzaro. In questo mondo, chi ha un nome?
A chi sono dedicate le prime pagine dei giornali? Ai ricchi, a chi ha avuto o vuole avere successo.
Per Gesù succede esattamente il contrario. Per Lui il ricco è un tale, mentre il povero ha un nome molto espressivo, si chiama Lazzaro (Eleazzaro) che significa Dio aiuta.

Dopo aver elencato i personaggi adesso concentriamo l'attenzione su ognuno, cominciando dal ricco che è stato condannato, anche se, a dire il vero, non si capisce bene il perché.
Non ha fatto niente di male. Non si dice che rubasse, che non pagasse le tasse, che strapazzasse i suoi servi, che bestemmiasse, che fosse un dissoluto, che fosse un religioso praticante.
Certo, appare insensibile ai bisogni degli altri, non aiutava i poveri e dunque commetteva un grave peccato di omissione. Ma anche questo non sembra vero: se Lazzaro stava alla sua porta e non andava da un'altra parte, vuol dire che qualche briciola la rimediava.
La condizione in cui veniva lasciato era disumana: doveva accontentarsi della mollica con cui i commensali si pulivano le dita (in quel tempo non si usavano posate), e il dettaglio dei cani conferisce un impareggiabile realismo alla scena.
Fino a che il povero Lazzaro si trova davanti alla porta del ricco, vivo, è ancora possibile che il ricco si salvi. Ma dopo che il povero muore, muore anche l'unico strumento di salvezza per il ricco.
Sì, è vero, il ricco faceva la sua vita, gozzovigliava, si vestiva all'ultima moda, ma sempre spendendo del suo. Dunque, almeno secondo il comune modo corrente di pensare e di giudicare, aveva un comportamento morale ineccepibile.
Del resto, quando Abramo gli nega la goccia d'acqua, non gli rinfaccia alcuna colpa. Si limita a ricordargli che egli è stato ricco sulla terra ed ha goduto. Mentre Lazzaro ha sofferto.
Poi in cielo le cose si sono capovolte. Ma non viene spiegato il perché. Meglio dunque non parlare del "cattivo ricco!".
C'è chi tende a demonizzare i ricchi, a considerarli sempre e comunque colmi di nequizia e ad esaltare i poveri, erigendoli a modelli di ogni virtù. Lazzaro ne sarebbe il prototipo. L'ideale.
Ma siamo così sicuri che Lazzaro fosse buono? Voglio proprio provocare!
Cosa ha fatto per meritarsi il paradiso? Nulla.
Lo abbiamo visto: durante tutta la sua vita non ha mosso un dito!
Di lui non si dice che era umile ed educato, non si dice che era un uomo giusto, non si dice che andava a pregare in sinagoga, che era stato un padre di famiglia laborioso e che era diventato povero in seguito a qualche sventura. Chi ci assicura che non fosse un fannullone, uno che aveva sperperato tutti i suoi beni?
Di lui si sa solo che sulla terra era povero e che la sua situazione era poi cambiata. Ma non ne viene spiegata la ragione.
Che dire infine dell'atteggiamento di Abramo? Un pò duretto, direi...
Egli nega una goccia d'acqua ad un povero disgraziato.
Il ricco manifesta sentimenti migliori: pur nei tormenti, si preoccupa dei suoi cinque fratelli ancora vivi. Mettendo insieme tutti questi elementi possiamo già trarre una prima conclusione: la parabola non vuole dire che chi si comporta bene va in paradiso e chi invece fa il male va all'inferno, perché il ricco non ha commesso colpe e Lazzaro non ha compiuto opere buone. E allora?
Semplice: vuol dire che la parabola ha un altro messaggio. Quale?

Nella mentalità comune abbiamo una distinzione che a molti pare assolutamente logica: quella tra i ricchi buoni e quelli cattivi: viene in tal modo mantenuta la convinzione che possano continuare ad esistere in questo mondo le disuguaglianze, e che il ricco e lo straricco possa convivere accanto al miserabile, a patto che non rubi e che faccia elemosine.
E' proprio questo modo di pensare che Gesù considera pericoloso fino alla soglia del peccato.
E' questa convinzione che Egli vuole demolire. Nella parabola Egli parla di un ricco che viene condannato non perché cattivo, ma semplicemente perché era ricco, cioé, perché si chiudeva nel suo mondo e non accettava la logica della condivisione dei beni!
Gesù vuole fare capire ai discepoli e quindi anche a noi, che l'esistenza in questo mondo di due classi di persone o di popoli e nazioni - ricchi e poveri - è contro il progetto di Dio.
I beni sono stati dati per tutti e chi ne ha di più deve condividerli con coloro che ne hanno di meno, o non hanno nulla. Così, prima che qualcuno possa concedersi il superfluo, è necessario che tutti abbiano soddisfatto i bisogni più elementari per rendere più dignitosa la vita.
Commentando questa parabola, Sant'Ambrogio diceva: " Quando tu dai qualcosa a chi ne ha bisogno, non gli offri ciò che è tuo, gli restituisci soltanto ciò che è suo! La terra e i beni di questo mondo sono di tutti!."

L'ultima parte della parabola sposta l'attenzione su un altro tema caro a Luca.
Il ricco chiede ad Abramo che mandi Lazzaro ad avvisare i suoi cinque fratelli per far comprendere loro come stanno davvero le cose.
Ma Abramo ha una risposta netta: "Hanno Mosè e i Profeti…" Questo dovrebbe bastare: si tratta della Parola di Dio, della sacra Scrittura. Se non hanno creduto alla Parola di Dio, non crederanno nemmeno se uno risuscita dai morti.
Luca sottolinea un tema a lui tanto caro: l'importanza dell'ascolto/ubbidienza alla Parola del Signore. Essa è più importante di ogni altra cosa.
Se non si ubbidisce alla Parola, ogni altro segno, per quanto potente possa essere, non dice proprio nulla.
Solo questa Parola può compiere questo prodigio di fare entrare un ricco nel Regno dei cieli.
Sì, perché occorre proprio un miracolo, un miracolo difficile quanto quello di far passare un cammello per la cruna di un ago.
Chi non si lascia scalfire dalla Parola di Dio è certamente impermeabile e refrattario a qualunque altra argomentazione. Fratelli e sorelle, abbiamo capito tutto questo?
Il ricco non è solo chi possiede molti bene. E' ricco anche chi, possedendo poco, non sa condividere anche quel poco che ha! Non è la quantità delle cose che fa il ricco, ma la qualità della sua vita!
E noi in che posizione siamo? ....................................................................................


 

                                          

                  Ventitreesima domenica del T.O. - anno C

 Commento al Vangelo di Lc.  14,  25-33

Abbiamo già notato che i luoghi dove, di preferenza Gesù evangelizza, sono tre: la sinagoga, la casa, la via. La sinagoga rappresenta il popolo giudaico La casa rappresenta la Chiesa.
La via rappresenta il mondo nelle cui strade deve risuonare il Vangelo della salvezza.
Gesù si trovava in una casa dove aveva guarito un idropico (14, 1 e seg.) e dove aveva parlato della necessità, quando si è invitati ad una cena, di scegliere gli ultimi posti.
Ora lo troviamo di nuovo sulla strada.
Gesù nel Vangelo di Luca è sempre in cammino: ha una meta da raggiungere: la Croce che lo attende a Gerusalemme. E mentre cammina evangelizza.
Camminando, dietro a lui si forma come un corteo di folla che lo segue.
E' una scena meravigliosa, quella che dà inizio al nostro brano. Immaginatela con un pizzico di buona fantasia! Gesù è in testa ed indica il cammino da compiere. Gli altri lo seguono.
Immaginiamoci di essere anche noi tra la folla che lo segue: siamo fra i tanti che camminano dietro a Lui.
Al Signore non interessa contare le persone che vanno dietro a Lui.
Interessa il "come" bisogna andargli dietro.
“Allora si voltò e disse...”
E' bello questo voltarsi indietro di Gesù, per guardare la folla e quindi anche noi che siamo in mezzo ad essa. Si volta per guardarci: il suo sguardo bello ed affascinante delle grandi occasioni, ma anche lo sguardo di chi vuole parlare sul serio e senza mezzi termini, senza paura di trovarsi solo ed abbandonato da tutti, a motivo della "severità" con cui dice la sua Parola.
Le sue parole sono forti e liberano da ogni illusione. Dice che vuole essere amato di più.
Di più, non nel senso di intensità, certo anche questo...ma quel "di più" implica una discriminazione: vuole essere amato di più rispetto a tutti i nostri affetti: egli vuole essere il Primo e il solo. Più del padre, della madre, dei fratelli, delle sorelle e persino della propria vita!
Ecco: per Gesù non conta il numero, ma la qualità dell'Amore con cui lo si segue!
Occorre andare dietro a Lui senza la sicurezza che può dare un legame di sangue, o la sicurezza che ognuno può riporre in se stesso (la propria vita).
Signore, come sei esigente! Verrebbe da dire proprio così! Sì, è esigente il Signore, come esigente in maniera assoluta e totalizzante è il vero Amore!
Eppure in questo Amore totalizzante c'è la fonte di ogni nostro amore e di ogni nostra affettività.
Se al primo posto mettiamo il SUO AMORE e solo IL SUO AMORE, esso si irradia e fa nascere legami affettivi, capacità di amore che è liberante.
Il nostro povero amore verso i nostri genitori, e quello degli stessi genitori verso i figli spesso non rende liberi: infatti diciamo: se mi ami provamelo facendo questo o quest'altra cosa... e ai figli: se mi ami diventa più buono....! Così si viene a creare una specie di ricatto affettivo che imprigiona.
Se tutto invece procede dall'Amore di Gesù, da quel "di più", allora ogni amore che abita il nostro cuore porta la linfa vitale del SUO AMORE. E' come se tutta la nostra vita fosse impregnata del profumo della Sua Presenza che ci possiede e dalla quale siamo posseduti.
Gesù desidera che i suoi discepoli siano capaci di Amarlo più di ogni altro affetto, per potere guarire con il suo amore tutti i nostri affetti e renderli riflesso della sua stupenda bellezza! Ma questo ancora non basta!
Per seguirlo occorre sapere abbracciare la Croce.
Nella logica di Gesù, Amore e Croce sono inseparabili. Amore e sofferenza. Amore e nostalgia.
Amore e donare la propria vita. Sono cose che non possono essere separate in maniera assoluta.
Escludere la Croce dalla propria esistenza significa escludere allo stesso tempo l'Amore e la Vita che diventa morte senza amore. L'unico legame che ci aiuta a seguire Gesù è la Croce.
Questo è il simbolo dell'Amore che non si tira indietro, capace di essere parola, anche quando il mondo mette tutto a tacere con la condanna e la morte, è la grande lezione del Maestro nato in una minuscola borgata di Giudea. Poi Gesù fa seguire a questo insegnamento importante due parabole sovrapposte parallelamente.
Quella del costruttore di una torre e quella di un Re che deve muovere guerra ad un altro Re.
Il significato di queste due parabole sovrapponibili è lo stesso: occorre "sedersi": vale a dire prendere un atteggiamento di riflessione per potere discernere e guardare alle proprie forze, per capire se sono adeguate a ciò che si vuol fare. Gesù sembra dire alla folla che lo segue ed anche a noi, che occorre sapere prima ciò che significa essere discepoli.
E questo per non rischiare di essere cristiani o discepoli solo di nome, ignavi, pigri e paurosi.
Bisogna stare attenti: questo aspetto oggi è molto importante. Viviamo infatti in un epoca di grande paura ad impegnarsi. Non si sa più avere il coraggio di prendere il largo.
Ci si scosta da terra giusto la distanza per poter tranquillamente tornare indietro.
Non ci sposa, si convive.
Non si prendono impegni definitivi che possano segnare la vita.
Non si intraprende un cammino serio perché si ha paura! La litania potrebbe continuare a lungo....
L'uomo oggi ha paura di impegnarsi definitivamente! Rinuncia a sedersi per saper discernere la qualità di vita che sta conducendo!
Si accontenta solo delle cose che danno un immediato piacere, ma poi...resta solo la delusione e la morte della vita.
La grande mancanza che abbruttisce il mondo è la mancanza, e perché no, il coraggio, di amare sul serio!
Si ha paura di Gesù perchè il suo Vangelo è troppo esigente!
Vorrei ancora dire che è bello parlare di amore. Ma è molto diverso, vivere l'Amore: Occorre farsi educare per un amore libero ed autentico. Alla scuola di Gesù, che vuole per sé un Amore totalizzante, impariamo dunque ad amare. L'Amore non è qualcosa che si possiede, ma qualcosa da cui prima si è posseduti, per dono e per grazia: è l'Amore di Dio, fonte ed origine di ogni altro amore. Se Gesù ci chiede di amarlo "di più" non è solo perché vuole essere il primo nella nostra vita, ma lo fa per farci comprendere che non esiste amore umano vero, che non sia promanazione ed emanazione del Suo Amore, con il quale Egli ci Ama. Si ha paura di Gesù perchè il suo Vangelo è troppo esigente!
Ma non lamentiamoci poi tanto di questo.
Infatti un pò di colpa può essere nostra: le nostre pigrizie, i nostri ritardi e anche il fatto che ancora non ci siamo decisamente messi alla sequela di Gesù!
Se così fosse, fratelli e sorelle, ricordiamocelo: non c'è tempo da perdere. Il tempo si è fatto breve ed il Padrone già bussa alla porta! Svegliati tu che dormi, ci ripete san Paolo, e Cristo ti rinnoverà e ti darà una nuova vita!...........................................................................................


                  
                Ventiquattresima domenica del T.O. - Anno C


commento al Vangelo di Lc. 15,  1-10
  
Con il capitolo 15, Luca, lo scriba mansuetudinis Christi, come lo chiamava Dante, ci conduce al centro del terzo Vangelo.

Siamo nel cuore del Grande Messaggio.Luca ci manifesta la Misericordia del Padre.

Il capitolo 15 in realtà racconta un'unica grande parabola divisa in tre scene.

Ci viene rivelato il centro del Vangelo. Dio, come Padre di tenerezza e di misericordia!

Egli trasale di gioia quando trova la pecora smarrita, quando ritrova la dracma perduta,

quando ritrova il figlio prodigo!

Invita tutti a gioire: "Bisogna far festa" è il ritornello che ritma la danza delle cose amate,

perdute e ritrovate. Il banchetto di cui abbiamo già visto nel capitolo precedente, è questa

festa del Padre che vede ormai occupato l'ultimo posto a mensa. La sua casa è piena, il suo

cuore trabocca, nel ritorno dell'ultimo. Ogni figlio perduto è ormai con Lui!

Ora invita anche i "giusti". Attaccato da loro con cattiveria, li contrattacca con la sua bontà.

Vuole portarli a conversione. Ma l'impresa è molto più difficile che con i peccatori!

Questi, a causa della loro miseria, sentono la necessità della sua misericordia.

Quelli, invece, arroccati nella "propria giustizia", sono autosufficienti. Così condannano i

fratelli ingiusti, ignorano e rifiutano il Padre, che ama gratuitamente tutti i suoi figli.

Il suo Amore non è proporzionale ai meriti, ma alla miseria!

Per questo solo i primi invitati, che credono di aver diritto alla salvezza, se ne escludono.



Il capitolo 15 è rivolto al giusto, perché non resti vuoto il posto alla mensa del Padre:

deve partecipare alla festa che Egli fa per il suo figlio perduto e ritrovato.

L'innamorato della Volontà di Dio, che nel Salmo 119 canta la sua obbedienza alla Parola,

riconosce, dopo ben 175 versetti: "come pecora smarrita vado errando: cerca il tuo servo,

Signore, perché non ho dimenticato i tuoi comandamenti “(Salmo 119, 176).

La prima parabola parla di conversione: ma non del peccatore alla giustizia, bensì del giusto

alla misericordia.

Per giusto, qui intendiamo quelli che si ritenevano tali: Farisei e scribi, mentre pubblicani e

peccatori ascoltano la Parola.

Non sono i peccatori che si debbono convertire: essi chiedono solo misericordia.

Sono invece i giusti che non sanno chiedere misericordia perché non sanno di essere anch'essi

peccatori. "Nessun uomo è giusto davanti a Dio" ci ricorda Paolo.

Solo la grazia accolta e desiderata. I pubblicani sono i peccatori della peggior specie.

Assimilati ai pagani, odiatissimi da tutti. Non hanno alcun diritto a mangiare il pane del

Regno: eppure sono quelli che Gesù invita al banchetto!

I peccatori invece sono i trasgressori della Legge.

Sono quei poveri, deformi, ciechi, zoppicanti nei confronti della Parola: anch'essi vengono

condotti al banchetto! Perché?

Perché desiderano, anelano ad una vita nuova che hanno intravista negli occhi di Gesù di

Nazaret.

Sono gli affascinati dalla Verità! I giusti invece, non sono affascinati da nulla perché credono

di avere tutto.

Sono i pubblicani e i peccatori, infatti ad ascoltare Gesù: ne sono letteralmente attratti e

assorbiti dagli ideali della vita nuova che Gesù predica.

Gli altri non hanno orecchie per sentire, ma sola bocca per mormorare e condannare.

Gesù cammina con i pubblicani e i peccatori. Mangia insieme a loro, anzi, letteralmente "con-

mangia": se mangiare significa vivere, questo con-mangiare significa vivere l'uno la vita

dell'altro.

Il peccatore, infatti che è perduto, vive di Gesù, che è il Salvatore.



Fratelli e sorelle, occorre saper vivere veramente la conversione per sapere quale bellezza e

stupore essa porti con sé. La storia, anche quella dei nostri giorni, è piena di testimonianze di

persone che finalmente, dopo un lungo peregrinare si sono fatti ammaliare da Cristo!

Ma a chi parlava Gesù? Agli scribi e ai farisei. A loro racconta le tre parabole della

misericordia.

La parabola, è un invito ai giusti perché si convertano.

Si convertano dalla loro giustizia.

Si convertano alla gioia del Padre.

Gesù parla, non tanto per difendersi dalle loro obiezioni, ma mosso solo dal desiderio della

loro conversione.

Dio è misericordia: mentre il peccatore ne sente il bisogno, il giusto non la desidera.

Come dimostra il Signore la sua misericordia?

Mettendosi alla ricerca. Lascia, nella prima parabola, le novantanove pecore nel deserto, e va

in cerca dell'unica smarrita!

Le novantanove pecore sono i "giusti", esortati a riconoscersi nella pecora smarrita e

amorosamente ricercata.

Rimangono nel deserto, fuori dalla terra promessa, vagano in luoghi aridi e condannati alla morte.

Il Pastore, simbolo del Signore, corre a cercare l'unica pecora scappata dal deserto, per condurla a Sé. E trovatala se la carica sulle spalle. Bellissima questa immagine!

Di solito infatti il pastore usava spezzare la gamba alla pecora trovata, perché imparasse o non smarrirsi. Gesù non spezza nulla: prende in braccio, sulle spalle!

Bella la bontà e la misericordia di Dio! Come non farsene affascinare?

Poi il pastore, dice la parabola, torna, con gioia a casa. Non va dunque nel deserto dove c'erano le altre novantanove pecore. Giunge a casa con l'unica pecora perduta e ritrovata.

Le altre novantanove restano fuori. I giusti entreranno nella casa del Padre solo quando lo

accoglieranno come Padre. Quando ascolteranno il suo invito a con-gioire con Lui

Poi il pastore chiama i vicini, meglio dire con-chiama. I vicini sono ancora i giusti, chiamati

alla festa della gioia. Sono i farisei e gli scribi che però prendono le distanze da questo invito.

Il Pastore invita alla gioia: "con-gioite con me"!

La gioia è perché "ho trovato la mia pecora perduta!"

C'è un gran tripudio di gioia: anche in cielo nella Casa di Dio! E sarà gioia più grande quando le novantanove si riconosceranno nell'unica smarrita e ritrovata.


C'è gioia in cielo, fratelli e sorelle, anche quando noi decidiamo per davvero di compiere il

santo viaggio! C'è gioia in cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novanta

giusti che non hanno bisogno di conversione. Costoro non assaporeranno mai la gioia di Dio!

La seconda parabola è la medesima della prima. Unica differenza: è raccontata al femminile.

C'è un perfetto parallelismo dei verbi e delle azioni.



Chi di voi quale donna

cento pecore dieci dracme

ne perde una ne perde una

lascia le novantanove nel deserto accende una lampada

va spazza la casa

finché non la trova finché non trovi

con-chiama con-chiama

amici e vicini amiche e vicine:

con gioite con me con gioite con me

ho trovato ho trovato!

E così via.

Perché questa ripetizione al femminile?

Perché Luca vuole dimostrarci il volto della paternità e della maternità di Dio.

Il volto della misericordia e il Volto della tenerezza.

Qual è dunque il messaggio della due parabole? Luca ci invita a partecipare alla gioia di Dio.

Ci dice che possiamo rendere felice il cuore del Padre, ci dice che possiamo essere stetti dalla sua tenerezza, ci dice che proprio per questo siamo cercati, perché il desiderio di Dio è quello di farci partecipi della sua gioia. Dio non vuole gioire da solo, senza l'uomo!

Peccatori, ma cercati,

peccatori, ma amati,

peccatori, ma desiderati,

peccatori, ma chiamati al banchetto delle Nozze con l'Agnello.

Sapremo essere così duri da resistere a tanto amoroso desiderio?

Commento al Vangelo di Lc. 15,  11-32

"Rendo grazie a Colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha

giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me. che prima ero un bestemmiatore, un

persecutore ed un violento. Ma mi è stata usata misericordia!

Questa Parola è degna di fede e di essere accolta da tutti. “Cristo Gesù è venuto nel mondo

per salvare i peccatori!"

Fratelli e sorelle quelle che avete appena letto sono le parole di testimonianza di Paolo, il

convertito da Cristo, e che leggeremo domani come seconda lettura. Paolo esalta la

misericordia di Dio nei suoi riguardi e conclude, quasi con un impeto di gioia con una solenne dossologia: "Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile ed unico Dio, onore e gloria nei secoli

dei secoli. Amen"

Non si può non trasalir di gioia nel sentirsi oggetto della Misericordia di Dio!

Paolo esulta di gioia per essere stato oggetto dello sguardo amoroso di Dio.

Le parabole del Vangelo ci conducono alla medesima conclusione. Esse contengono un unico

messaggio: Dio è sempre alla ricerca dell'uomo, come il pastore che cerca la pecorella smarrita e la donna che ha perduto la moneta, per lei molto importante.

Gesù ci rivela Dio, come Padre buono. La sua casa è per noi lo spazio sicuro, come lo fu per

Paolo di Tarso.

La casa sicura, perché è la "nostra casa" da sempre. Proprio questo pensiero riporta il figlio prodigo alla Casa del Padre.

C'è un fatto straordinariamente meraviglioso in tutto questo. Non siamo noi a cercare Dio, ma è Lui a cercare appassionatamente noi.

Non siamo noi prima di tutto a pensare a Dio, è Lui che fin dall'eternità ci ha pensati nel suo

cuore! Noi siamo pensati più che pensare! Non è bello tutto questo? Non suscita la nostra meraviglia e il nostro stupore? Non ci apre il cuore alla speranza!

Bello sei Padre che non ti dai pace mettendoti alla ricerca dei tuoi figli per mezzo di Gesù

Cristo tuo Figlio e nostro Fratello.

Nell'essere cercati da Dio, nell'essere da Lui pensati, fratelli e sorelle, c'è tutta la storia della

salvezza. Qui c'è il centro dell'intero messaggio della Parola di Dio sia nell'Antico Testamento che nel nuovo. Avete sentito mai parlare di Cartesio? Egli è considerato il padre della modernità.

Conoscete il suo famoso detto: "Cogito ergo sum” = penso, dunque sono!

Noi questa sera davanti alla grande Misericordia di Dio siamo chiamati a rovesciare il detto

cartesiano. Non "cogito ergo sum" ma "COGITOR ERGO SUM"= SONO PENSATO DA

DIO DUNQUE ESISTO, SONO!

E' Bello, commovente sapere che io, tu fratello e sorella siamo stati cercati e trovati e pensati

da Dio! Rifletteteci un poco!

Questo rovescia tutto: l'esistenza ed il modo di concepirla! Non sono io che dipendo da me

stesso, non sono io che mi auto progetto, ma Dio mi ama ed ha un progetto di amore e di

amicizia per me!

Sconvolgente! Stupefacente! Commovente se ci credessimo fino in fondo.

Questa sera la misericordia di cui Gesù ci parla, ha come interlocutori due tipiche categorie di

persone. Da un lato ci sono i farisei e gli scribi che "mormoravano", dall'altro ci sono i

pubblicani e i peccatori che si avvicinano a Lui per ascoltarlo. A questi ultimi è rivolta la Parola di esortazione con una modalità che scandalizza i benpensanti del suo tempo.



Con il racconto delle tre parabole della misericordia Gesù spiega questo suo atteggiamento.

LA PECORA, LA MONETA, E IL FIGLIO.

Nelle tre parabole ci sono delle parole chiave che ritornano parallele nei tre racconti, con le

quali Gesù intende mostrare come Dio non voglia la morte del peccatore, ma che si converta e

viva (Ezechiele 18,23).

Anzitutto il verbo "perdere".

Il pastore perde la pecora. La donna di casa perde la moneta. Il Padre uno dei due figli.

Il verbo ci fa comprendere che esiste un legame affettivo che viene proiettato sull'atteggiamento di Dio: "In Cielo" ogni piccola pecora è cara e preziosa. Ogni moneta è preziosa.

Così come lo sono ambedue i figli del Padre.

Vi è poi il verbo "cercare".

Esso allude all'iniziativa del Signore nei confronti dei peccatori. "Io stesso andrò in cerca della pecora smarrita" dice il Signore per bocca del profeta Ezechiele (34, 15-16).

Infine c'è la gioia celebrata, cantata, danzata per aver trovato ciò che Dio cercava.

C'è la felicità della persona finalmente saziata dal dono relazionale di un'amicizia insperata:

"Rallegratevi con me...". "Bisogna far festa!". Festeggiare

Festa e gioia, felicità proiettata nel cuore stesso di Dio: "Vi sarà più gioia in cielo...".

Brevemente concentriamo ora la nostra attenzione sulla parabola del Padre misericordioso.

Vediamola in tre scene.



PRIMA SCENA: IL FIGLIO GIOVANE.

In questa scena c'è un Dio immaginato come un padre-padrone da cui è preferibile fuggire e

prendere le distanze. La storia del peccato è descritta come un allontanamento dalla casa

paterna, come sperimentazione non solo di una libertà ambigua, ma anche al degrado della

persona.

Il giovane figlio vive in maniera dissoluta. Senza speranza di salvezza. Senza soldi.

Guardiano di porci, sfruttato da persone a cui si consegna, le quali sono più interessate a dar

da mangiare ai porci che a lui.

"Nessuno gli dava nulla".

Frase, questa che risuona come forte contrasto con quel "tutto" che era garantito nella casa

paterna.: "Tutto ciò che è mio è tuo".

Un degrado di umanità che trova il suo culmine nello smarrimento della sua coscienza di

essere figlio.

"Dirò, Padre ho peccato, trattami come uno dei tuoi garzoni!”

Solo dopo aver incontrato un Padre dall'Amore senza confini si avvia verso un vero cammino

di conversione a prova che nessun figlio può sopravvivere a lungo senza l'esperienza

dell'amore paterno.

Le nostre radici sono nella paternità di Dio! Guai a dimenticarlo.



SECONDA SCENA: IL PADRE.

Un uomo scruta la strada deserta. Ha il cuore ferito per l'assenza di un ragazzo che non ha

mai smesso di considerare figlio. Ed ecco l'improvviso ritorno.

Nessun rimprovero.

Nessun giudizio.

Nessuna inchiesta.

Nessun "Ti chiedo perdono" caduto dall'alto. Solo gesti. Gesti di compassione.

Poi una serie di incalzanti gesti affettuosi che mettono in evidenza la "materna paternità di

Dio". Si commuove. Vede, corre, si getta al collo, bacia. Una cascata di verbi che dice gratuità ed affetto smisurato.

Non basta un vestito qualunque: deve essere il vestito più bello.

Non basta il rientro: è necessario l'anello che conferisce tutti i poteri.

Non bastano le normali calzature: ci vogliono i sandali dei personaggi importanti.

Non basta il menù quotidiano: è necessario il vitello grasso per i giorni unici.

Quello che si celebra infatti è il ritrovamento del figlio perduto.

Un figlio che "era morto ed ora è tornato in vita".

Sembrava perduto ed è stato ritrovato. Come è bello, fratelli e sorelle, sentirsi tra le braccia

di Dio! Mi commuovo solo a pensarci.

Consegnati a Lui anima e corpo, per sempre. Consegnati all'Amore.

Non vi sentite anche voi il cuore in "sereno" tumulto: un tumulto che è un sussulto, un balzo

di gioia ed una canto d'amore alla Misericordia del Signore ? Bello! Bello! Bello!

TERZA SCENA: IL FIGLIO MAGGIORE.

Da come parla ed agisce sembra essere la controfigura dei farisei e degli scribi.

Essi sono come i rappresentanti e i 99 giusti che "non hanno bisogno di conversione".

Il figlio maggiore, mostra una totale mancanza del retto modo di rapportarsi con Dio!

Lo immagina come un padrone assoluto ed ingiusto che non sa doverosamente distinguere tra

i figli buoni e quelli scapestrati. Dimentica i primi e si mostra generoso con i secondi.

In realtà dovrebbe premiare i meriti e lasciare gli altri che hanno sbagliato al proprio destino.

E' per questo che il figlio maggiore si sente ferito. E' stato un fedele lavoratore dell'azienda

domestica e giunge a presentare al Padre il conto delle proprie prestazioni servili:

"Io ti servo da tanti anni e tu...".

Anche lui, come il fratello, non ritrova la sua dignità di figlio, ha smarrito il sapore della

paternità e della figliolanza.

Paradossalmente è proprio la folle libertà del Padre a gettarlo nell'amarezza e nella gelosia!

In questo personaggio Gesù dipinge il fariseo di tutti i tempi che vanta di non aver trasgredito

un solo comandamento, ma che non ha mai gustato la gioia di stare vicino al Padre.

Perché? Perché ha concepito il rapporto con Dio come un dovere e non come gratuità di

amore Non solo: egli ha perso il senso della fraternità. Egli infatti dice al Padre: "questo tuo

figlio...".

Solo il Padre vuole aiutarlo a ritrovare la condizione di figlio dicendogli per ben due volte la

dolce parola: "Tuo fratello".

Fratelli e sorelle, quello che la Liturgia ci propone è la parabola che di gran lunga ha avuto

maggiore eco nel mondo della letteratura e dell'arte.

A tutti, figli maggiori e minori, Gesù stasera dice a noi:

Grande è l'Amore del Padre per tutti i suoi figli, quindi anche per noi.

Perché allora stare così freddi, ingrati, egoisti, sicuri di noi stessi?

Come mai il nostro cuore non gioisce di tanta ricchezza ed abbondanza d'amore?

Siamo chiamati a trasalire di gioia per essere stati perduti e poi trovati.

Forse non ne siamo del tutto capaci perchè non abbiamo mai sentita la lontananza dal

Signore, dal Padre, come l'hanno sentita i grandi santi convertiti.

Forse anche perché la nostra vita cristiana si trascina alla meno peggio, come tutti, senza

sussulti e rimpianti.


Il racconto si arresta bruscamente.

Il figlio maggiore deve ora decidere se partecipare alla festa. Che cosa farà?

L'esito rimane aperto e, di conseguenza, questa domanda diventa nostra!

Come risponderemo? Andremo alla festa o no?


  
                  Ventunesima domenica del T.O. - Anno C

Commento al Vangelo di Lc.  13,  22-30


Fratelli e sorelle, il brano appena letto è molto significativo ed esige grande attenzione del cuore. Gesù, nella sua peregrinazione verso Gerusalemme, passava insegnando per città e villaggi. La sua meta era ormai vicina!

Ma è significativo notare come questo viaggio, iniziato in 9,51, dalla Samaria, vede Gesù come il "buon Samaritano, che peregrinando, fa del suo viaggio un ambone da dove proclamare la sua parola.

E' la seconda volta che Luca menziona il viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Adesso, mentre

percorre villaggi e città, viene fermato. Un tale gli pone una domanda importante che riguarda il Regno. Il brano parla della lotta da sostenere per entrarci.

Si parla di una Porta: essa rappresenta Gesù. Attraverso di Lui tutti gli uomini hanno accesso al

Regno e quindi alla salvezza. Ognuno può entrarvi, anche il disperato, l'immondo, l'incurabile.

Unico biglietto di ingresso è il bisogno. Resta fuori chi sta "bene".

La falsa sicurezza e la presunta giustizia sono l'unico impedimento.

Per entrarvi, basta riconoscersi peccatori, bisognosi di essere salvati e guariti. E' necessario

accogliere il perdono di Dio datoci da Gesù, il Signore.

Inizia così la seconda parte del viaggio di Gesù verso Gerusalemme.

Il tema di questa sezione è appunto la misericordia e l'accoglienza festosa che Dio vuole dare ad

ogni uomo. La porta stretta come cruna di un ago, per chi presume dei suoi beni, sarà aperta, ancorché stretta, per chi riconosce la propria cecità.

La domanda: "Sono pochi quelli che si salvano?" La lezione è il suo stesso viaggio: in esso Gesù

ci rivela che Dio "ci ha salvati"

Salvo è il giusto che sale il monte del Signore per stare davanti al suo Volto. La salvezza è l'unico problema serio dell'uomo. Tutte le religioni sono un tentativo di soluzione a questo problema.

Per Gesù invece "salvare" è un verbo che per l'uomo si coniuga al passivo.

Infatti l'uomo non si salva, ma è salvato. Salvato dalla grazia e dalla misericordia di Dio.

Il Regno non è un oggetto di rapina: e' l'eredità che Dio dona ai suoi figli. E' quindi vero che la porta è strettissima: nessuno infatti si salva. Ma è anche larghissima, perché tutti veniamo salvati!

Questa infatti è la Volontà di Dio: che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della

verità. Lo dice Paolo nella prima lettera a Timoteo.

Per essa passano tutti i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi, come ci fa comprendere lo stesso Luca

in 14, 21. Gesù dunque non risponde alla domanda dello sconosciuto, perchè non ha senso.

Nessuno infatti si salva, ma tutti possiamo essere salvati!

Basta essere peccatori bisognosi tali da poter attraversare la porta stretta! Gesù a riguardo utilizza

un verbo oltremodo significativo. La traduzione attuale dice "Sforzatevi..."

E' più aderente al testo greco tradurre "Lottate..." Bisogna dunque lottare per entrare attraverso la

porta stretta. La salvezza è un dono, certo. Ma costa solo la fatica di aprire il cuore e la mano per

accoglierlo. Basta ardentissimamente desiderarlo.

Ma è una grande lotta! Il cuore dell'uomo infatti spessissimo, è duro! La mano è rattrappita.

Ma in che cosa consiste la lotta? Essa consiste nella contemplazione: con il bussare nella notte per

ottenere il pane, con il pregare con insistenza per ottenere lo Spirito.

I santi Padri ci insegnano che nelle cose spirituali è importante la lotta.

Gesù stesso lottò nella preghiera. E lottò fino a sudare sangue.

Il dono non toglie l'iniziativa. E' anzi un pegno che impegna!

Il suo costo è la vita stessa. Inoltre bisogna fare come se tutto dipendesse da noi, sapendo che tutto

dipende da Dio! Può sembrare paradossale: ma è così.

Il dono esige impegno: la lotta per entrare nella porta stretta. Lottare con e nella preghiera, lottare

per intercedere, lottare come Giacobbe, come Abramo, come Mosè, fino a quando il cuore di Dio

non "crolli"! Di san Francesco, le Fonti francescane dicono: Francesco saliva a Dio con la preghiera

e poi ridiscendeva per stare con gli uomini. Da qui il suo lottare nella preghiera! Così scrive il

Celano nella prima biografia del Santo.

In questa ottica si eliminano la pusillanimità e l'ansietà, i due sentimenti che in ogni combattimento

fanno perdere in anticipo.

Perché la porta è stretta? Questa porta larghissima, che è la misericordia di Dio, qui è chiamata

stretta. Infatti una cosa costa meno a pagarla che a riceverla in dono.

Inoltre ricevere la salvezza significa ammettere di essere perduti: è la morte di tutte le nostre

presunzioni! La salvezza ha come porta l'umiltà.

Va lasciato fuori il protagonismo. Convertirsi è accettare di vivere della e nella sua misericordia.

E' accettare di non avere nulla. Accettare di non meritare nulla! Accettare di essere perdenti.

Non è facile! Ecco perché bisogna lottare e perché la porta è stretta!

E' difficile per l'uomo, orgoglioso di natura, accettare di essere un perdente in ordine alla salvezza,

se prima non dichiara la propria incapacità a darsi salvezza da solo e uccidere il proprio "IO".

Entrare per la porta stretta è infatti la morte dell'IO, è la morte della sua vera o presunta perizia,

per accettare di vivere “di e con Dio” e della sua grazia.

Per questo, la più grande conversione è riconoscere il proprio peccato: stare all'inferno, senza

disperarsi: infatti c'è pronta una porta da varcare.

Diceva Silano del Monte Athos: "Chi conosce il proprio peccato è più grande di chi risuscita un

morto! "Questa è la porta più stretta che ci sia per un giusto: se il peccatore ci scivola dentro naturalmente, il giusto, più si accanisce ad accrescere il suo bagaglio di giustizia, più ne è

impedito.

Per questa porta stretta si passa solo mediante la compunzione. Come quella che trafisse il cuore

degli abitanti di Gerusalemme quando udirono da Pietro che il Signore è il Messia, è quel Gesù che

"voi avete crocifisso" (Atti)

Il proprio peccato è il luogo dove si riconosce chi è il Signore: uno che ama, perdona, e salva.

Chi non sa fare questa lotta, alla fine troverà inesorabilmente la porta chiusa.

Non basta aver cenato con il Signore, non basta averlo ascoltato nelle piazze, non basta aver

profetato nel suo nome! No! Non basta!

Occorre la lotta interiore per conoscere, nell'umiltà, il proprio bisogno di essere salvati.

Ed accadrà che, mentre molti di noi, fratelli e sorelle, abbiamo fatte tante preghiere, partecipato a

tante eucaristie, e altre cose del genere, non entreremo, solo perché non abbiamo avuto tempo di

conoscere il nostro peccato e di dire con intima compunzione: Signore Gesù, abbi pietà di me peccatore!

Fratello e sorella, spogliati da tutte le tue presunzioni!

Altri, che vengono da lontano, ti precederanno, entreranno per quella porta!

Mentre tu puoi correre il rischio di non entrarvi affatto! Disarma il tuo IO, rendilo inoffensivo.

Disarma! Questa è la tua e la mia lotta!

Beati noi se, aiutati dalla grazia e dal desiderio ardente come una passione, avremo saputo lottare,

per entrare . Questa è la "Regola" del Vangelo. Non ci sono scorciatoie!

Quindi il senso è : far morire in noi la capacità a saper fare bene in ordine alla salvezza nella Gloria

del Regno!

E' la celebre espressione di Silvano del monte Athos: stare all'inferno significa stare nel proprio

dolore o nella propria sofferenza senza disperare: Dio ci viene a salvare, ci lascia passare attraverso

la porta stretta. Dice lo stesso Silvano, che la discesa agli inferi di Gesù, significa anche che Gesù

stesso è sceso nel cuore del nostro peccato, del nostro inferno, e ci ha tirati su con la sua potenza

d'amore.









                   Diciannovesima domenica del T.O - Anno C
 
 Commento al Vangelo di Lc. 12, 32-48 
 

"Non temere, piccolo gregge, perché al Padre è piaciuto dare a voi il Regno".

Con questa Parola di Gesù inizia il vangelo "domenicale". In realtà essa conclude il brano

precedente dove Gesù aveva parlato ai suoi discepoli sull'abbandono alla Divina Provvidenza.

"Non temere"! Temere, avere paura è il contrario della fede!.

La fede si nutre delle difficoltà della vita e ad esse dona senso e valore.

Certamente dietro a questa esortazione c'è da leggere la situazione della Chiesa o delle

comunità cristiane le quali si sentivano "piccole" davanti ad un mondo da conquistare, e poi

le scoraggiava il ritardo della venuta del Signore: il suo ritorno! Non temere, piccolo gregge!"

Accortamente Gesù richiama il tema del bel pastore che si prende cura delle pecore. Esse non

devono temere. E' un piccolo gregge? Tale deve rimanere. I discepoli, anche se sono miriadi

di folle, restano sempre un gregge con il marcato carattere della piccolezza.

Il suo Pastore infatti si è fatto piccolo. La Chiesa dovrà restare sempre "piccola", piccolo

gregge, e non dovrà mai avere la pretesa di diventare forte. Perché sempre "piccoli?"

"Perchè a voi il Padre si è compiaciuto di consegnare il Regno. Gesù lo aveva detto nella sua

preghiera al Padre: la preghiera di benedizione:

"Ti benedico, Padre Signore del cielo e della terra perché ti sei compiaciuto di rivelare queste

cose ai piccoli..."

Detto questo, Gesù indica agli apostoli e quindi a noi "oggi" la modalità dell'essere piccoli.

"Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina...."

La modalità indicata non è quella di rigettare i beni come se fossero cattivi, o almeno abolire il

denaro. Suggerisce invece di farne un uso completamente opposto a quello della paura della

morte: vale a dire accumulare per sentirsi sicuri e garantirsi una vita più che agiata.

In questo modo i beni tornano ad essere come Dio li ha voluti e pensati: da possesso di una

eredità, che dividono i fratelli, diventano dono che li unisce tra di loro e con il Padre.

"Datelo in elemosina" dice Gesù.

L'elemosina non è dare qualche spicciolo ad un povero, compiere un'offerta ad un'associazione caritatevole. L'elemosina è la soluzione per vivere con giustizia ed equità in un mondo ingiusto, come il nostro, dove predomina l'egoismo. Poi Gesù prosegue: "Fatevi borse che non invecchiano".

Ma non le aveva proibite ai discepoli quando li manda a due a due a predicare?

Ma qui è diverso. Si tratta di una borsa diversa: quella che non invecchia mai. Vale a dire

quella che è sempre nuova e giovane: è la borsa che contiene il dono della misericordia.

Questa non invecchia: è infatti l'inizio del mondo nuovo.

In essa si ripone solo ciò che si tira fuori, si accumula, ciò che si dona.

Queste sono le borse autentiche del discepolo! Alleggerito in tal modo, il discepolo si può mettere in atteggiamento di attesa: l'attesa del Signore.

Ed ecco che si apre un nuovo brano. Aveva chiuso dicendo: "là dove è il vostro tesoro, là sarà

anche il vostro cuore!".

L'errore dell'uomo, anche quello nostro, è di non avere il cuore dove è il nostro vero tesoro: Dio e il suo Regno!

Così non più appesantito dall'egoismo, il discepolo sa mettersi in attesa della venuta del

Signore. L'uomo diventa ciò che attende. Chi attende la morte, diventa suo figlio e produce a sua volta morte. Chi attende il Signore Gesù, ha la stessa vita di Figlio del Padre.

L'esistenza cristiana è esistenza fatta di attesa. La sua forza è la speranza, come perseveranza nell'attendere!

L'esistenza cristiana è esistenza di attesa di Colui che deve tornare: lo sposo!

Il discepolo sulla terra non ha una dimora fissa, non ha qui la sua patria.

La casa della sua nostalgia è altrove. Straniero e pellegrino sulla terra, non ha quaggiù una

città stabile, ma cerca quella futura, come dice l'autore della lettera agli Ebrei (13, 14).

Attendere. Ma il tempo dell'attesa non è vuoto.

E' il tempo della salvezza, in cui la Chiesa ed ogni discepolo, nella sua piccolezza, testimonia il

suo Signore. La storia in tal modo diventa il luogo della decisione e della conversione.

La nostra vigilanza non è uno scrutare nel buio! E' un tenere accesa davanti al mondo la luce

del Signore.

"Voi siete il sale della terra e la luce del mondo", aveva detto Gesù.

Aspettare camminando! Quando cammino come Lui ha camminato, presto i miei piedi al suo ritorno!

Quali sono le modalità dell'attesa? Gesù le enuclea ai suoi discepoli con una parabola.

E' la parabola del Padrone che ritorna dalle nozze. "Siate pronti, con le vesti strette ai

fianchi e le lampade accese..."

Le vesti strette, alla lettera i lobi cinti, indica la tenuta di lavoro, di servizio, di viaggio.

E' l'atteggiamento prescritto per la festa della Pasqua in Esodo 12, 11.

Per aspettare il Signore, non c'è da guardare in cielo, ma da testimoniare sulla terra!

La missione del Signore diventa la stessa del discepolo e della Chiesa.

Essere poi lampade accede significa portare il fuoco dell'Amore dovunque!

Viene il Signore, nell'ora che Egli solo conosce: il nostro compito è vivere quotidianamente

impegnati ed essere Parola di fuoco che fà divampare la terra.

Quanto pochi sono oggi i discepoli che sanno fare questo!

Quanti veri discepoli mancano all'appello del Signore?

Vivere una vita cristiana senza attesa di futuro è uccidere la Parola che di futuro si nutre mentre riempie di senso il nostro presente. Chi è il cristiano?

Gesù, attraverso la Parabola ci dice che il cristiano è un uomo in attesa del suo Signore.

Ogni giorno: con la forza dell'Eucaristia e la Bellezza infuocata della Parola.

Uomini in attesa del loro Signore! Mi piace tanto questa definizione del cristiano.

Vorrei che piacesse anche a voi, fratelli e sorelle!

Il Padrone, quando finisce le nozze viene e bussa!

Finisce le nozze! La vita terrena di Gesù è stata il tempo delle nozze!

La sua morte è la fine della celebrazione nuziale e l'inizio dell'unione matrimoniale!

Sulla Croce Dio si è fatto una sola carne con noi nella nostra morte, per poi farci un solo

spirito con Lui nella resurrezione.

Il Padrone "viene e bussa".

E' chiara l'allusione eucaristica: Gesù, come è detto nel libro dell'Apocalisse, viene e bussa per

cenare con noi! La sua venuta escatologica è vissuta quotidianamente nel banchetto eucaristico!

Gli aprono subito! Sono pronti i servi: hanno saputo attendere nel cuore della notte!

E vivono la beatitudine del Regno.

Chi non conosce il Signore cerca la sua beatitudine in ciò che possiede. Chi conosce il Signore cerca e trova la sua beatitudine nell'accogliere il suo Signore e farsi servire da Lui.

Siate dunque vigilanti! Dice il Signore! Il credente veglia nella notte del mondo. E il mondo conosce molte notti! Concludo fratelli e sorelle, con la domanda di Pietro: "Signore questa parabola dell'attesa la dici per noi o per tutti?"

Gesù, concludendo, fa chiaramente intendere che la dice per tutti, purchè ognuno sappia

prendersi le sue responsabilità La nostra responsabilità è solo quella di essere cristiani: uomini che vivono la beatitudine dell'attesa. E alla fine sarà festa! Festa con il Signore e per il Signore.

Cosa facciamo noi per prepararci a questa festa di nozze eterne con l'Agnello santo?




 Diciottesima domenica del T.O - ANNO C

 COMMENTO AL VANGELO DI  Lc 12,13-21 di Padre Augusto Drago



Penso alla ricchezza come elemento che mi allontana dal Signore e lo recide dalla mia vita.

Ma quale ricchezza? La domanda si impone.

Infatti quando, di solito parliamo di ricchezza, pensiamo alla quantità delle cose che

possediamo, ai soldi, alle cose che catturano la nostra concupiscenza.

Credo che questo sia un modo molto riduttivo di considerare la ricchezza che mi allontana dal

mio Signore. Basta infatti che io sia terribilmente attaccato a quel poco che ho!

La ricchezza allora non è qualcosa di quantificabile.



In realtà essa tocca la sfera emotiva e possessiva di ciascuno di noi.

Il suo vero nome è: "Attaccamento".Attaccamento anche al poco o nulla che si ha.

Posso avere infatti poco ed essere ricco lo stesso.

Quando anche il poco diventa importante per noi, tanto importante da farci dimenticare Dio,

allora è ricchezza!



Dio non guarda alla quantità ma alla qualità delle cose e al modo con cui ci relazioniamo con

esse. Su questo punto credo che tutti, io per primo, dobbiamo fare uno stringente esame di

coscienza! Di quante "piccole" cose è fatta la nostra vita, tanto piccole da diventare grandi ed

importanti per noi, sì da difenderle con le unghie.

Possiamo giungere a far dipendere la nostra vita e la sua felicità anche da piccole cose, se esse

prendono il posto di Dio. Possiamo dire tante cose sulla ricchezza! Ma la vera riflessione deve

essere portata sull'attaccamento che abbiamo alle cose! E' importante comprendere questo

concetto.



Se, infatti restiamo attaccati all'idea che non siamo ricchi perché non abbiamo un conto in

banca a dieci cifre, ma tuttavia siamo ricchi se siamo attaccati alle nostre cose, ai nostri vizi, alle cose che anche umanamente e giustamente amiamo, e che in realtà mettiamo al posto di Dio.

Credo che Gesù questo abbia voluto dirci.

Guardiamo dunque alla qualità della nostra vita, ricordando che la più grande ricchezza che

abbiamo e che elide Dio dalla nostra vita, è il nostro "IO"!

Fintantoché non lo avremo "rinnegato" saremo sempre ricchi di noi stessi: eterni adoratori di

noi stessi, e quindi idolatri.



Signore liberaci dal nostro io prepotente, arrogante, possessivo, egoista!

Dio non conosce solamente il cuore dei farisei, ma conosce anche il mio

Dice il Salmo 139:

"Signore tu mi scruti e mi conosci, tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo,

intendi da lontano i miei pensieri, osservi il mio cammino e il mio riposo,

ti sono note tutte le mie vie..."



Dio conosce il mio cuore!

Posso nascondere agli altri i miei pensieri, posso fare due facce davanti agli altri, posso

nascondere con un falso sorriso accattivante il disprezzo che sento di provare per qualcuno,

posso pensare una cosa e dirne un'altra: ma Dio conosce il mio cuore: davanti a Lui non posso

barare!

Egli mi giudicherà secondo quello che vede nel sacrario del mio cuore!

Signore, ti prego, dammi un cuore semplice, da fanciullo,

limpido e trasparente, amante della Verità e che non sappia camuffare nulla,

e che sia luminoso come il meriggio, carico e pieno della Bellezza dei tuoi pensieri.

Che i miei pensieri siano i tuoi, e i tuoi i miei pensieri.

"Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio". Ed io voglio ardentissimamente vederti mio Signore.




Se Agostino poteva dire "Tardi ti ho amato" significa che sentiva nostalgia di un vero amore che potesse saziare la sua Vita. E noi vi abbiamo fatto l'abitudine.
Ne abbiamo perso l'entusiasmo e non cerchiamo di rinfocolare il desiderio e la passione di cercare Colui che, nel terreno della nostra vita e della nostra storia, è pur presente, ma non ci dice più nulla!


La conversione, la sequela di Cristo esige un pronto e radicale distacco. Non un distacco forzato, ma un distacco che nasca da una scelta.
Sì, fratelli e sorelle: dobbiamo riscegliere Colui che un giorno abbiamo scelto!
Una scelta viva, forte, dinamica, che non si sazia mai, perché Dio e il Volto della sua Bellezza, non hanno mai fine.


Chi segue davvero Gesù, non dice mai "Ho lasciato", ma "Ho TROVATO!" Ho trovato un tesoro! E di conseguenza, rimane nella gioia per aver trovato il tesoro.
La misura dell'essere discepolo, oggi come sempre, è l'appartenenza a Lui, non il distacco dalle cose. Una vera sequela si compie spinti solo dalla gioia di aver trovato!
"Cercai l'Amore dell'anima mia lo trovai , lo strinsi forte e non lo lascerò mai" (Cantico dei Cantici, 3,4)

Possiamo dire davvero di avere scelto?


Per amore del denaro bisogna essere disposti a rinunciare alla propria dignità, ad ingannare, a rubare, a rovinare gli altri, a perdere le amicizie, a trascurare persino la moglie e i figli, bisogna essere pronti persino ad uccidere! Così accade a chi si fa schiavo delle ricchezze!
Dio invece è Amore provvidente. Fare la scelta di vita per Lui, è compiere una scelta di libertà e al tempo stesso accogliere tutto il tempo che l'Amore del nostro Dio ci dedica nel non farci mancare il necessario. Ma questo avviene solo mediante una scelta che non può essere che una scelta di fede.


Qui la fede stà proprio come fiducia, abbandono nelle mani della Provvidenza.
Siamo suoi figli: se una madre non abbandona il proprio figlio, tanto più il Padre, che è nei cieli e che ha tempo per noi, non ci abbandona nelle strada della vita.
Nessuno può servire due padroni! Noi, spesso, vorremmo tenerceli tutti e due! Convinti che quello che non ci concede l'uno, ce lo concederà l'altro.


Ma i due, Dio e mammona, non sono soci, per così dire, soci in affari.
Sono antagonisti, non possono stare insieme nel cuore dell'uomo.
Essi danno ordini opposti! Il Padre che è nei cieli ripete: "Ama, aiuta il tuo fratello!".
Il denaro dice: "Sfrutta il povero, non dare nulla gratuitamente, non preoccuparti affatto di chi è nel bisogno, divertiti, godi fino all'eccesso i tuoi beni!
Allora quale padrone scegliamo?




     Diciassettesima domenica del tempo ordinario - Anno C

                                         Commento al Vangelo di Luca 11,  1-13


Dopo aver sostato nella casa di Marta e di Maria, Gesù riprende il suo cammino verso Gerusalemme. Ma subito dopo Luca ce lo presenta nel momento di una seconda sosta

Gesù si trova in preghiera in un luogo non bene precisato. Di solito Gesù prega in perfetta solitudine durante la notte: Egli si rivolge al Padre suo nella quiete notturna quando solo il silenzio si fa voce di amore e di dialogo nel suo Cuore di Figlio. Questa volta invece Gesù è colto in "flagrante" atteggiamento di preghiera dai suoi discepoli, in pieno giorno.

Essi, i discepoli, se ne stanno in disparte. Sono profondamente attratti dal modo di come Gesù prega. Aspettano che Egli finisca per accostarsi a Lui. Attratti ed affascinati dalla sua preghiera, gli chiedono: "Insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha fatto con i suoi discepoli!" Luca ci vuole sottolineare tre cose importanti.

La prima è che Gesù insegna a pregare pregando. La sua preghiera è attrattiva, irresistibile.

Stava parlando con il Padre suo: quindi tutto il suo spirito ed anche il suo corpo possedevano una luce ed un fuoco di amore. Affascinante Gesù quando prega! Tanto affascinate da indurre i discepoli a chiedergli di poter pregare come Lui prega.

La seconda cosa che Luca intende dirci è che desiderano una preghiera che sia anche la sintesi di tutto il Suo insegnamento.

"Insegnaci a pregare come anche Giovanni ha insegnato ai suoi", significa: "dacci la tua preghiera, dacci il tuo modo di pregare...".

Terza cosa che Luca vuol mettere in evidenza è che la preghiera che Gesù si accinge a donare ai suoi discepoli non è diversa dalla sua. Gesù infatti prega il Padre.

E la prima parola della preghiera è "Padre!".

Dunque la preghiera del Padre nostro non è solo un modello di preghiera, ma è soprattutto la stessa preghiera di Gesù, quella che Egli rivolge al Padre. Vorrei che capiste bene questo passaggio fratelli e sorelle! Noi, quando recitiamo il Padre nostro, non diciamo una formula devozionale di preghiera:

nello Spirito preghiamo "come" Gesù!

Come sarebbero diversi i nostri "Padre nostro" se pensassimo a questo aspetto.

Da gemere di gioia e allo stesso tempo tremare e far sussultare il cuore.

“Osiamo dire..."

La preghiera del Padre nostro caratterizza fino in fondo il messaggio del Regno.

Il messaggio di quella situazione nuova di salvezza in cui ogni discepolo si trova collocato.

In questa preghiera e per questa preghiera testimoniamo che l'opera salvifica del regno è già in atto, ma ne chiediamo la pienezza escatologica.

Giustamente Tertulliano, uno dei Padri della Chiesa del terzo secolo, poteva dire:"La preghiera del Padre nostro è il breviarium totius evangelii, vale a dire la sintesi dell'intero Vangelo.

Ciò significa che quando preghiamo con la preghiera di Gesù, noi entriamo dentro la totalità del Vangelo con lo sguardo rivolto al regno e sospirando ad esso e al suo compimento.

Chi comprende la preghiera del Signore ha capito perciò stesso tutto il messaggio di Gesù.

Chi del Pater fa la sua preghiera, ha trovato la chiave per comprendere il messaggio di Gesù.

Anzi vi è già dentro. Lo percepiamo così il "Pater noster?". Non è una domanda da poco! Ma ad essa dobbiamo pure dare una risposta dentro la nostra coscienza e dentro la nostra vita cristiana.

Per sua natura il Pater è una preghiera collettiva:

"Quando pregate dite...." Il verbo è al plurale, Gesù si rivolge ai suoi discepoli e quindi alla comunità

Il Pater è la preghiera della Comunità, è la preghiera della Chiesa per eccellenza!

Anche quando lo recito da solo, mi devo sentire in comunione con tutti i miei fratelli sparsi nel mondo: "Padre nostro" non Padre mio! Anche il Vangelo riporta la preghiera del Pater in 6,9-13.

Siamo nel contesto del grande discorso della montagna.

Ma il testo di Luca è un pò diverso.

Matteo contiene sette domande, Luca le riduce a cinque. Fermiamoci un istante all'introduzione lucana."Padre!"

Gesù in tutte le sue preghiere si rivolge al Padre. Ha un' attentio cordis", come dicevamo ieri sera, verso il Padre.

Padre, in aramaico la parola che Gesù utilizza è "Abbà", parola intrisa di un profondo legame affettivo:

come a dire "babbino mio"! Oggi diremmo addirittura "Papy"!

Tanta familiarità affettuosa e carica di amore.

Nella comunità ebraica solo i bambini chiamavano così il loro papà. Ma mai questa espressione veniva detta in riferimento a Dio!

Troppo Alto, troppo grande, troppo distante...Ma Gesù è il Figlio dell'amore del Padre, ci ricorda Paolo nella lettera ai Colossesi.

C'è dunque una intimità profonda e straordinariamente misteriosa nel rapporto tra Gesù e il Padre. Ebbene, Gesù consegnando questa sua preghiera ai discepoli e quindi alla Chiesa, comunica ad essi e quindi a noi la stessa capacità di avere con il Padre la stessa intimità con Gesù.

Oh! Fratelli e sorelle se lo potessimo capire con il cuore e non solo con l'intelligenza!

Piangeremmo di gioia ogni qualvolta diciamo: Padre!

San Francesco diceva "Oh, come è bello e santo e meraviglioso avere un Padre nel cielo...."

e nel dire questo si commuoveva ed esultava di gioia.

E noi? Vi abbiamo fatto l'abitudine.....!

Per favore, vi prego fratelli e sorelle, riflettiamoci!

L'idea della paternità di Dio, specialmente nel vangelo di Luca è assolutamente predominante! Con la preghiera del Pater, Gesù dona a tutti la possibilità di imitarlo chiamando Dio con il dolcissimo nome di Padre. C'è dunque qualcosa di veramente grande in questa preghiera. Una rivelazione nuova ed impensabile. Non si tratta infatti di una filiazione più o meno metaforica,

ma stupendamente vera e reale. Questa è la nostra dignità di cristiani!

Se qualcuno mi dovesse chiedere chi sono, dovrei semplicemente rispondere: sono figlio di Dio in e come Cristo Gesù.

Nelle prime due domande cosa chiediamo con Gesù al Padre? "Sia santificato il tuo Nome

Venga il tuo Regno!

La domanda centrale è la seconda: venga il tuo Regno. Essa è il cuore di tutto il messaggio evangelico. Il senso della domanda non è "missionario" nel senso che si chiede che in questo mondo venga ora, adesso, il suo Regno. Il senso è prima di tutto escatologico: Gesù ci fa chiedere al Padre che affretti la pienezza dei tempi e che il Regno rifulga in tutta la sua pienezza. Questa seconda e centrale domanda è preparata dalla prima." Sia santificato il tuo Nome".

Alla lettera: "Santifica tu il tuo Nome". Questa espressione la troviamo nel libro del profeta Ezechiele, dove ha il significato di "manifestare la grandezza del Suo Nome".

Chiediamo dunque al Padre che venga il suo Regno e quando esso verrà, il suo Nome, cioè Lui stesso sarà glorificato ed esaltato. Per questo, la prima parte del Pater viene chiamata da Diongi l'Aeropagita, la preghiera del sommo desiderio"!

Sommo desiderio del cristiano è infatti e deve essere, la rinnovazione di tutte le cose in Cristo: quando Dio farà nuove tutte le cose ed apparirà nella Bellezza del suo splendore.

Seguono poi le due domande temporali.

"Continua a darci ogni giorno il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri peccati, perché anche noi li rimettiamo ad ogni nostro debitore". Pane e perdono: ecco cosa chiediamo al Padre per il nostro vivere quotidiano.

Pane e perdono: due valori che nutrono oltre che il corpo, anche la vita dello spirito.

Il perdono infatti cancella il peccato e ci butta nelle braccia gli uni degli altri. Siamo fratelli!

E lo siamo perché abbiamo un unico Padre. Siamo Una grande famiglia. Quale pace ed armonia ci sarebbe nel nostro vivere in comunità, in famiglia, nella società se tutti fossimo davvero convinti di questo!

Come cambierebbe la qualità della nostra vita: sarebbe una piccola ma significativa anticipazione del Paradiso!

La domanda conclusiva: Nell'ora della tentazione non abbandonarci!

La tentazione è ineluttabile nella nostra vita umana. Siamo sedotti da tante cose! E' bello che il figlio chieda al Padre: aiutami a non farmi sedurre da nessuno e da nessuna cosa!

Voglio essere sedotto solo da Te e dal tuo Amore! Chi di noi è capace di pregare veramente così?

Infine, per chiudere questa riflessione,

vorrei farvi notare, fratelli e sorelle un parallelismo molto significatico

C'è un fortissimo richiamo tra la preghiera del Pater e la preghiera di Gesù al Getsemani:

“Padre si faccia la tua volontà. Non la mia, ma la tua volontà”

Non ci abbandonare alla tentazione. Pregate per non entrare in tentazione

Nella preghiera che Gesù ci ha insegnato c'è dunque anche la preghiera del Getsemani, la preghiera sofferta del nostro Salvatore. Preghiera vissuta, sofferta consacrata dal sangue del divino Agnello. Ne consegue che con la preghiera del Pater non ci è stato consegnato un modello di preghiera,

ma la stessa preghiera di Gesù, con il carico della sua Umanità protesa verso il compimento della Volontà del Padre. Possiamo allora concludere affermando che la nostra preghiera del Pater è il contatto più vivo, e più consacrante con l'umanità di Cristo a cui siamo intimamente associati.

Grandezza di questa preghiera! E' il Pater!





               Sedicesima domenica del tempo ordinario - Anno C -
               
                                          Commento al Vangelo di Luca 10, 38-42

Domenica scorsa abbiamo letto il dialogo di Gesù con il dottore della legge: chi è il mio prossimo?
Gesù racconta la parabola del buon samaritano.
Tutto poi termina con le parole esortative di Gesù: "Và e fà anche tu così!
Nella figura del Samaritano c'è quella di Gesù. Egli è Colui che si mette in cammino in cerca di chi è caduto in terra semimorto ed ha bisogno dell'olio della consolazione e del vino della speranza.
Ed ecco ora Gesù, il Buon Samaritano, che si rimette in cammino: la sua meta è Gerusalemme, dove già per Lui stanno preparando la Croce. E' un lungo cammino. E' stanco, il buon Gesù, nostro Samaritano.
In un villaggio trova una casa ospitale dove potersi riposare. E' la casa di Marta e di Maria, le sorelle di Lazzaro.
Il Buon Samaritano arresta per un momento il suo cammino verso Gerusalemme.
Ma anche qui ci sono due modi di essere accolto: Marta e Maria, ognuna di esse riflette un certo tipo di accoglienza.
Marta lo ospita. Maria invece subito si siede ai suoi piedi e ne ascolta la Parola, accogliendola in sé, nella sua gioia interiore.
Marta è indaffarata e un pò tesa, si dà da fare per dare buona ospitalità al Signore, ma forse, per la troppa ansia, nemmeno si accorge di Lui se non nel momento in cui si rivolge a lui perché comandi a Maria di venire ad aiutarla. Non possiamo sapere se per ansia del troppo da fare o per un pò di invidia nei confronti della sorella.
Maria è nella pace serena di chi sa che nulla è più importante della presenza del Signore e della sua Parola: il resto per lei è un sovrappiù. Gioisce interiormente per la presenza dello Sposo.
Gesù le annuncia la sua Parola: Egli è dunque il Buon Samaritano che sta servendo. Maria non fa altro che accogliere con gioia il servizio della Parola che Gesù le porge. Il servizio della Parola! Per questo Gesù è venuto tra noi! A darci le fragranti Parole del Signore.
Maria ne coglie il profumo e la soavità. Si sente attratta da ciò che Gesù, servendo, le dice!
Maria si fa amorevolmente servire, accoglie il servizio del suo Signore.
"Non sono venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita in riscatto per molti" dirà Gesù.
Egli è il Servo, il buon Samaritano, che con l'olio e il vino della sua Parola guarisce ed ammalia le anime, facendole innamorare di sé.
Marta, per quanto buona e premurosa, non arriva a comprendere questo mistero. "Maestro, non ti importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire?" Poi, sembra quasi dare un "comando al Signore: "Dille dunque che mi aiuti!"
Carattere forte ed impetuoso quello di Marta! L'ansia di fare bene e tutto per dare una degna ospitalità al Signore, per dargli onore, non le fa comprendere la cosa più importante: che Gesù va servito anzitutto accogliendo il suo servizio: il mistero della Parola.
La presenza di Gesù è gioia adorante per Maria, fatica per Marta.
Le due, tuttavia, non sono in opposizione: sono sorelle! La contrapposizione è vista solo da una che vuole richiamare l'altra al suo dovere.
Gesù invece richiamerà Marta a trasformarsi in Maria. Attenti: bisogna a questo punto evitare con forza lo stereotipo della contrapposizione tra vita contemplativa (Maria) e vita attiva (Marta).
La seconda sarebbe inferiore alla prima!
Non è proprio intenzione di Luca presentarci in questo modo la lettura del racconto. Egli ci dice semplicemente che Gesù vuole purificare l'azione “nella e con” la contemplazione.
Le due cose fra loro devono restare come sorelle!
Sorgente dell'azione di Maria è la gioia e l'ascolto dello Sposo.
Riconoscendo e stando vicina a Colui che le si è fatto prossimo, è in grado di fare quanto Lui dice: " Và e fà anche tu lo stesso!"
La sua azione scaturirà dalla contemplazione.
E dalla contemplazione Maria non si staccherà mai: lì è la forza dell'agire nell'Amore!
Resterà sempre contemplativa anche nell'azione. In lei si vede il capovolgimento operato dal Vangelo: può finalmente amare ed accogliere, perché Lui per primo l'ha amata ed accolta.
Il silenzio assoluto di Maria, che non fa e non dice nulla, è il perfetto rinnegare il proprio "io" che si affanna ad affermarsi, con il bene o con il male (poco importa), pur di essere protagonista. Maria si dimentica di sé e si realizza nella forma più alta di vita.
E' per l'Altro e dall'Altro, tutta intenta in Colui che ascolta, tutta raccolta nell'Altro che
accoglie!: In Maria che ascolta e vede il "Buon Samaritano", c'è la consumazione della
beatitudine del discepolo: vedere ed ascoltare il Signore (cf: Luca 10, 23 e seguenti).
Il brano in tal modo ci richiama il fondamento del nostro stesso discepolato.
Esso non consiste nelle cose che si fanno - pur necessarie ed importantissime - ma nell'ascoltare Gesù e poi fare, tutto rimanendo dentro il mistero dell'Ascolto!
La prima opera di Gesù, il Buon Samaritano, è la prima opera di misericordia del Padre
verso tutti i suoi figli.
Infatti: "Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni Parola che esce dalla bocca del Signore"
(Luca 4,4).
Maria aveva preso i piedi del Signore! Accoccolata.
Sono i piedi del divino Pellegrino, i piedi del Buon Samaritano, che và a Gerusalemme, sulla via della pace, anche se ivi troverà il flagello, la croce. e poi la morte.
Quei piedi che, da tutti gli angoli di perdizione del mondo, camminano verso il Padre.
Sì, Maria ha capito! Ha scelto davvero la parte migliore: operare nella contemplazione e nella Parola del suo Signore.
Fratelli e sorelle, sapremo noi, poveri viandanti in questo mondo, noi desiderosi di essere
discepoli e discepole del Signore, fare altrettanto?
Da soli, certamente no!
Ma con la sua Grazia certamente sì! Basta darGli la giusta, la vera, la santa ed adorante accoglienza nel sacrario e nella casa del nostro cuore! Amen.


         Quindicesima domenica del tempo ordinario – Anno C
                                               
                                               commento al Vangelo di Luca 10, 25-37

Fratelli e sorelle, questa sera sento nel cuore di proporvi un modo diverso di riflettere sulla pagina del Vangelo. Non vogliamo guardare ciò che ci racconta il testo. Vorremmo entrarci dentro per "vedere", contemplare, essere spettatori di quanto avviene.
Una riflessione pregata e contemplata.
Signore Gesù, tu sei sempre tentato, messo alla prova. Satana ci ha provato all'inizio della tua predicazione. Ti voleva fermare. Sei stato tentato, messo alla prova, dai tuoi nemici, stasera è un dottore della legge, un "nomikòs" che vuole metterti alla prova!
Tu sei Verità! Per questo sei sempre tentato e messo alla prova dallo Spirito della menzogna.
La menzogna ha sempre paura di essere annientata da Te che sei Verità pura, limpida, assoluta Perchè ti vuol mettere alla prova il nomikòs, il dottore della Legge? Sei sottoposto ad una vera e propria tentazione. Ma perché o Verità eterna e di Amore?
Egli ti chiama "Maestro" si mette alla pari con te. Ti chiede qualcosa apparentemente interessante riguardante l'eredità della Vita eterna. Che cosa poteva nascondere questa domanda? Quale menzogna si tirava dietro?
Al tuo tempo, Signore, lo abbiamo visto, c'erano molte scuole di alta teologia che insegnavano vie diverse per entrare nella vita eterna.
Il Nomikòs vuole semplicemente conoscere la tua risposta per metterti poi contro tutte le altre scuole rabbiniche! Vuole ingannarti!
Gesù, perdonaci! Anche noi tante volte ti mettiamo alla prova, ti tentiamo, lo facciamo con le nostre domande, spesso astruse, senza senso, se non quello di carpirti qualcosa di cui abbiamo bisogno. Ma si tratta di cose effimere ai tuoi occhi. La tua Verità non è fatta per l'effimero, ma per la Vita! Ti chiediamo delle scorciatoie per entrare nel tuo regno. Ma Tu non hai altro da proporci che la tua limpida verità.
Aiutaci a non avere paura della tua Verità!
Aiutaci ad essere sempre leali con te che ti sei fatto nostro amico.
I grandi problemi discussi nelle scuole teologiche del tempo si muovevano attorno ad un problema.
Quale sarà mai il precetto più importante della legge? Gesù, tu lo sapevi questo! Adesso il dottore della legge ti interroga per stanarti dalla tua Verità e vedere se combacia con la verità della sua scuola. Se non combacia, sarai chiamato "pazzo", falso Messia, bestemmiatore. Tutto per distruggerti.
Ti contempliamo in questo momento, Gesù. I tuoi occhi sono sfolgoranti di luce: le tenebre non possono resistere. La tua bocca pronuncia Parole di dolcezza e di tenerezza! Tu comunichi Amore solo con lo sguardo. Ma l'odio non vede il tuo sguardo. Si nasconde ad esso!
Ed ecco la risposta, che risposta non è: è una domanda di rimando!
Non ti pronunci, vuoi che sia il nomikòs a parlare. Gli chiedi: "Che cosa sta scritto nella Legge?” Come sei ricco di sapienza Signore. Sei veramente stupendo!
Inviti un maestro della Legge a ricordare che cosa dice la Legge. Ma la cosa più interessante è la seconda domanda: "Come" leggi?
Come! Già, Signore, si può leggere in tanti modi la tua Parola, la si può interpretare ad uso e consumo del lettore. Forse vuoi ricordare al nomikòs ed anche a noi, che l'unica lettura possibile è quella fatta nello Spirito mediante il quale essa è stata anche scritta.
Come leggi? E' un dolce invito a leggere bene e quindi secondo lo Spirito la tua Parola. Il dottore della Legge si sente quasi costretto, suo malgrado, a dire la sua lettura e la sua interpretazione.
Ed in verità Signore, fa una buona lettura, veramente ispirata. Per questo Tu lo lodi!
Unisce due brani della Bibbia in un solo detto: Amare Dio con tutto il cuore
e il prossimo come se stessi!
"Hai risposto bene", dici Gesù con un dolce sorriso sulle labbra! Allora, continui, “fà questo e vivrai!” Un riconoscimento ed un invito.
Quello che sai così bene, sembri dire, fallo entrare nella tua vita. Gesù stasera ci stai dando una grande lezione. Noi siamo di quelli che "sappiamo" di te e di Dio tuo Padre. E questo ci sazia e ci basta. Ma tu dici: No! Non ti illudere. Se il "sapere di Me e del Padre mio non diventa sapienza e vita, non serve a nulla se non a peggiorare lo stato del rapporto con Me!
Aiutaci Signore a far passare nel cuore tutto quello che abbiamo nella mente!
Grazie perché lo stai facendo, perché lo farai: noi lo desideriamo ardentissimamente!
Il nomikòs si sente sconfitto, Gesù: tu gli hai spuntate tutte le armi con le quali voleva metterti in tentazione, attaccarti, metterti alla prova. Grazie perché ancora oggi distruggi con il soffio ardente del tuo Spirito tutti i luoghi di menzogna, là dove regna Satana che architetta instancabilmente nuovi progetti per distruggerti, toglierti di mezzo!
Ma non ci riuscirà mai! La luce della verità non potrà mai essere spenta.
Tu accendi di luce persino le stelle: le chiami per nome ed esse cantano e brillano di gioia per Te che le hai create! Gesù aiutaci ad essere stelle nel firmamento della Tua Verità.
Il discorso con il nomikòs potrebbe essere finito qui. Ma egli non si arrende, riattacca. Come non si arrende mai l'insonne che è Satana e i suoi adepti! Ma tu Signore non hai paura e doni coraggio a noi. Grazie Gesù!
Il dottore della legge dunque non si arrende. Ed allora chiede a Te qualcosa di più difficile: “Chi è il mio prossimo?” Domanda difficile, tenendo conto che in vari passi della Legge scritta ed orale (i famosi 613 precetti) non c'era perfetto accordo su questo argomento. Domanda insidiosa anche perché le varie scuole avevano già offerto diverse risposte.
Quale sarà mai la tua risposta, Gesù?
La legge dice che se uno è morto o semimorto nessuno può toccare il cadavere, soprattutto il sacerdote ed il levita. Cadrebbero nell'impurità legale e non sarebbero in grado di offrire il sacrificio. Unica eccezione ammessa era solo la parentela stretta: il padre, la madre, il fratello, la sorella solo se vergine, e poi il figlio e la figlia.
Chi è allora il mio prossimo?
Gesù! Come rifulge la tua sapienza anche adesso. Tu non rispondi in maniera dottrinale, ma racconti una storia, una parabola.
"Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico...incappò nei briganti e lo lasciarono a terra semimorto”.
Adesso guardiamo la tua Sapienza Signore: nella storia metti in campo le tre categorie di cui aveva parlato la Legge, sia quella scritta che quella orale: Il sacerdote, il levita e il samaritano.
I primi due si trovavano per caso a passare da quel luogo, Videro il semimorto. Che fare?
Osservano la legge e si mettono dalla parte di Dio: si avvicinano, guardano, si accertano che non si tratti di un parente stretto ed allora se ne vanno tranquillamente con la coscienza retta di aver osservato il precetto del Signore tuo e nostro Dio.
Non si rimproverano nulla, Signore! E dal loro punto di vista hanno ragione. Hanno fatto tutto quanto la legge prescrive. Nemmeno noi dobbiamo giudicarli come uomini dal cuore privo di misericordia e senza pietà. Hanno fatto quello che, secondo coscienza, dovevano fare!
Ma la scena cambia improvvisamente!
Gesù sei meraviglioso nel raccontare le tue parabole! Grazie.
Ecco il terzo uomo: il samaritano, l'odiato per eccellenza! L'escluso dalla eredità del Regno secondo la concezione giudaica.
"Lo vide e ne ebbe compassione"! Che straordinario questo cambiamento inaspettato della scena!
Un samaritano, mette da parte la legge, ed ascolta il cuore.
Gesù grazie, perchè hai racchiuso in dieci verbi l'azione di questo uomo che conosce l'arte divina di tramutare l'essere odiati dai giudei, in un atto di misericordia verso un giudeo!
I dieci verbi sono: 1. Lo vide, 2. ne ebbe compassione, 3. Gli si fece vicino; 4. Gli fasciò le ferite; 5. vi versò olio e vino, 6. Lo caricò sulla sua cavalcatura, 7. lo portò in un albergo, 8. Ne ebbe cura, 9. Raccomandò all'albergatore di averne cura; 10, Assicurò: “ pagherò il conto al mio ritorno.”
Signore Gesù, facci comprendere l'importanza della misericordia nella nostra vita attraverso questi verbi ognuno del quale conserva e rivela un azione! Aiutaci a capire! Grazie Gesù.
Gesù ci fai vedere con mano che questo povero samaritano ha un amore simile al Padre della parabola del figlio prodigo: - SI PRESE CURA DI LUI! - Che ricchezza contiene questa parola! Gesù insegnacela, fissala nel nostro cuore, spesso pavido!
Insegnacela, perché anche noi possiamo imparare che cosa significhi essere misericordiosi.
Il dialogo finale Gesù, è il tuo capolavoro di sapienza.
Domandi al nomikòs: Chi dei due ti sembra essere stato il prossimo di colui che è caduto...?
Che domanda Gesù! Con essa tu ci fai capire una cosa importantissima per essere tuoi discepoli!
Non sono gli altri ad essere il mio prossimo, ma SONO IO CHE DEVO ESSERE PROSSIMO AGLI ALTRI. Hai rovesciato il teorema del nomikòs!
Così come rovesci tutti i nostri teoremi umani! Veramente Tu solo hai parole di Vita eterna.
La risposta del dottore della legge è la seguente: "Suppongo quello che ha usato misericordia all'uomo caduto in terra"
“Và, e fai anche tu lo stesso!” Con questa risposta, tu Gesù, hai superato brillantemente la prova! Hai vinto il maligno che voleva costringerti a sbagliare e farti condannare. Hai vinto solo parlando di amore!
E stasera ci dici che la compassione non è un sentimento, non è uno stato dettato dalla emotività. Riguarda il nostro modo di essere!
Dio si è fatto prossimo; eravamo morti, caduti a terra a causa del peccato: ma tu Gesù ,buon Samaritano, sei venuto a piantare la tua tenda in mezzo a noi! Eravamo come panni immondi, ma Tu sei venuto a salvarci. Grazie Gesù. Come potremo mai ringraziarti?.





Dodicesima domenica del tempo ordinario - Anno C

Commento al Vangelo di Lc 9,  18 - 24
  
Il brano che proclameremo in questa domenica appartiene al capitolo nove di Luca. Questo capitolo è importante nell'economia dell'intero tessuto narrativo di Luca: infatti funge da cerniera letteraria tra la prima parte del vangelo lucano (4,14- 8,56) e la seconda parte (9,51- 24, 53).
La prima parte sottolinea la predicazione di Gesù che avviene con l'annuncio della Parola attraverso segni e prodigi.
La seconda parte ci indirizza verso Gerusalemme dove si compiranno i misteri della nostra fede e dove Gesù consumerà il suo sacrificio.
Ma prima di fare questo passaggio tra la prima e la seconda parte diventa necessario per Gesù far comprendere il mistero della sua vera identità.
I versetti del capitolo 9, 1-50 sono indirizzati a mostrarci l'identità di Gesù.
All'inizio ci sono gli apostoli che vengono mandati in missione, poi ci viene raccontata la paura di Erode, colui che aveva fatto uccidere Giovanni Battista.
Egli è roso dalla paura e dal rimorso e vede spettri dappertutto. Sentendo parlare di Gesù pensa subito che sia Giovanni redivivo venuto a punirlo. Altri invece lo rassicuravano che si trattava di Elia o di qualche altro profeta.
Segue poi l'episodio della moltiplicazione dei pani dove già Gesù comincia a venire allo scoperto.
Ed eccoci al vangelo di questa domenica. Gesù è colto da Luca in "flagrante atteggiamento" di preghiera.
Ormai siamo abituati, nel vangelo di Luca a vedere Gesù in solitaria preghiera, spesso notturna, in modo particolare quando il Regno da Lui annunciato si trova davanti ad una svolta decisiva.
Questa volta con lui ci sono anche i suoi discepoli. La preghiera lo ha messo in perfetta sintonia con il Padre ed Egli ha compreso che è venuto il momento di porre seriamente la questione circa la sua identità.
Da premettere che al tempo di Gesù c'era una forte attesa del Messia. Una attesa che si era fatta quasi spasmodica, acuta, impaziente e febbrile.
I rabbini insegnavano a pregare ogni giorno in questa maniera: " Signore, fà sorgere il Figlio di Davide, affinché regni su Israele..."
Per comprendere la pagina del vangelo di questa domenica, almeno nella prima parte, è necessario tenere presenti queste attese. Essi pensavano: il Messia sarà un eroe, un guerriero forte come Sansone, un condottiero vittorioso come Davide, un politico intelligente ed abile come Salomone, insomma un Re miracolosamente protetto da Dio e quindi potente..
Questo era il motivo per cui nessuno poteva minimamente immaginare che Gesù fosse il Messia.
Un falegname, figlio di falegname, da Nazaret, non può essere il Messia.
Bisognerà attendere ancora.
Ma Gesù prende subito la giusta posizione.
Luca ci invita pressantemente a capire bene quello che Gesù dice, perché non è cosa facile.
Vedremo il motivo. E' interessante osservare che mentre Matteo e Marco notano il luogo dove avviene il fatto, Cesarea di Filippo, Luca tace. O meglio ci indica un altro luogo, quello più vero: il luogo della preghiera.
Da essa Gesù attinge la forza di dire cose che suoneranno assurde.
Chiede dapprima ai discepoli che cosa la gente pensi di Lui. Le risposte, sia pure un pò impacciate, sono quelle che abbiamo visto dare ad Erode poco prima. Nessuno pensa che Gesù possa essere il Messia.
Poi, quasi con le labbra tremolanti (così io lo immagino) chiede ai suoi discepoli: "E voi chi dite che io sia?"
La risposta di Pietro, data a nome di tutti, è chiara: " Tu sei il Cristo (=l'Unto) di Dio!
Verrebbe da dire a questo punto: "Povero Pietro! Ma sai che cosa hai detto? Quale verità grande ti è uscita dalla bocca?" Certo è una Verità grande, ma detta all'interno di una comprensione tipica del tempo: il Messia glorioso e trionfante.
Mentre la prima risposta è chiara (quella che riferisce l'opinione della gente) questa di Pietro è solo apparentemente vera!
Si vuole collocare Gesù fra i grandi della terra, della storia, nulla di più.
Forse sarebbe stato meglio se Pietro avesse risposto con un'altra domanda: Ma noi Signore chi siamo per te? Infatti è a partire dalla conoscenza di sé che si arriva a conoscere chi è il Signore.
Se si comprende come e quanto siamo amati, quanto e come siamo salvati dall'Amore, allora capiremmo meglio chi è il Signore per noi!
Ed ecco allora la seconda scena: Gesù è costretto a presentare la sua vera carta di identità. "
Il Figlio dell'uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai sommi sacerdoti,dagli scribi, essere messo a morte e poi risorgere il terzo giorno".
Sono parole inquietanti. Gli apostoli non lo avrebbero accettato mai!.
Non c'è trionfo per Gesù, ma umiliazione. Non vittoria, ma la sconfitta!
Come mai Dio ha scelto questo cammino assurdo per il Messia?
Perché ha permesso che fosse inchiodato sulla Croce? Non certo perché Gli sono gradite le sofferenze e la morte. Egli è il Dio della vita! La morte è opera del maligno, cioè di tutte quelle forze negative che sono all'opera nell'uomo.
Come mai allora il Signore non ha fatto trionfare il Suo Figlio?
Perché ha permesso che fosse inchiodato sulla Croce?
Dio non condiziona la libertà degli uomini. Egli rivela la sua grandezza ed il suo amore non impedendo che si commettano errori, ma servendosi del loro stesso peccato per costruire una Storia che sia di salvezza. In Gesù, Egli ha mostrato come sia stato capace di trasformare il più grande crimine in un capolavoro di Amore per gli uomini: il terzo giorno lo ha fatto risorgere glorioso e trionfante nella pienezza della Luce!
E' il miracolo dell'Amore che salva, nonostante l'ostinazione malvagia dell'uomo.
Dio vince sempre nella storia, anche nella nostra storia, quando sembra che tutto vada a catafascio!
Questo è il bello di Dio: vincere da sconfitto! Il cammino di Gesù in questo mondo si è concluso con la morte, con la sconfitta, ma l'ultima parola l'ha avuta Dio che ha introdotto nella vita il Suo Servo Fedele, Gesù, il Cristo, il nostro Salvatore.
Questa è la Bellezza di Dio! La Bellezza non è un bisogno, è un'ebbrezza.
Non è una bocca assetata, né una mano vuota tesa in avanti, essa è piuttosto un cuore in fiamme ed un animo incantato. Così scriveva Gibran nel "Il Profeta".
Ed è vero! Sulla Croce Dio ha manifestato la sua ebbrezza di amore per noi uomini e per la nostra salvezza.
Questo è Dio, questo è il suo Messia.
L'identità è in qualche modo già svelata. Ma non può rimanere senza effetti.
Chi vuol seguire Gesù, infatti, lo deve seguire su questa strada che conduce, come viaggio spirituale ed interiore, a Gerusalemme.
Egli diceva a tutti (quindi non solo ai discepoli o alle folle, ma a tutti e dunque anche a noi questa sera), che diceva? Parlava di una sequela " a caro prezzo".....
E' bello seguire Gesù, ma occorre fare la sua stessa strada: portare la croce ogni giorno!
Credere a Gesù non significa aderire ad un "pacchetto" di verità apprese dal catechismo, ma seguire Lui e condividere il suo stesso destino:
"Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce OGNI GIORNO, e mi segua"! Il Maestro ci pone davanti ad una scelta: non invita a fare qualche sacrificio in più degli altri, a cercare le sofferenze, ma esige che non ci si lasci più guidare dalla ricerca del proprio tornaconto, Egli vuole la rinuncia del "sé".
Ciò significa che il discepolo deve togliere la forza dirompente del suo "IO" deve metterlo in stato di resa totale a Dio, perché ne faccia la Volontà fino in fondo e senza barare.
Prendere la Croce poi non significa sopportare con pazienza le piccole o grandi contrarietà della vita, né ancor meno un'esaltazione del dolore come mezzo per piacere a Dio. La vita cristiana non è dolorifera, è vita!
Il cristiano non cerca la sofferenza, ma l'Amore.
La morte in Croce è stata per Gesù la conseguenza delle sue scelte di amore.
Egli per amore ha rifiutato i valori e i parametri di questo mondo ed ha proposto quelli delle beatitudini.
I discepoli che vogliono seguire i suoi passi non possono aspettarsi gli applausi, né debbono operare per averli, né i consensi del mondo, ma devono essere disposti ad incontrare l'opposizione e la croce.: OGNI GIORNO!
Infatti il dono totale del discepolo coinvolge tutto.
Il dono totale di sé coinvolge il discepolo ogni giorno!
Tutti sanno compiere un gesto isolato di generosità, tutti riescono a dimenticare se stessi per un momento.
Difficile è mantenere tutto questo OGNI GIORNO!
Ma a Dio nulla è impossibile e la sua grazia rende possibile l'operosità interiore di chi vuol mettersi veramente sulla strada di Gesù.

Signore, aiutami davvero
con la grazia del tuo Spirito,
ad arrendermi totalmente a Te.
Fa che nulla, nemmeno la cosa più importante,
possa venire prima di Te,
dammi il coraggio di decisioni forti ed autentiche
donami la forza di non voltarmi indietro,
perché ho messo mano all'aratro e non voglio tornare più
come prima. Amen........................................................


Ti seguirò ovunque tu vada.



Dal Vangelo secondo Luca  9, 51-62




Commento di Padre Augusto Drago



Con Lc 9,51 comincia la seconda parte del vangelo di Luca, già preparata nei versetti precedenti.
Questa seconda parte è descritta come un grande viaggio che Gesù intraprende per andare decisamente verso Gerusalemme.
Lì si compiranno i giorni della sua gloriosa Pasqua: morte, sepoltura, resurrezione e ascensione al Cielo.
Un viaggio al quale anche noi siamo invitati come discepoli di Cristo!
"Chi vuol venire dietro a me prenda la sua Croce e mi segua", così Gesù aveva già detto a proposito della sequela.
Seguire Gesù sulla sua strada, come Egli è venuto a camminare sulle nostre strade.
L'espressione che l'evangelista utilizza per esprimere l'intenzione di Gesù di andare a Gerusalemme è un "aramaismo" vale a dire un'espressione presa da una lingua, quella parlata da Gesù, che ama descrivere le azioni in maniera oplastica.
Si potrebbe letteralmente tradurre: "Gesù indurì il suo volto verso Gerusalemme"!
Vale a dire: niente e nessuno potrà fermarlo: "Deve compiersi la Scrittura", "deve" compiersi la Volontà del Padre.
"Deve"! Notate questo verbo, che Gesù ha già pronunciato quando predisse per la prima volta la sua passione. Deve! C'è quasi un imperativo a cui non si può sottrarre: La Volontà del Padre!
L'offerta di Gesù per il nostro riscatto è un atto di obbedienza al Padre.
Siamo salvati dall'obbedienza di Gesù e siamo figli dell'obbedienza di Gesù.
Dunque Gesù avanza per la sua strada con "ferma decisione" come traduce elegantemente il nostro testo in italiano.
Siamo chiamati dunque anche a noi a deciderci! Una decisione che spesso tarda a venire per il semplice fatto che la diamo, spesso, per scontata.   Attenti agli auto inganni!
Ogni giorno la decisione và rinnovata.  Ogni giorno và rifatta, perché la vita, con le sue inevitabili difficoltà, spesso ci fà dimenticare ciò che abbiamo deciso nel nostro cuore.
Decisioni fragili generano fragilità di vita e nella vita!
Ma torniamo al testo: per andare dalla Galilea a Gerusalemme, in Giudea, Gesù era costretto ad attraversare il territorio della Samaria. Un popolo "meticcio" agli occhi dei Giudei che consideravano i samaritani come coloro che avevano ormai corrotto la purezza della razza.
Un odio profondo separava le due etnie.
Presso i Giudei dire ad una persona: "Tu sei Samaritano" era l'offesa più grande che si potesse dire.
Eppure l'hanno detta anche a Gesù. Quando i samaritani seppero che Gesù era diretto a Gerusalemme, non volevano farlo passare oltre.
Qui avviene un fatto molto strano. Tra i discepoli, mandati avanti da Gesù in avanscoperta, c'erano Giacomo e Giovanni, i Boanèrghes, i figli del tuono, come venivano chiamati.
Costoro si presero d'ira contro i samaritani e stavano già ingaggiando una lotta serrata, avanzando il così detto "privilegio del profeta".
Il riferimento è ad Elia, il quale per sfuggire agli sgherri del morente re Acazia, invoca dal cielo il fuoco perché li consumi: e così avvenne (cf, 2 Re 1m10).   Ma Gesù, si voltò e li rimproverò. La Mitezza fatta persona non può sopportare la violenza e la vendetta. E nemmeno i suoi discepoli devono agire in questa maniera.
Ma tuttavia lo spirito delle beatitudini non è ancora penetrato in loro! Accade così anche a noi.
Quando ci comportiamo in questo modo, diciamo che l'istinto è stato più veloce della ragione, ossia che in quel momento non ci abbiamo visto più con la luce degli occhi...
Tutte scuse! Se lo Spirito delle beatitudini ha messo radici ed abitudini spirituali in noi, la vince sempre sulla immediatezza della nostra carne e per dirla tutta, non abbiamo ancora fatto un vero esercizio.... una ginnastica spirituale, per esercitare il cuore alla mitezza.
Gesù il mite, và avanti, sia pure per un'altra via. Non può essere fermato da un rifiuto.  C'è qualcosa di più grande e più importante da fare e la via è già tracciata.
A questo punto Luca colloca tre episodi di chiamata.  Perché?
Per far comprendere al discepolo di Cristo le esigenze che la chiamata stessa comporta.    Abbiamo rappresentate tre tipologie di chiamata.
Nella prima e nell'ultima l'iniziativa la prende l'uomo.
Nella seconda l'iniziativa è presa da Gesù: Prima tipologia: "Un tale gli disse: Ti seguirò dovunque tu vada"!
La risposta di Gesù sembra scoraggiare più che incoraggiare.
Sembra dire: vuoi seguirmi? Sappi che Io non ho dove posare il capo. Gli uccelli del cielo hanno i loro nidi, le volpi le loro tane. Ma il Figlio dell'Uomo non ha dove posare il capo..."
Che significa? Può sembrare che Gesù voglia parlare della sua povertà: è tanto povero che non ha una casa dove riposare.
Ma, credo, che Gesù volesse dire: Sono sempre in cammino, non mi fermo mai! Sono sempre sulle strade dell'uomo, sui sentieri impervi dove spesso l'uomo si perde e perde al tempo stesso l'orientamento della sua vita. Sono sempre in cammino per andare a cercare le pecore
smarrite... Sei tu capace di seguirmi in questa maniera?
Non c'è risposta, non sappiamo quale sia stata la reazione di quell'uomo. C'è solo il silenzio, perché solo nel silenzio si possono capire le esigenze poste da Gesù alla sequela e si può fare discernimento.
Ma la domanda è posta anche a noi, oggi: sei tu disposto a camminare senza mai stancarti sulle vie del tuo Signore?
La seconda tipologia di chiamata.
Questa volta è Gesù che prende l'iniziativa: "Ad un altro disse: Seguimi". E' una chiamata evidente e fatta a viva voce " a sangue" come si dice dalle nostre parti. Questa volta c'è una risposta.
Che tipo di risposta? Non pronta ed immediata, ma mediata da una situazione particolare.
Gli erano morti i genitori: "Signore permettimi prima di andare a seppellire i miei cari.
Strana la risposta di Gesù: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Tu invece va ed annuncia il Regno di Dio!
E' mai possibile che Gesù non abbia cuore per un genitore morto e per un figlio che deve andare ai suoi funerali? No! Non è possibile!
Quindi la risposta di Gesù va letta in un altro piano: di per sé si tratta di una iperbole, ma dentro l'iperbole c'è una verità profonda.
Il regno di Dio non annuncia la morte ma la vita, quella vera: la Vita!
Il Regno dei cieli è fatto per la Vita, non ha spazio per la morte!
Allora la chiamata del discepolo è per annunciare la Vita che è Gesù ed il suo Vangelo.
Non si può pensare alla morte quando c'è tanta vita da seminare lungo le strade dell'uomo.   Le vie di Dio, aveva scritto Giovanni Paolo II nella sua prima enciclica "Redempor hominis"  sono le vie dell'uomo: dove c'è morte la sua Parola, il suo Vangelo deve portare Vita.
Il discepolo è un moltiplicatore di vita!
Questa chiamata ci interpella in maniera urgente.
Gesù magari, come discepoli, non ci chiede di parlare di Vita, ma di fare gesti di vita, semplici, ma significativi: il sorriso, l'accoglienza, il saper dare conforto, il saper alleviare le sofferenze, il saper stare con un fratello o sorelle bisognosa di consolazione, e così via...Semplici gesti!
Semplici, tanto semplici che spesso non ne siamo capaci!
Perché? Ognuno può dare una sua risposta. L'importante è che non si vada dietro la morte, ma si insegua con slancio la vita.
Terza tipologia.
Questa volta ancora è un tale che prende l'iniziativa: "Ti seguirò Signore, prima però lascia....!" Ecco, c'è un "prima": qualcosa da fare prima di seguire il Signore sulla sua via!
Per Gesù non deve esserci nessun "prima". Il prima indica ritardo, urgenza di fare qualche altra cosa e di portarla a compimento.
Quando il Maestro chiama, la sua chiamata ha la precedenza su tutto. Su tutto!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Che cosa doveva fare "prima" quell'uomo? Andare a congedarsi da quelli di casa.
Ancora una volta forse Gesù vuole negare i giusti e veri affetti? Possibile che non si possa andare a salutare i propri parenti ed amici?
Anche qui ci troviamo davanti ad un'iperbole dentro la quale però c'è una grande verità.
Gesù vuol dire semplicemente: Non bisogna perdere tempo! Non bisogna andare dietro le convenienze quando il Maestro chiama.
La chiamata è come mettere le mani sull'aratro e cominciare a dissodare la terra. Non ci si può voltare indietro. Il Regno urge, non c'è tempo da  perdere!  Diversamente non si è adatti per il Regno dei cieli.
Gesù non perde tempo: segue con decisa volontà la sua strada! Così deve fare ogni discepolo.
Ci vogliamo interrogare anche su questo?
Quanto tempo perdiamo, notate per favore, anche di quello che diamo al Signore?  Sì anche di questo tempo dato al Signore, molto può essere tempo perduto.
Perché? Semplicemente perché mentre pensiamo di lavorare per il Signore, invece stiamo servendo noi stessi, cercando il nostro prestigio, la nostra visibilità, il voler fare a nostro piacimento
senza alcun discernimento.....TEMPO PERSO! ANCHE SE FATTO PER IL SIGNORE!
Non c'è tempo da perdere: occorre dire: "eccomi Signore, fa di me come a te piace. Sono pronto a tutto per la tua sola Grazia! Amen.
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Undicesima domenica del tempo ordinario - Anno C

Commento al vangelo di Lc 1-36-50;8,1-3


Siamo nel periodo iniziale della predicazione di Gesù. Nel capitolo 7, che è quello da cui è

tratto il nostro brano, Gesù incontra uomini e donne che vivono ai margini della società.

Aveva incontrato il Centurione romano di cui aveva guarito il servo. Poi la vedova di Nain.

Ora, nel nostro testo incontra una prostituta, peccatrice nella città di Cafarnao. Si direbbe che

Luca voglia mettere in evidenza il fatto che Gesù ha un'attenzione, direi un'attrazione

speciale, per chi è emarginato.

Il Centurione è un pagano, quindi emarginato dalla mentalità ebraica. La vedova è

emarginata perché socialmente povera. La peccatrice si trova ai margini di una umanità che

condanna inesorabilmente. In tal modo viene delineata la missione di Gesù.



Nel nostro brano ci sono in modo particolare due figure contrapposte: il Fariseo e la

prostituta.

Ma le parti si invertono: quello che è "giusto" secondo la legge si rivela non salvato, e quella

che è peccatrice si rivela salvata perché desiderosa di un amore attrattivo.

Il Fariseo aveva pregato Gesù di venire a mangiare da lui.

Era sincero in questo suo desiderio. Il verbo utilizzato nel testo originale, può infatti essere

tradotto con "Pregava Gesù che venisse a casa da lui". Lo pregava, quindi le sue intenzioni

erano rette. Ma, come vedremo non retta è la sua "giustizia".



Di solito quando entrava in casa di un ebreo, un ospite veniva accolto con tre gesti: la lavanda

dei piedi, il bacio sulla guancia, l'unzione dell'olio sulla testa. Era quasi un rito.

Il rito dell'accoglienza.

Ma in realtà chi accoglie veramente Gesù è la peccatrice. E' lei che fà questi gesti di accoglienza su Gesù."Vedi questa donna?" dice Gesù, "sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l'acqua per i

piedi. Lei invece mi ha bagnato i piedi con le sue lacrime e lì ha asciugati con i suoi capelli.

Tu invece non mi hai dato un bacio.

Lei non ha cessato di baciare i miei piedi.

Tu non hai unto con l'olio il mio capo, Lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo.

Tu...Lei invece: ecco il contrasto stridente. I gesti di accoglienza li ha posti una donna,

peccatrice oltre tutto, che ha fatto irruzione nella casa del Fariseo.



Fà meraviglia in questo quadro di contrasto una particolarità: i gesti della donna sono tutti

rivolti ai piedi di Gesù. Come mai questa "anomalia"?

In questo momento mi vengono in mente le parole che si leggono nel libro del profeta Isaia:

"Come sono belli i piedi del messaggero di lieti annunci e che porta la pace".

Gesù è il messaggero dei lieti annunci. “Vangelo “significa appunto lieto annuncio.

Annuncio di salvezza.



La donna sente il bisogno di lavare, di asciugare con i suoi capelli, di ungere, di baciare quei

piedi che hanno attraversato i cieli per venire sulla terra a dare il lieto annuncio della

salvezza.

Quei piedi che hanno camminato sulle vie degli uomini, vie di peccato e di infermità di ogni

genere, vie oscure e caliginose, notturne, che non conducono se non al nulla della vita.

Queste vie hanno calcato i piedi del Messaggero divino per dire a tutti che l'ora della salvezza

è arrivata. L'ora del lieto annuncio è già scoccata.



Il Fariseo non ha dato il saluto rituale a Gesù, la donna ha dato un saluto umanamente

irrituale, ma ricco di una qualità unica: quello dell'attrattiva dell'Amore.

Guardatela: fa irruzione nella casa di Simone. Entra quasi di corsa.

Ha già pronto il vaso pieno di unguento per ungere. Segno che già nel suo cuore sentiva che

pulsava un Amore nuovo, mai conosciuto prima: questo Amore era Gesù da cui si sentiva

attratta fortemente.



Si potrebbe dire che, mentre entra nella casa di Simone, lei già sia stata salvata e guarita da

Gesù, divina attrazione verso il Padre. Non si spiegherebbe diversamente come lei abbia già in

mano l'olio profumato, e subito, senza nemmeno proferire una parola, si mette a piangere, un

pianto non di supplica, non di dolore, ma di gioia, liberatorio, pianto di desiderio e di Amore!

L'unzione dei piedi è il coronamento di questo rito che non è più di accoglienza, ma di adorazione e di ringraziamento.



Simone il Fariseo mormora nel suo cuore. Pensa: "se costui fosse davvero un vero profeta

saprebbe chi è questa donna, e non si farebbe toccare".

Ma Gesù, che conosce i pensieri del cuore degli uomini capta ciò che pensa il Fariseo, ed

introduce la parabola dei due debitori .

Alla fine pone la domanda, la cui risposta è già scontata: Chi ha amato di più?

Certamente colui a cui più è stato condonato! "Bene hai risposto" dice Gesù.



Ma a Gesù non basta rispondere bene alle domande. Egli desidera gesti che vadano al di là

della pura osservanza della legge.

“Vedi questa donna? Mi ha dato quello che tu avresti dovuto darmi e non mi hai dato.

Non mi hai accolto”.

Il termine casa ritorna per ben tre volte nel nostro brano.

La casa di Simone non è accogliente perché vi manca l'Amore.

La "casa della donna", la peccatrice, è invece accogliente: si tratta della casa del cuore, la casa

dove abita l'Amore, dove il desiderio, prima carnale, ora è diventato desiderio puro di Vita,

un cuore che cercava ed ora ha trovato.

"I tuoi peccati sono perdonati!"



Ecco la Parola di Amore che risponde al desiderio dell'Amore. L'Amore è come causa ed

effetto al tempo stesso del perdono dei peccati. L'Amore ha messo in movimento la misericordia, ed ora tutto è cancellato!



Un particolare che desidero sototlineare è questo: il termine "bacio" ricorre nel Vangelo di

Luca due volte in tutto. Qui, nel nostro testo, e poi nell'episodio triste del tradimento di Giuda.

La donna, peccatrice, ha riparato in anticipo, quel bacio falso e diabolico di Giuda.

Bacio di Amore!



Un altro particolare è che la donna non parla, non dice nemmeno una parola.

Agisce ed opera, spinta solo dal desiderio dell'Amore.

Quando si ama non c'è bisogno di parlare: si compiono solo gesti.

Le parole servono alle volte a dare una facciata falsamente bella al volto di un Amore che non

c'è! L'agire parla più di ogni altra parola!



Perché Simone non pronuncia a voce alta il suo giudizio invece di pensarlo nel suo cuore?

Perché manca di trasparenza, non sà dove stia di casa quello che nella vita spirituale si

chiama "svelamento del cuore".



La donna, pur non parlando, sa svelare il suo cuore e con esso grida a Gesù il suo

ringraziamento pieno di commossa gioia, perché assolutamente inaspettata.

Poi i gesti della donna vanno al di là, oltre ogni misura. Per lei non esiste una misura

nell'Amore.

L'Amore và oltre, sempre oltre, sà osare, diventa sproporzionato...



Per questo Gesù la loda dicendo: "A chi più ama più sarà perdonato. A chi meno ama meno

sarà perdonato" Questa frase di Gesù sembra fare molta difficoltà. Il perdono quando è

concesso non conosce nè più né meno.



Allora? Allora semplicemente questo: Gesù sta parlando del Perdono che è dato a chi ama ed

in modo speciale a chi Ama molto, come la peccatrice. La seconda parte della frase ha una

pura e semplice funzione letteraria: serve infatti per rafforzare la prima parte del detto.

Insomma Gesù afferma che solo l'Amore attira il perdono e tanto più esso è grande, tanto più

amorevolmente è dato. Infatti poi conclude con la frase: "La tua fede ti ha salvato".

Che cosa è l'Amore se non è sostenuto dalla fede?

E che cosa è la fede se non é sorretta dalla forza potente dell'Amore?



Il Vangelo poi termina con la descrizione di un discepolato tutto al femminile.

Il vangelo di Luca ha un'attenzione particolare alle donne e soprattutto verso quelle che

hanno avuto un passato discutibile: come per esempio Maria di Magdala.

D'altra parte chi può andare veramente dietro a Gesù se non chi ha conosciuto le tenebre

della notte del peccato e desidera tanto la luce?



Il desiderio di Luce è desiderio di Amore! Esso è luce che salverà il mondo!

















Festa del Corpus Domini 29 maggio 2016

Commento al vangelo di Luca 9,11b-17, di Padre Augusto Drago

Fratelli e sorelle, il brano del Vangelo di san Luca ci introduce alla solennità che stiamo cominciando a celebrare.
Ci narra una giornata di Gesù, ha predicato e compiuto miracoli per tutto il giorno.
Il giorno cominciava ormai a declinare! Comincia a farsi buio.
Era sera anche quando i discepoli di Emmaus arrivano, accompagnati dal Divino PellegriAno, alla loro casa
"Resta con noi, ormai si fa sera!"
Era ancora sera tardi quando nel Cenacolo Gesù, istituisce il grande prodigio e mistero della santa Eucaristia.
Tutto avviene alla sera o di notte.  E' un dato molto significativo.
Giovanni nel prologo al suo Vangelo, non ci aveva forse detto che La luce splende nelle tenebre
ma le tenebre non l'hanno vinta?
Ecco spiegato il mistero: Con il Dono di sé Gesù illumina tutte le notti dell'uomo: quando egli è avvolto dalle tenebre del male, dall'ottundimento della sua ragione, dalla durezza del suo cuore, dalla  incapacità a comprendere i misteri di Dio.
Tutto si fa luce!
Dunque anche nel nostro racconto siamo alla fine del giorno.
Ed ecco avviene il miracolo della moltiplicazione dei pani.
Da un unico Pane, Gesù, molti pani che vengono distribuiti e donati.
Ma in realtà si tratta di un solo Pane che si moltiplica a dismisura.
Non sono pani diversi tra loro: è l'Unico Pane che è inesauribile.
Ce lo fa comprendere il testo stesso:
"Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla".
Notate l'uso del tempo del verbo dare: è un imperfetto che sta a significare questo: i discepoli davano i pani man mano che passavano tra la gente.
Questo significa che nelle ceste non c'era proprio nulla!
I discepoli di volta in volta mettevano la mano dentro il cesto e trovavano il pane spezzato pronto per essere donato.
Da un Solo Pane molti Pani e molti Pani sono un Unico Pane
Già il testo ci proietta alla stupenda e misteriosa realtà dell'Eucaristia.
Dirà Paolo nella prima lettera ai Corinti: "Noi che siamo molti, accostandoci all'unico Pane, diventiamo una cosa sola"
Da un Solo Pane tutti diventano non più moltitudine, ma una sola cosa.
L'Eucaristia è il mistero dell'Unità!
Gesù, nel racconto evangelico, ordina ai discepoli che fossero loro a distribuire i pani alla gente.
Perché?
Luca ha presente il mistero della Chiesa e dei suoi presbiteri.
Gli apostoli rappresentano tutti i presbiteri che nel corso della storia, continueranno, dentro il Corpo di Cristo che è la Chiesa, a moltiplicare l'Unico Pane senza dividerlo o smembrarlo.
L'unico Pane è sempre Gesù.
Dio che si fa non solo Uomo, ma si fa Pane per essere mangiato.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: erano dodici".
Tutti furono sazi!  Di che cosa? Dell'Unico Pane.
Il testo non dice che alcuni erano sazi ed altri lo erano meno.
No: tutti ugualmente erano sazi perché avevano mangiato non i pani moltiplicati, ma Il Pane inesauribile di Gesù.
Sì, fratelli e sorelle, prima di tutto l'Eucaristia è il segno della nostra sazietà interiore e spirituale.
La vera sazietà del cuore che guarisce ogni altro desiderio che non sia Lui o che non venga da Lui!
Ci sazia perché venendo in noi, ci porta Se stesso e con Se stesso tutti i beni messianici di salvezza, di guarigione, di pace e soprattutto di Amore.
L'Eucaristia è il prolungamento dell'Incarnazione.
E' l'Incarnazione che fa giungere Dio fino all'ultimo gradino dell'umiltà
Fratelli e sorelle! Non si tratta, capite, di accostarci all'Eucaristia per abitudine, per devozione, ma per Amore: di quell'Amore dove tutti, pur essendo molti, diventano "uno" in Cristo.
Sacramento dell'Unità, Sacramento della Chiesa, Corpo di Cristo essa stessa.
Voi stessi date loro da mangiare”, dice Gesù ai dodici.
In questo numero ci siamo tutti noi. Di che cosa ha più bisogno l'uomo di oggi e di sempre se non dell'Amore?
C'è in giro un bisogno disperato di amore. Ognuno lo cerca là dove crede di trovarlo.
Stasera la Parola del Signore ci dice, attraverso la Chiesa: DATE LORO DA MANGIARE!
Vale a dire, sfamati da Me, vostro Signore e Maestro, sfamate di Me tutti con il dono dell'Amore, finché tutti da molti diventino "Uno".
Sacramento dell'unità, L'Eucaristia.
Chi si accosta al mistero eucaristico trova anche unità in sé.
Infatti siamo così interiormente divisi, da avere il cuore spezzettato in mille e mille attaccamenti a cose diverse le une dalle altre.
Abbiamo il cuore separato dalla mente e dall'intelligenza. Ognuna di queste potenze prende la sua strada, diversa l'una dall'altra.
La conseguenza è che alla fine ci si smarrisce e si perde la propria identità.
Non si sa più né chi si è né ciò che si vuole.
L'Eucaristia compie il miracolo di raccogliere i "pezzi" della nostra esistenza, della nostra interiorità, della nostra stessa corporeità e di riunirli in perfetta unità.
Questo è il grande miracolo dell'Eucarestia!
Come ci accostiamo ad essa? Dalla maniera in cui ci accostiamo a così grande mistero, dipende l'esito della pienezza della nostra umanità, ricongiunta finalmente alla nostra essenza spirituale che è l'anima!
Non più divisi dentro di noi, eucaristicamente parlando, possiamo ritessere il tessuto dell'umanità intera ed essere fermento di unità per tutti gli uomini e per tutte le cose!
Tre verbi che devono richiamare la nostra massima attenzione,
Pane spezzato: Gesù sulla Croce = Sacrificio.
Prendere il Pane: assumerlo per assimilarlo in noi.
Lo diede: l'Eucaristia è Comunione è dono di Amore, é dono di vita.
Vorrei semplicemente sottolineare il verbo "spezzare".
Come Gesù, anche noi che, nel Battesimo siamo diventati "cristificati" quando facciamo la santa Comunione assumiamo in Cristo anche noi stessi! Così diceva infatti sant'Agostino: Hai mangiato Cristo? E' come se avessi mangiato te stesso. Infatti nel Battesimo siamo divenuti "Cristo".
Mangiare se stessi! Che mistero grande è questo? E cosa implica?
Implica divenire come Cristo, Pane spezzato per gli altri.
Ciò significa che non si potrà mai essere anime eucaristiche se non spezziamo la nostra vita perché gli altri abbiano la Vita.
Come Gesù!

...........................
Commento al vangelo di Gv 14,15-16.23b-26 DOMENICA DI PENTECOSTE : ANNO C
  


"Io pregherò il Padre..."
Gesù intercede per i suoi discepoli: essi sono deboli, fragili, hanno bisogno di un aiuto da parte
del Padre. A Lui Gesù chiede l'effusione dello Spirito. Egli è denominato con l'espressione:"un altro Paraclito". Ma cosa significa questo titolo? Paraclito, da parà- kaleo propriamente
significa "chiamato accanto". In latino "Advocatus" in italiano possiamo tradurre
"Avvocato". Ma questa traduzione richiama il suo significato giuridico.
Allora è meglio intendere la parola Paràclito, come Colui che viene in soccorso, in aiuto , a chi
ha bisogno. Perché un "altro Paraclito"?
Nella sua prima lettera Giovanni al capitolo 2,1, afferma: "Figlioli miei, vi scrivo queste cose
perché non pecchiate, ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paraclito presso il Padre, Gesù
Cristo..." Allora anche Gesù è Paraclito. Ma tra poco se ne andrà...

Come Gesù è stato l'Epifania del Padre, così lo Spirito Santo sarà nel tempo e nella storia,
sino alla fine dei tempi, l'Epifania di Gesù. Cosa farà lo Spirito Paraclito?
Guardate il testo e la successione espressiva, in crescendo, del suo essere mandato a noi:
1. Sara con noi!
2. Sarà presso di noi.
3. Sarà in noi!
Con, presso, in...!
Con noi per darci protezione ed aiuto. Presso di noi: vale a dire accanto a noi, il nostro
compagno di viaggio e di cammino. In noi, perché lo Spirito Santo sarà intimamente con noi,
non solo come aiuto esterno o conforto, ma nel nostro più profondo del nostro essere.
Egli è lo Spirito della Verità: vale a dire è Colui che il Padre ci manda per la preghiera del
Figlio, affinché ci insegni la Verità per intero! Questa è l'azione dello Spirito santo nel cuore
dei discepoli e nei nostri cuori.

Per essere più esatti, vorrei ricordare che questa è la prima promessa delle cinque che
troveremo fino al capitolo 16, promesse dello Spirito. Per ben cinque volte Gesù prometterà,
sia pure con accentuazioni diverse, il dono dello Spirito santo come una promessa.
Perché il mondo non può riceverlo? La risposta è " perché non lo vede e non lo conosce!"
E come avrebbe potuto vederlo? Il mondo qui va visto nella terza accezione, di cui
parlavamo ieri: il mondo di cui è principe Satana. Non può conoscerlo, perché non lo vede: il
mondo vede solo le cose materiali. I discepoli a cui è stata data la Parola del Signore, invece
possono riceverlo e vederlo. Anzi, per il fatto stesso di aver creduto alla Parola, lo hanno già
sperimentato.

Così è di chiunque accoglie la Parola e la custodisce nel proprio cuore: costui già "vede" lo
Spirito Santo, il Dio senza nome, il Dio nascosto, ma che è l'Amore sempre in azione.
"Voi lo conoscete: infatti Egli rimane presso di voi e sarà in voi..."
Rimane presso di noi: come Epifania di Gesù ci accompagnerà, aprendoci sempre gli occhi del
cuore, per farci vedere tutto trasfigurato dal Volto dell'Amore e della Bellezza.
Gesù adesso si appresta ad andare sulla Croce: lo Spirito comincerà ad operare dopo la morte
di Gesù. Ma prima è necessario che Gesù muoia sulla Croce!
Solo dalla Croce può darci la vita che lo Spirito ci farà sentire come esperienza viva di amore!

L'Amore è ubbidienza.
L'ubbidienza ai comandamenti di Gesù porta alla conoscenza del Padre.
L'Amore – obbedienza, ha come effetto un supplemento di amore - manifestazione da parte
del Padre. Il Padre si mostra attraverso l'obbedienza amorosa ai comandamenti del Figlio.
Chi fa e compie le opere del Figlio, che sono quelle medesime del Padre, costui può vedere il
Padre.
Non si tratta, ovviamente di una vìsione di tipo materiale, quasi come un'apparizione. Il
Padre si mostra proprio nell'osservanza dei precetti. Parola di Gesù: chi li osserva entra nel
grande mistero, nel grande circolo di Amore Trinitario che è l'Amore. Infatti Gesù conclude
dicendo: "Chi ama me sarà amato dal Padre mio ed anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui"!: Filippo aveva chiesto: "Manifestaci il Padre!"
Ora Gesù, portando avanti il mistero della sua coabitazione nel Padre, afferma che chi ama è
amato dal Padre e perciò è amato anche dal Figlio! Così si entra, si penetra dentro il mistero
trinitario, che è il Mistero dell'Amore. Chi Ama non può non essere in Dio!
Compiere i comandamenti, amare, essere amati: ecco il biglietto di ingresso nel Mistero di
Dio!
L'Umanità di Gesù vi è entrata perché Egli ha compiuto i comandamenti del Padre. Così allo
stesso modo chi compie i comandamenti del Padre, come Gesù, che sono i comandamenti del
Figlio, è amato dal Padre e dal Figlio! Adesso è la volta di un altro apostolo: Giuda, non
l'Iscariota:
anche egli ha una domanda da porre a Gesù. "Signore come è accaduto che devi manifestarti
a noi, e non al mondo?" Questa domanda di Giuda implica una erronea comprensione delle
parole di Gesù. L'apostolo sembra meravigliarsi che il "mondo" non sia destinatario della
futura manifestazione del Signore. Ma Gesù dimostra che non è così. C'è prima di tutto una
priorità.
La priorità è data agli apostoli perché siano essi, quando Gesù sarà andato, a manifestare il
Suo Nome e la sua Parola al mondo. Saranno gli Apostoli del Signore a diffondere quella
Parola di salvezza che manifesta la presenza sia del Figlio che del Padre, dal momento che le
Parole del Figlio non sono del Figlio, ma del Padre. La figura del Padre è continuamente
rappresentata e contemplata come la fonte di ogni cosa! Dal punto di vista della salvezza tutto
proviene dal Padre. Egli si manifesta in Cristo, suo Figlio, e il Figlio manifesterà il Volto del
Padre al mondo attraverso gli Apostoli E' un giro di danza divina che coinvolge mirabilmente
l'uomo!

Solo l'Amore sa fare cose degne dell'Amore. l'Amore compie cose che solo l'Amore sa compiere! Solo l'Amore rende possibili, plausibili e fruibili cose che diversamente non capiremmo mai.
Ama e capirai: diceva sant'Agostino. Noi invece prima vogliamo capire e poi amare.
Occorre invertire le cose se vogliamo entrare in questo insondabile mistero.
Il Figlio abita nel Padre: per amore e nell'Amore. Il Padre abita nel Figlio per amore e
nell'Amore.
L'uomo è abitato dal Padre e dal Figlio nell'Amore e per Amore!

Fratelli siamo a livelli altissimi! Forse qualcuno di noi potrebbe dire come dissero quelli di
Cafarnao quando Gesù annunciò il mistero dell'Eucaristia: "Questo linguaggio è troppo
difficile per noi..." Certo lo è: Ma se lo rimane, è perché ancora non siamo stati trascinati
dall'ondata inarrestabile dell'Amore. Infatti solo l'Amore spiega l'Amore!
Cosa bisogna fare per arrivare a queste altezze sublimi che pure appartengono alla nostra
umana esperienza di Dio? Semplicemente questo: ubbidire ai comandamenti del Signore.
Saper coniugare i due termini: Ubbidienza - amore: coniugarli in una unità inseparabile.
Gesù in tal modo ci fa comprendere che la nostra esperienza cristiana non è un dovere da
assolvere, non è un' opera di legge da compiere, ma un obbedienza fatta di amore che si nutre
di amore e quindi di scelta e di libertà. Non comprendiamo ancora queste cose, fratelli e sorelle? Niente paura: Il Signore comprende la nostra difficoltà a capire. Ed ecco che
provvede come solo Lui sa provvedere: ci manda lo Spirito santo, Spirito del Padre e del
Figlio.
Sarà Lui, il Dio interiore, il maestro dell'Anima, il dolce consolatore, a spiegarci tutto ciò che
non abbiamo compreso. Sarà Lui il dolce ermeneuta delle Parole di Gesù.

Vieni Spirito di Dio, vieni a spiegarci ciò che Gesù ci ha detto e che facciamo fatica a
comprendere! Vieni, e suggerisci alla nostra mente, ricordaci tutto quello che Lui ha detto,
facci capire qual è il suo comandamento e noi con la tua forza, lo osserveremo.
E così, per mezzo tuo, capiremo la dolcezza suprema ed indicibile di diventare il "Cielo del
Padre e del Figlio".
Vieni o Spirito: facci stupire di questo meraviglioso dono. Fatti ardente desiderio in noi di
poterlo possedere! Il Dio trascendente, il Dio Altissimo, il Dio indicibile che viene ad abitare
in me! In noi!
Solo Tu, Spirito di Dio puoi dirci che cosa sia questo mistero. Ed ancora una volta ci
sentiremo rispondere: "E' Amore, solo Amore...."
Fratello e sorella, sapremo mai entrare in questa relazione sconvolgente con Dio?
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Commento al Vangelo di Gv 21, 1-19

  

Il capitolo 21 del vangelo di Giovanni si apre con il racconto della terza apparizione di Gesù ai suoi di discepoli. Tuttavia questo capitolo non è propriamente di fattura giovannea. L'apostolo aveva già chiuso il suo racconto evangelico al capitolo 20.

Il nostro capitolo 21, da cui è tratto il brano che stasera mediteremo insieme, è stato scritto da alcuni discepoli di Giovanni.



Il brano esige di essere letto tutto in chiave simbolica. Il simbolo, ricordiamolo, è il linguaggio del mistero, il mistero di Dio. Esso non può essere narrato da parole umane: queste infatti non ne posseggono il vocabolario!

Intanto notiamo subito che il racconto sembra presentarsi come una rilettura di Luca 5,4-12 (la pesca miracolosa) fatta però in chiave pasquale.



Alcuni discepoli si trovarono insieme: erano 7: Pietro, Tommaso il Didimo, Natanalele, i due figli di Zebedeo Giovanni e Giacomo, ed altri due di cui non si conosce il nome.

Appare quindi già fin dall'inizio un numero, che per natura sua, è simbolico: è il numero della pienezza. In quei discepoli ci sono "Tutti" i discepoli ed apostoli di Cristo: quelli del suo tempo, quelli di ieri, di oggi e di domani, quelli che ci saranno ancora fino alla consumazione del tempo presente.



Pietro dice: "Vado a pescare..." Gesù gli aveva detto: "Ti faro pescatore di uomini" (Luca 5). "Anche noi veniamo con te" dicono gli altri discepoli. La pesca è il chiaro simbolo del lavoro apostolico: "Andate in tutto il mondo e fate discepole tutte le genti..." dice Gesù in Matteo 28. "Veniamo con te..." Qui è già chiaramente adombrato il ministero petrino: non si possono fare discepole tutte le genti senza l'unione a Pietro a cui il Signore Gesù, tra poco nello stesso nostro capitolo, dirà:"Pasci le mie pecore...pasci i miei agnelli!" C'è dunque in questi primi

passaggi del racconto il chiaro richiamo al mistero della Chiesa.



La pesca avviene di notte. Senza Gesù. I discepoli non prendono nulla. Notte di lavoro andata a male. Segno chiaro di un altrettanto chiaro riferimento: senza Gesù non può esistere una Chiesa che annunzi il Vangelo. Non può esistere nemmeno la stessa Chiesa. Senza Gesù non si compie nulla di buono. Non si raccolgono frutti di vita eterna. La Chiesa è tale perché è intimamente unita al suo Signore e Maestro, Gesù Cristo. Tutto questo avviene di notte. "Maestro, abbiamo lavorato tutta la notte, ma non abbiamo preso nulla" (Luca 5).



Ed ecco che Gesù si fa vivo all'alba. Con Lui inizia un nuovo giorno. Si apre uno squarcio di luce e di speranza. Ma i discepoli, presi dallo sgomento del loro fallimento, non hanno occhi per vedere il Signore che si era fermato al limitare della riva. "Figlioli", disse, "non avete nulla da mangiare?" "No", gli risposero. La risposta è data ad uno sconosciuto che chiede del cibo. Ma sarà proprio questo "sconosciuto" che darà il cibo vero.



"Gettate la rete dalla parte destra e troverete". E' un ordine del Maestro! E' Lui che con la sua Parola guida la Chiesa. "Gettata la rete non riuscivano più a tirarla su, per la granquantità di pesce". Ed è proprio in questo momento che avviene lo svelamento. E' Gesù, è Lui! Grida il discepolo che Egli amava. E' il Signore: il Cristo risuscitato! Simon Pietro al sentire questo, si cinge la veste e "diventa un pesce": si butta in acqua, pronto ad essere ripescato dal suo Signore. Non si può "pescare" se prima non si è stati "pescati dal Signore!" Gli altri apostoli invece trascinano il carico di pesce verso la riva.



Gesù intanto aveva praparato un fuoco di brace. Bisogna fermarsi qui un attimo.Dobbiamo notare la tenerezza e la bontà misericordiosa del Signore. Un fuoco di brace!Cosa ricorda a Pietro quel fuoco di brace? Un triste momento del suo recentissimo passato: quando, mentre si riscaldava al fuoco di brace in una stanza del sinedrio, rinnegò per ben tre volte il Signore.

Ma ora Gesù si serve del fuoco di brace per cuocere del pesce e del pane per sfamare Pietro e gli altri. E' l'alba: inizia un nuovo giorno. Il giorno nuovo della meravigliosa novità del Risorto. Pietro deve dimenticare "quel fuoco di brace" e deve invece ricordare "questo fuoco di brace" sul quale Gesù prepara da mangiare. Egli dona il suo cibo: cibo che ha il sapore della grazia, della misericordia, del perdono, della tenerezza e della bontà. Ma a preparare questo cibo devono colaborare anche i discepoli: "andate" dice Gesù, "e portate un pò di pesce che avete preso ora".



E proprio Simon Pietro si presta a quest'opera di collaborazione.

Pietro è il primo che deve collaborare con il Signore per costruire insieme a lui la Chiesa, sposa dell'Agnello. Pietro porta giù dalla barca la rete che conteneva 153 grossi pesci. 153!

Ecco un altro simbolo. Era molto conosciuto nelle culture del tempo. Esso è un numero che ha alla sua base il numero 17. Infatti se si sommano i numeri in questa sequenza: 1+2+3+4+5.....+17 si arriva esattamente a 153. Inoltre il numero 17 è la somma di 10 +7: 10 è il numero simbolico del riempimento. 7 è il numero della pienezza. Allora è chiaro che attraverso il simbolo numerico la rete è la Chiesa ed il numero dei pesci indica la totalità dell'umanità che vi deve entrare per mezzo del ministero dei discepoli e degli apostoli.



La rete non si ruppe: rimase intatta, così come intatta deve rimanere la Chiesa. Ma "noipurtroppo abbiamo strappata quella rete, Signore. Perdonaci e donaci la grazia di sapere ricucire gli strappi che il nostro orgoglio ha inferto alla tua rete..." Queste parole vennero pronunciate da papa Benedetto XVI nel giorno del suo insediamento al servizio petrino!



Sì, noi abbiamo strappato quella rete: con le nostre mancate testimonianze, con le nostre paure di essere e di mostrare a tutti che crediamo in Lui e di Lui siamo discepoli, l'abbiamo strappata quella rete con le nostre ipocrisie, le nostre menzogne, con i nostri compromessi.

Ma coraggio: "Cominciava l'alba di un nuovo giorno" Quell'alba può iniziare sempre, in ogni istante, ma solo, tuttavia, quando avremo deciso di essere sul serio discepoli di Cristo senza misura. Già, nel racconto stesso, Gesù ci indica il modo di come risuturare la rete che abbiamo squarciata. "Prese il Pane e lo diede loro...!"



Il brano che stiamo meditando deve essere stato scritto, quando già, nelle piccole e nascoste case dei fedeli si celebrava l'Eucaristia. Ed è proprio a questa che il testo allude. L'Eucaristia: il dono che rende sempre "quotidiano" il mistero pasquale. L'Eucaristia che rende sempre viva la presenza del Signore nella sua Chiesa. Sarà attraverso di essa, l'Eucarestia Pane dell'Unità, Pane che fà l'unità, a ricucire gli strappi che la povera ed inferma nostra umanità apporta alla rete che è la Chiesa.



Alla fine dunque il brano ci fa comprendere che dobbiamo vivere il mistero della Pasqua, non una volta all'anno, ma ogni giorno, così noi contribuiamo a rendere visibile la Chiesa, così preghiamo perché torni ad essere "UNA"! Fratello e sorella, è un brano, questo, che ci insegna a stare vicino al fuoco di brace che Gesù ha preparato per noi. Il fuoco di brace è l'Eucaristia: su di essa ogni giorno il Divino Agnello si immola e si dona in pasto a noi perché possiamo diventare come Lui è! Allora tutti, Chiesa di Dio, diventeremo ciò che san Cipriano (secolo IV, martire e dottore della Chiesa) affermava della Chiesa: un popolo adunato nell'unità del Padre del Figlio e dello Spirito!



Vogliamo fare questo cammino verso l'unità?

Cominciamo da noi stessi e con i nostri fratelli di fede che ci stanno accanto e che tuttavia rimangono per noi illustri sconosciuti....!

Commento al vangelo Lc5,1-11 del 7 febbraio 2015
  
Il brano del vangelo di questa quinta domenica del tempo ordinario ha una sua precisa
collocazione.
Dopo il fallimento di Nazaret, Gesù rimane saldo nell'annuncio della Parola, anzi acquista maggiore
forza e vigore Si reca a Cafarnao ove oltre ad annunciare la Parola e compie una serie di miracoli
La guarigione di un indemoniato.La guarigione della suocera di Simone (Pietro) e molte altre
guarigioni.
Il seguito delle folle aumenta a dismisura, Gesù si reca non solo nei villaggi vicini, ma va anche in
in quelli della Giudea.
Questo contesto ci insegna una cosa molto importante: non bisogna avere paura dei fallimenti.
La vita spesso ne è piena, Gesù ci insegna che quando si vive appassionatamente per uno scopo ben
preciso, non ci sono fallimenti che tengano, si trova sempre la forza e il coraggio di andare avanti.
Gesù è inarrestabile nel suo cammino e siamo ancora solo agli inizi della sua missione.A questo
punto si colloca il racconto del Vangelo odierno.

.
Una prima cosa da evidenziare: siamo sulle rive del lago di Tiberiade, la folla accorre numerosa.
Ma questa volta non chiede miracoli!
Dice il testo: " Per ascoltare la Parola di Dio".
Ecco il miracolo. A Nazaret il rifiuto della Parola. Qui invece, la gente si accalca attorno al Signore
"solo" per ascoltare la Parola di Dio. Questo è un miracolo più grande di tutti quelli che Gesù ha fatto fin ora.
Come dobbiamo imparare anche noi questo!


Non sempre infatti accorriamo là dove si insegna la Parola del Signore, ma dove avvengono prodigi o presunti tali e si resta abbagliati.
Ma ciò che cambia la vita è la Parola che ha una sua forza intrinseca che le è data dallo Spirito Santo, le altre cose generano più emotività che fede.
Occorre fare un serio discernimento: occorre diventare cristiani più adulti e maturi.


Ma ritorniamo alla pagina evangelica.
C'erano due barche ancorate alla riva. I pescatori erano scesi per asciugare le reti.
Gesù, per farsi ascoltare da tutti, sale su una barca. Di proposito scelse la barca di Pietro.
Lo prega di scostarsi un poco da riva e poi comincia a parlare, a dire la Parola.


Poi rivolto a Pietro: "Prendi il largo e gettate le reti per la pesca".
Se Pietro avesse un istante ragionato, avrebbe sicuramente pensato: Costui è un bravo Maestro, ma di pesca non deve intendersene tanto.
Infatti se non abbiamo pescato nulla stanotte come potremo prendere qualcosa in pieno giorno?
Si pesca di notte. Durante il giorno i pesci prendono il largo.


Ma Pietro non fa calcoli umani ha fiducia. "Maestro, sulla tua parola calerò le reti"!
Stupenda esperienza di fede.

A che cosa siamo invitati con questa provocazione, fratelli e sorelle?
Intanto anche oggi viene detto alla Chiesa e a ciascuno di noi di prendere il largo nel mare della nostra storia e della nostra vita spesso perigliosa e difficile e ciò nonostante ci viene detto anche di gettare le reti.
Perchè poi questa cosa "gettare le reti"?


Per pescare prima di tutto ciò che ci manca per dare un senso alla nostra vita, un orizzonte nuovo, una soavità sconosciuta, una schiarita nel buio delle cose.
Per il pesce, creato per vivere in acqua, è mortale essere tirato fuori dal pescatore, esso viene
sottratto al suo elemento vitale per poi servire da nutrimento all'uomo.
Ma nella missione del pescatore a cui Gesù allude, avviene il contrario.


Noi uomini viviamo alienati, nelle acque salate della sofferenza e della morte, viviamo in un mare di solitudine e di oscurità senza luce.



La rete di Gesù, la rete del Vangelo, ci tira fuori dalle acque della morte e ci porta nello splendore della luce di Dio, nella vera vita.
Questo è il compito del divin Pescatore! Questo è il compito affidato a Pietro e alla Chiesa.
Questo è il compito affidato a chi è cristiano di "buona volontà". Tirare dal mare della morte il fratello o la sorella, l'uomo, dal mare della morte alla luce della vita!


Che missione grande!Tutti ne abbiamo bisogno. Credo che dovremmo imparare ad essere gli uni pescatori degli altri....
Perché è là dove si vede Dio che comincia la vera vita.
Solo quando incontriamo il Cristo che ci libera dalle acque del mare, noi conosciamo che cosa è la
vita e ne impariamo il valore, la cominciamo ad apprezzare ed amare.


Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio.Ciascuno di noi è voluto da Dio.Ciascuno è amato, ciascuno è necessario.
Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo e da Cristo stesso.
Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l'amicizia con lui.
E' bello, grande questo: perché in definitiva é un servizio alla gioia, alla gioia di Dio che vuole fare il suo ingresso nel mondo.


Ed avviene il miracolo.


La pesca fu miracolosa! Tanto miracolosa che le barche minacciavano di affondare per il peso del pescato. Le reti erano sul punto di spezzarsi.
Quante volte noi quelle reti le abbiamo spezzate!
Tutte le volte che abbiamo rotto l'unità del nostro essere e della nostra persona. Tutte le volte che abbiamo spezzato il dialogo con gli altri, spesso con i più familiari, perchè abbiamo fatto vincere il rancore, l'odio, la supebia, le nostre amare passioni.
Abbiamo così rovinato il miracolo di Gesù nella nostra vita.


No! Non deve più avvenire.


E qualora, per disgrazia, fosse avvenuto, ritorniamo a gettare la rete e riprendiamo il largo!
Ricominciare da capo: è la speranza che non deve mai abbandonare il cristiano, ossia ciascuno di
noi.

E come Pietro, vedendo il miracolo della vita ripescata dall'Amore di Cristo e dalla forza della
Parola, gettiamoci dunque ai piedi di Gesù per adorarlo e ringraziarlo.
Esclamiamo anche noi come Pietro: "Allontanati da me, perché sono un povero peccatore"
Certo egli si sente indegno della gratuità dell'Amore, ma forse in quel momento avrebbe dovuto ricordare che a compiere il miracolo della pesca miracolosa, non è stato propiamente Gesù, ma la sua fede nella Parola del Maestro.
Così è per tutti noi, la fede nella Parola non si allontani mai dalla nostra vita.


E' un tesoro troppo importante la fede nella Parola.
Dove andremmo quando la tristezza ci assale? Dove, quando la morte cerca di ghermirci?
Dove, quando daremo assaliti dall'invidia, dalla gelosia, dalla paura degli altri?
Dove, quando il dubbio fa crollare le nostre certezze?
Dove ancora quando gli affanni della vita, le malattie, le angoscie, le speranze deluse e frustrate ci chiuderanno in noi stessi.
Dove?
Da Te Signore Gesù, perché solo Tu hai Parole di vita eterna.
Amen....
..........................................

Commento al vangelo Gv 6,24-35: 1 agosto 2015



Di Padre Augusto Drago
 


Siamo a Cafarnao, nella sinagoga. Probabilmente in giorno di Sabato. La gente aveva affannosamente cercato Gesù.

E' bello cercarlo: è il fine della nostra vita cercare Colui che non è mai sufficientemente

trovato! Ma occorre vedere le motivazioni che ci spingono a cercarlo.

Quelle della folla erano del tutto materialistiche: cercavano Colui che aveva moltiplicato il

pane! E Gesù aveva raccomandato: "Cercate il cibo che non perisce..."   



Ecco che cosa dobbiamo cercare: non le opere di Dio ma l'unica vera opera: quella di credere.

Non troveremo mai il Signore se non a partire da una profonda esperienza di fede.

Povero Signore! Molti ti trattano come se Tu fossi un bottegaio: ti si chiede una merce, in

questo caso il Pane, e tu la doni.

Ma Tu sei qualcosa di più grande, di ineffabilmente più grande. E ce lo riveli con

le tue parole.



Allora, fratelli e sorelle entriamo dentro il testo: scaviamo dentro le parole per trovare il fuoco della Parola! Una nuova domanda segna il passaggio ad un altro punto del discorso: "Quale segno dunque Tu fai perché vediamo e possiamo crederti?"

Le credenziali offerte da Gesù con la moltiplicazione del pane sono buone, ma non ancora

sufficienti. La folla richiede dei segni. Segni per credere.



I giudei del tempo di Gesù attendevano per il tempo messianico, il rinnovamento del miracolo

della manna, come è documentato in apocrifo detto "Apocalisse di Baruc":

"Di nuovo la manna discenderà dal cielo e si mangerà"! Gesù risponde articolando la sua

argomentazione in tre momenti:

1. il pane dal cielo, non venne da Mosè! (notate l'uso del verbo al passato!)

2. E' Dio che dona (presente, per dire "ora, adesso") questo pane!

3, Il pane è una Persona: è Colui che discende dal Cielo, portatore di una missione precisa:

dare la vita al mondo!



All'incomprensione degli ascoltatori che credono di essere esonerati dalla fatica per il cibo

quotidiano ( ="Signore dacci sempre di questo pane!"), Gesù risponde chiarendo il senso del

suo discorso. Egli è venuto da Dio! E' venuto perché coloro che lo accolgono "abbiano la

vita e l'abbiano in abbondanza!"

La manna, con la sua concretizzazione, richiama il grande mistero dell'Incarnazione.



Tramite il mistero dell'Incarnazione. il Figlio del Padre, non solo assume l'umanità, ma diventa Pane di vita e di salvezza. Egli scende dal mondo di Dio, porta a noi la vita di Dio.

E' l'Incarnazione, o discesa di Gesù dal cielo, il perno di tutto lo sviluppo, il punto decisivo del

discorso. Gesù è disceso dal Cielo!



Come la manna: ma questa era prefigurazione di Gesù. Egli è la vera manna che discende dal Cielo.

"E il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi!"

Incarnazione e Pane e quindi Eucaristia si richiamano in maniera assolutamente indivisa:

sono due aspetti di un'unica realtà d'amore.

Per chi non crede, l'Incarnazione rimane uno scandalo che impedisce di conoscere la vera

identità di Gesù.

 Ancora una domanda dei giudei fa progredire il discorso. "Signore dacci sempre di questo Pane". Essi sono fermi ancora al pane materiale. Non hanno progredito di nulla. Ma è Gesù che va avanti nella rivelazione di sé: "Io sono il Pane della Vita. Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me, non avrà sete, mai!"



"Io sono!": ormai conosciamo il valore di questa auto rivelazione di Gesù. IO SONO": è il Nome con cui Dio stesso si rivelò a Mosè.

Gesù afferma di essere Dio: un Dio che si fa Pane che dona la vita.

Se un pane materiale fa crescere la vita, il Pane disceso dal Cielo, Cristo Gesù, dona una Vita

nuova: quella del Cielo, ovvero quella del Padre!



E chi crede in Lui non avrà sete, mai! Sembra di leggere il libro dei Proverbi (9,1 e seg.) là

dove si parla della sapienza vista come un convito dove si mangia tutti nella gioia e nella

novità.

Gesù invita gli uomini, ciascuno di noi al suo convito. Egli è la vera Sapienza di Dio, il vero

Amore che dà "gusto", dà "sapore di novità" alla vita, perché porta una nuova Vita, quella di

Dio. Dio si è fatto Uomo, perché l'uomo, prendendo parte al banchetto delle nozze

dell'Agnello, divenisse Dio. Per questo il mistero dell'Incarnazione, nel periodo liturgico del

Natale, viene celebrato con le Parole del libro dei Proverbi: "O Meraviglioso scambio! Dio

dona la Sua Vita all'Uomo e l'uomo dona la sua Natura a Dio!"



Questo meraviglioso scambio avviene tutte le volte che noi partecipiamo al dono Eucaristico,  

quando mangiamo il Pane eucaristico!

Solo allora comprendiamo, facendone esperienza, il progetto ineffabile dell'Amore di Dio:

lo scambio della vita: Lui ci dona la sua e noi Gli doniamo la nostra!



Mistero dell'Amore: l'Eucaristia è il mistero dell'Incarnazione che si prolunga nell'esperienza

viva e vera del cristiano. Si avverano allora le parole di Paolo: "Non vivo più io, ma è Cristo

che vive in me!".



Fratelli e sorelle, come vedremo in seguito, Gesù, progredirà, passo dopo passo, nella sua

auto rivelazione inaudita, fino a creare sconcerto, scetticismo ed abbandoni.

Perché c'è sempre chi rifiuta la Vita!

Ma noi non vogliamo essere tra quelli che ricusano questo dono assolutamente inestimabile ed

incomprensibile del Mistero dell'Amore ardente di Dio per noi.

Noi lo accogliamo! Con gioia, con consapevolezza e con sempre rinnovato stupore!

Come hai potuto amarci così Signore?

Ci reputiamo indegni del tuo grandissimo amore, ma sbagliamo quando pensiamo così!



Molti di noi si reputano indegni! Certo che lo siamo! Ma io non ci voglio pensare! No! Non

voglio pensare alla mia indegnità: essa mi impedirebbe di gioire per l'immensa gratuità

dell'Amore che il dono interamente porta con sé ed in sé!



Fratelli e sorelle: sì siamo indegni, lo sappiamo! Tuttavia non facciamoci catturare da questo

pensiero: pensiamo alla Bellezza del dono per rimanerne affascinati e commossi fino alle

lacrime! Amati fino a questo punto! Che bello! Troppo bello!



Io Signore vengo a te per non avere altre fami: Tu solo mi basti.
Io credo in Te per non avere altre seti: Tu mi sazi e mi disseti! E tanto mi basta per essere felice su questa terra! Amen



Commento di Padre Augusto Drago al vangelo di  Marco 5,21-43

la donna con perdite di sangue e la figlia del capo della sinagoga 


In questo brano evangelico di Marco due miracoli vengono ad incastrarsi uno dentro l'altro e formano un tutt'uno. “ La tua fede ti ha salvata” dice Gesù alla donna emorroissa. Egli la tocca e la guarisce. Subito dopo Lui stesso tocca la fanciulla, la figlia del capo della Sinagoga, Giairo, e la risuscita: infatti era già morta. Il racconto della guarigione dell'emorroissa ci dice che cosa è la fede: toccare Gesù. Il racconto della fanciulla, la figlia morta di Giairo ci dice che cosa ci dona la fede: far passare dalla morte alla vita. La fede è un toccare l'umanità di Gesù ed essere toccati da Lui.
Talità kum ! Alzati e cammina!
Coraggio figlia, la tua fede ti ha salvata, dice Gesù alla donna emorroissa!
In ogni modo, il toccare o l'essere toccati porta alla vita ed alla guarigione, intesa prima di tutto come salvezza.

Gesù prese la mano della bambina! Prendere la mano è il gesto simbolico di chi afferra qualcuno per trarlo da un pericolo, da una situazione pericolosa. Gesù compie il gesto per liberare la fanciulla dai lacci della morte. Tenerezza di Gesù, tenerezza anche del Padre.
Se qui il verbo toccare è il verbo della fede e di ciò che la fede dona, allora dobbiamo considerare un altro fatto importante:
Dio Padre, mandando suo Figlio nella nostra carne mortale, non viene forse a toccarci da vicino? Non viene a toccare le nostre infermità? Non viene a mettere la mano là dove più purulenta è la nostra piaga? L'Incarnazione del Verbo è il più grande atto di tenerezza del Padre verso di noi. Egli, il Padre, per mezzo dell'Umanità del Figlio, ci ripete: Talità kum !Riprendi a camminare, riprendi la vita!

Questo compie la tenerezza e la bontà del Dio che amiamo, del Dio nostro, Abbà! Gesù è l'incarnazione dell'eterna ed infinita tenerezza di Dio nei confronti della nostra povera umanità. Gesù ci salva, Gesù ci fa rivivere, Gesù ci ridona le speranze perdute, Gesù ci ridona la dignità smarrita, Gesù ci dona, come una sorgente, la Vita. A condizione però che noi "lo tocchiamo", nello stesso modo e nella stessa misura di come Lui ha toccato noi. Toccare come credere in Lui, toccare come fidarsi di Lui: che cosa dice infatti l'emorroissa?

Dice;"Se riuscirò solo a toccare il suo mantello sarò salvata!" Perché dice: "se riuscirò?"
C'era molta gente attorno ed accanto a Gesù. Lei era una persona dal volto anonimo, nessuno la conosceva e nessuno conosceva la sua infermità.
Ella deve trovarsi la via da sola per raggiungere il suo Gesù. Ma non ci riesce.
Si ferma là dove è potuta arrivare: alle sue spalle. Allora ricorre all'espediente di toccare la punta del suo mantello!

Gesto umile, semplice fatto anche di incognite: sarà possibile che toccare il mantello di Gesù arrivi a far sentire la sua presenza? Sì, sarà possibile: proprio a motivo del suo umile gesto, ultima risorsa che le era rimasta. Toccare è credere che Gesù tutto vede e sente della nostra povera umanità.
Di fatti Gesù sente come un fremito attraversargli il cuore, si volta e senza indugio dice alla donna: "La tua fede ti ha salvata”.

Ecco: la fede non è poi così difficile o complicata, non esige grandi opere o grandi fatiche.
Basta il gesto semplice e coraggioso. Basta la fatica di farsi largo tra la ressa per giungere vicino a Lui. La gente, essa stessa è anonima, senza volto. Tante persone girano attorno a Gesù, tante persone gli stanno accanto, ma non lo toccano né si lasciano toccare.
Per essere guariti, per guadagnare la nostra Vita occorre la semplicità del "toccare" e la gioia di essere toccati da Gesù.

Fratelli e sorelle:dove è il luogo, dove è lo spazio per dare a Gesù la possibilità di poterci dire: TALITA kum ? Il primo spazio è il nostro cuore e la nostra anima. Là dove si forma il nostro volere e il nostro desiderio.
Il secondo spazio è la storia della nostra vita, qualunque essa sia. Gesù, Verbo fatto carne, ci viene incontro. Lo avete notato? All'inizio, quando Giairo giunge da Gesù e si prostra ai suoi piedi e gli dice della figlia ormai morta, che senso può avere dire a Gesù vieni su da lei e vivrà? Ha il senso che il tocco di Gesù risana e dona la vita. Giairo ha fede, perché crede possibile questo "tocco" vivificante di Gesù. C'è poi l'ultimo luogo dove Gesù ci dice TALITA' kum : ed è l'Eucaristia. Là veramente tocchiamo e siamo toccati dalla tenerezza del nostro Dio! Oh! se ci accostassimo alla santa Comunione con questa rinnovata certezza!
Con questo desiderio di toccare la sua carne ed esserne a nostra volta toccati!
Quante guarigioni potremmo ricevere! Sì, è proprio così. TALITA' kum !

Alzati e riprendi a camminare, fratello e sorella: questa è la tua meravigliosa sorte se ti lasci toccare e meravigliare da Gesù! La tua storia è risanata fin dalla sua origine.
Le tue morti, e sono tante a partire da quella del cuore, sono cambiate in vita.
Se credi, vedrai la gloria di Dio risplendere su di te. Credi e vedrai! Credi e sperimenterai.
Credi e saprai che cosa sia Dio, il Padre della tenerezza infinita.




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Pentecoste, pienezza della Pasqua.

A Pentecoste, pienezza della Pasqua, la Parola mette l’uomo in cammino lungo i sentieri della storia e la fa divenire testimonianza viva e vissuta del Vivente: tutto si rinnova!

Questo aspetto mistagogico richiama ineludibilmente il nostro cammino oggi e lo richiama a tutti i cristiani.

Cosa chiede? Certamente di permettere allo Spirito di farci ricordare (=ricondurre alla memoria del cuore) come prima cosa, che dobbiamo riassumere la Veste candida della purezza del cuore e della mente e di rendere la Parola, che abbiamo ricevuta, viva e capace di divenire profezia!



Fratelli e sorelle, dopo aver vissuto i 40 giorni imparando ad ascoltare la Parola ed essere cresciuti sotto le sue ali, nel cuore e nella mente, eccoci giunti, quasi in un batter d’ali, all’inizio dei 50 giorni: il tempo di Pasqua, che ci permette di emettere il grido mediante il quale i catecumeni facevano il grande passaggio: Gesù è il Signore, alleluia!



Come sento forte il richiamo, quest’anno, ad invitare me stesso ed anche voi tutti, a ritornare al cammino catecumenale che la Chiesa, fin dalle sue origini proponeva a quanti si riavvicinavano

od incontravano per la prima volta il messaggio di Cristo e sentivano il desiderio di fondare su di esso la propria vita, mossi anche da un profondo desideriodi appartenenza alla Chiesa!



Gridiamo forte e con tutto l’amore del cuore il grido catecumenale: Gesù è il Signore: è risorto, alleluia!

Formiamo un’unica famiglia che si fa corpo unico per seminare la Parola di Dio nei cuori. Custodiamo il germoglio che, fragile, spunta con la forza derivante dalla sua unità. Vigiliamo sulla sua crescita per poi raccoglierne i frutti e con tenerezza e attenzione amorosa seguirne tutta la sua vita!

Questo sento essere il primo grande invito che i nostri Padri, i nostri fratelli maggiori

che ci hanno preceduto, ci vogliono consegnare: le nostre comunità cristiane, nelle quali riceviamo con il Battesimo il dono dei doni, siano nidi accoglienti per la nostra vita, siano vere famiglie nelle quali non ci si dà pace finché il fratello, la sorella non sia entrata nel nostro cuore fino ad occuparne un posto tutto speciale, finché la sua crescita nel Signore Gesù non diventi vitale per me

quanto la mia!

Possiamo farlo? Siamo chiamati a farlo!



Seguiamo pertanto le parole del Signore che ci invita al comandamento dell’amore e ricordiamoci che non siamo i soli a desiderarlo ma perfettamente ci innestiamo nel sogno stesso di Gesù, espresso nell’intimità della Preghiera al Padre alla vigilia della sua morte: “siano

come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità” (Gv,17,23).


Padre Augusto Drago, in Più perfetta letizia 40+50 un mucchio di giorni verso la pienezza




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Commento di Padre Augusto Drago al vangelo  Gv 20, 19-31 della seconda domenica di Pasqua

Pasqua non è passata! Continua. Essa entra nella storia di tutti i tempi, nella nostra storia, anche quella personale. La seconda domenica di Pasqua, quella che celebreremo domani, celebra anche la festa della Misericordia, voluta dal santo Padre, di cui domani la Chiesa dichiarerà la santità davanti a tutto il mondo.
Dobbiamo capire, nel corso della nostra riflessione, perché il Santo Padre Giovanni Paoli II scelse questa domenica per celebrare la misericordia divina. Certo, fu spinto dalle rivelazioni di suor Faustina: ma oltre alle rivelazioni della santa, c'è nel testo del vangelo la ragione teologica. E la vedremo.

Il tema dominante di questa Domenica è la fede nei segni della Resurrezione.
Per questo predomina il verbo "vedere" Si arriva alla fede, come fu per gli apostoli e poi per l'incredulo Tommaso, per mezzo di un vedere "fisico". Ma c'è una fede più vera e più profonda, che è di quelli che hanno creduto senza vedere, non con gli occhi materiali, ma con gli occhi del cuore, quegli occhi che scrutano il mistero di Dio e se ne lasciano affascinare.

"Il primo giorno della settimana": siamo nello stesso giorno in cui Gesù è apparso alla Maddalena.
Domenica scorsa, la prima domenica del mondo: si parlava di lei: "il primo giorno della settimana, Maria di Magdala si recò al sepolcro...così iniziava il Vangelo domenica scorsa il giorno di Pasqua.
Si può allora pensare, in maniera toccante, che la liturgia ci fa comprendere che l'evento di Pasqua continua a tutti gli effetti con l'ottava di Pasqua e, a seguire, con tutto il tempo di Pasqua,

Se andate ora a guardare quale vangelo si leggerà il giorno di Pentecoste, vi accorgerete che è lo stesso della prima parte del Vangelo di domani. E' come dire che da Pasqua a Pentecoste, sfavilla un grande arcobaleno liturgico che segna un unico grande giorno: "Questo è il giorno fatto dal Signore, rallegriamoci ed esultiamo in esso" (Salmo 118).

Questa unità temporale ora sarà messa in rilievo in maniera molto chiara al versetto 26 del nostro brano:Otto giorni dopo...E qui abbiamo l'evento della conversione di Tommaso.
Un unico medesimo incontro con il Signore risorto, quello che va da Maria di Magdala ai discepoli, e dai discepoli a Tommaso, a chi è stato battezzato la Notte di Pasqua, e noi tutti , di ieri, oggi e domani!

Gesù è Vivo ed "appare" sempre nei suoi sacramenti pasquali, soprattutto il battesimo e l'Eucaristia.
Questo è reso evidente dallo stesso modo con cui Gesù si incontra con i discepoli, poi con Tommaso, dal ripetersi delle stesse identiche parole. (Vedere i versetti 19 e 26) "Essendo chiuse le porte....venne Gesù e stette in mezzo a loro". "E disse: Pace a voi" Quale pace?

Gesù lo aveva già detto precedentemente ai suoi discepoli ed apostoli: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dona il mondo io la dono a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore" (Giovanni 14,27).
La Pace di Gesù non è come quella del mondo. E' la "sua Pace": quella che è la sintesi di tutti i beni messianici: la salvezza, la guarigione, i doni dei sacramenti, il dono grandissimo della Parola...
Il mondo dona invece una falsa pace: infatti la pace degli uomini, spesso serve a preparare un'altra guerra!

Gesù entra a porte chiuse. A parte l'incorporeità del nuovo modo di essere di Gesù, l'entrare a porte chiuse, significa che Gesù penetra e vuole di fatto penetrare nei cuori più chiusi, più raggomitolati in se stessi.
Egli entra anche se noi teniamo le porte del nostro essere più profondo ben chiuse.Il punto è poi quello di saperlo accogliere.

Il testo ci dice che i discepoli gioirono nel vedere il Signore. Egli infatti si era collocato nel centro della stanza del cenacolo. Ecco dunque: occorre che quando entra nei nostri cuori e ci viene a visitare, senza che noi lo avessimo invitato, lo accogliamo e gli permettiamo di collocarsi al centro vitale della nostra vita!
I discepoli gioirono!

Oh! Come vorrei, fratelli carissimi che anche noi potessimo gioire, ogni uomo sulla terra potesse gioire, collocando il Cristo risorto al centro della propria esistenza. Come tutto sarebbe radicalmente diverso! La gioia! Gesù l'aveva già promessa: Voi gioirete al vedermi! (16,22). Questa gioia era stata già promessa nell'Antico Testamento: "Abramo, vostro Padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno: lo vide e fu pieno di Gioia". Così disse Gesù parlando di Abramo in Giovanni 8,56.

Ma la promessa più grande che ora si compie è il dono dello Spirito Santo. Gesù ripete gli stessi gesti che aveva compiuto il Signore quando creò l'uomo in Genesi 2,7: Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo, soffiò nelle sue narici un respiro di vita e l'uomo divenne un essere vivente".

Soffio, Spirito e vita: questi tre elementi li troviamo sempre là dove il Signore infonde vita e calore in tutte le cose. Comprendiamo allora che il medesimo Spirito che aveva dato vita ad Adamo ora ha ridato la vita a Cristo Gesù il quale, sempre per mezzo del medesimo Spirito, la dona agli uomini che credono in Lui! Da qui il perdono, o meno, dei peccati.

Dalla capacità di ricevere lo Spirito e di rimanere in Lui. Chi rimane in Lui è perdonato, chi non rimane in Lui il suo peccato non viene rimesso. La potenza della Pentecoste, la forza dello Spirito rende presente "nell'oggi" del cristiano l'azione salvifica del Signore.

Ora entra in scena Tommaso. Egli afferma, non crederà, se prima non "getterà, tufferà" le sue mani e le sue dita nelle piaghe del Signore, soprattutto in quella del costato. Non un semplice "io non credo!", ma un deciso "io non crederò!".

A tutto questo risponde Gesù otto giorni dopo. Ripete le stesse parole di Tommaso, gli stessi verbi: affonda le tue dita sulle mie piaghe, metti la tua mano nel mio costato... Ed è qui, che constatiamo, che quelli che sembravano essere i presupposti peggiori alla fede, ora si rivelano proprio veicolo di fede. Una fede, quella di Tommaso, mai espressa da nessuno.

Nel Vangelo va oltre ogni aspettativa: adorandolo Gli disse: “Mio Signore e mio Dio!” E' la prima volta in assoluto che Gesù venga proclamato da un discepolo o apostolo con il titolo divino. Mio Signore e mio Dio.

Gesù è Signore, è Dio! Mi vengono in mente alcuni passaggi del libro del Cantico dei Cantici: li riporto:
Mi sono addormentata, ma il mio cuore veglia
Un rumore! La voce del mio Amato che bussa alla porta:
Aprimi sorella mia, mia amica, mia colomba, mio tutto.
Il mio capo è madido di rugiada, i miei riccioli di gocce notturne.
L'amato mio ha mandato la mano nella fessura della porta
e le mie viscere fremettero per lui.
Mi sono alzata per aprire al mio amato
e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita
sulla maniglia della serratura.
Ho aperto allora all'amato mio,
ma l'amato mio se n'era andato, era scomparso....(Cantico 5,2.4.6).

Amante appassionato, Dio in persona è passato attraverso la porta del luogo dove erano riuniti i discepoli, ma trova chiusa quella di Tommaso. Ecco allora che, per forzare la nostra chiusura, come l'amato manda la mano nella fessura della porta, alla stessa maniera il Padre ha mandato il suo Figlio nel mondo.

Ecco la mano operante quella Divina Misericordia ,celebrata in questa Domenica per volontà di colui che domani sarà proclamato beato dalla Chiesa, Giovanni Paolo II. Egli ha sottolineato un aspetto teologico della lettura di questa ottava di Pasqua.
Non è forse Misericordia entrare nel cuore?
Non è Misericordia dare la mano, allungarla per metterla sulle nostre ferite?
Non è Misericordia darci i segni della sua Pasqua?

Tutto è racchiuso nella misericordia. Dio in Gesù, è l'Amante amato e vuole essere amato, fino a mettere in gioco la sua faccia! Perciò è detto, nell'ultima beatitudine pronunciata da Gesù: "Beati quelli che crederanno senza aver visto". Senza aver visto con gli occhi della carne. Ma che hanno visto e vedranno con gli occhi del cuore: gli occhi di luce che sanno leggere la Sua presenza in ogni evento della vita.




Dal vangelo secondo Marco: Mc 1,7-11 BATTESIMO DI GESU'

E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni.
E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Commento di Padre Augusto Drago

Domenica del Battesimo di Gesù: un prolungamento della festa dell'Epifania.  Infatti ci troviamo davanti ad un racconto epifanico. Cominciamo, con l'aiuto dello Spirito Santo, a penetrare dentro il mistero della Parola per gustarne insieme la bellezza e il divino sapore! Miei cari fratelli, mie care sorelle, ricordate cosa leggemmo la prima domenica di avvento?

Nella prima lettura abbiamo letto una preghiera di supplica tolta dal libro di Isaia:
"Tu Signore da sempre sei il nostro Padre, da sempre ti chiami nostro redentore,  perché allora ci lasci vagare lontano dalle tue vie?    Ritorna per amore dei tuoi servi: oh se tu squarciassi i cieli e scendessi!...." (Isaia 63, 13-17).
La preghiera del popolo penitente, come la preghiera sottesa di quella folla che stava in attesa del battesimo di Giovanni, ora viene esaudita.     Di Gesù nelle acque del Giordano, Marco ci dice che, salendo dall'acqua, Gesù vide i cieli aprirsi su di Lui e lo Spirito scendere sulla sua persona, mentre la Voce del Padre in maniera epifanica lo proclamava "Suo Figlio" presentandolo in tal modo al mondo!

La rivelazione ha infatti il carattere di una presentazione della realtà di Cristo fatta dal Padre.    Gesù non poteva avere referente più alto se non il Padre.    I cieli si aprono, si squarciano e l'atteso è proclamato presente dal Padre, l'atteso è venuto, è in mezzo a noi!
"Tu sei il mio Figlio, il Diletto, nel quale ho posto il mio compiacimento!"

Fratelli e sorelle guardate bene il testo! C'è qualcosa di inaudito in questo racconto del Battesimo di Gesù.    Se apriamo il Vangelo di Marco, ci accorgiamo che questa è la prima apparizione di Gesù, la sua prima entrata in scena. Ma come appare? Come entra in scena?    Pensate per un istante a quante attese ci siano state del Messia, quanti segni sul suo apparire, quante voci profetiche lo hanno annunciato.          Ebbene come appare?

Il testo dice: "Ed ecco in quei giorni Gesù venne da Nazaret e fu battezzata da Giovanni nel Giordano. Venne come uno sconosciuto, da una città mai nominata nelle Scritture, come gli altri penitenti si mette in fila aspettando il suo turno! Questa è, nel Vangelo di Marc,o la prima apparizione di Gesù:    umile, nascosto, confuso tra la gente, tra i peccatori che attendevano il battesimo di Giovanni....E' dirompente questo modo di presentare Gesù in Marco!    Ma proprio per questo i cieli si squarciano e su di Lui avviene una meravigliosa teofania del Padre e dello Spirito!
Il povero è glorificato, l'umile è innalzato, lo sconosciuto diventa l'oggetto dell'attenzione amorosa del Padre! Ecco la vera Epifania!
Proprio nel momento in cui Gesù si fa ultimo fra gli ultimi avviene la testimonianza del Padre e l'effusione dello Spirito su di Lui!    Proprio in quel momento viene consacrato dal Padre e presentato al mondo come il Figlio diletto su cui il Padre ha posto il sigillo della sua compiacenza!    E' come se il Padre gli dicesse: "Hai scelto il gesto giusto, il gesto dell'inizio, quello dal quale si intravede l'intero cammino della tua vita, della tua missione."    Mi viene spontaneo chiedermi e chiedervi: noi (io e voi) all'inizio di un evento particolare della nostra vita, quale abito avremmo assunto? Quale sarebbe stato il nostro primo gesto?   Eppure all'inizio sta anche per noi il battesimo, cioè questa immersione nell'acqua che salva.

Il Gesto di Gesù già disegna tutta la sua vita.   Notiamo infatti che tra questo episodio dell'inizio e l'episodio della fine c'è un perfetto parallelismo. Qui nel Battesimo a squarciarsi sono i cieli. Alla fine a squarciarsi sarà il velo del tempio. Qui, nel Battesimo è Gesù a vedere i cieli aperti e lo Spirito Santo scendere su di Lui, alla fine, nell'ora della Croce, sarà il centurione pagano che vedrà lo Spirito uscire da Gesù: "emise lo Spirito".
Ciò che Dio dice di Gesù al Battesimo, presentandolo al popolo, alla fine lo dirà un uomo, pagano che più non si può, un centurione romano.   Lui dirà: "Veramente Costui era il Figlio di Dio!". Strane coincidenze?

No, fratelli! Ma nell'inizio della storia di Gesù già c'è la sua fine, che a sua volta sarà un nuovo e definitivo inizio. Così è e deve essere del nostro Battesimo! Come gli Ebrei nel mar Rosso, come Gesù nel Giordano, nel battesimo lasciamo in fondo all'acqua tutte le nostre schiavitù e tutte le nostre debolezze, i nostri peccati, e cominciamo a camminare sulla via della libertà, che come tappa ineludibile, ha la Croce dalla quale poi nasce la Vita vera.
Il Battesimo non è un azione rituale, ma ci immette dentro la traiettoria della vita di Gesù.   Impariamo ad essere uomini e donne che camminano per le strade dello Spirito, che non gridano, che non alzano il tono, che non fanno udire in piazza la loro voce, che non spezzano una canna incrinata, che non spengono uno stoppino dalla fiamma smorta, che proclamano il diritto e la giustizia con fermezza. Essi non vengono meno, non si abbattono.   

Detto questo, fratelli e sorelle, vorrei brevissimamente fermarmi su alcuni passaggi del testo.

Anzitutto quello della discesa della colomba su Gesù, simbolo dello Spirito santo.  Il verbo usato indica che la "colomba" cioè lo Spirito prende dimora in Gesù.   Marco descrive questa dimora in forma simbolica, ossia come una colomba che ha un modo particolare di scendere sulla nidiata: è quello di "planare dolcemente" sul nido, per coprire del suo calore i pulcini. Marco in tal modo ci fa comprendere che lo Spirito Santo non fa rumore quando opera ed agisce, ma si posa dolcemente e delicatezza ed in tal modo prende contatto e dimora in Cristo Gesù, come in ognuno di noi. Dove c'è rumore e grida, non c'è lo Spirito!

Vorrei poi mettere in rilievo la Voce del Padre.   Tre volte in tutto il Vangelo essa si fa udire: qui al Battesimo, poi nel giorno della Trasfigurazione e poi in Giovanni 12, 23-30. La Voce del Padre è proclamativa e rivelativa:   Sono in tutto tre parole:TU SEI IL MIO FIGLIO: la Parola è rivolta a Gesù stesso per indicare che come Unico Figlio del Padre, adesso il Padre stesso vuole investirlo di una missione.   Il Padre, nello Spirito, Gli comunica solennemente che ha Lui come unico Figlio e che Egli quindi è Dio da Dio, ma al tempo stesso è Uomo da Uomo, perché è nato dallo Spirito santo e da Maria.    Egli è IL DILETTO! Cioè l'unico assolutamente amato!   "IN TE MI SONO COMPIACIUTO!
Il verbo è indicato al passato ed indica il tempo compiuto. E' come dire che, dal "suo eterno presente, il Padre vede già adempiute, attraverso l'obbedienza del Figlio, che tutto in Lui e per Lui si compie. Il disegno del Padre in Cristo è già perfetto, compiuto anche se attualmente deve ancora avvenire.  "Padre nelle tue mani rimetto il mio Spirito": con queste Parole Gesù "consegna lo Spirito".
Tutto è compiuto. Per questo il Padre già fin d'ora chiama il suo Figlio come Colui nel quale ogni suo compiacimento si compie!

Così, fratelli e sorelle, dovrebbe essere la nostra vita di battezzati: in esso già dovrebbe essere inclusa tutta la nostra vita e il suo svolgersi nel tempo.  Ma quanti di noi ricordano di essere stati immersi in Cristo Gesù, si che l'ieri, l'oggi e il domani, tutto si trova inscritto nell'esperienza umano e divina di Gesù? E' una domanda e non da poco!



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Vangelo secondo Giovanni 1, 1-18


E' la terza volta che in un breve spazio di tempo la Liturgia ci propone il Prologo del Vangelo di Giovanni. Dovremmo già conoscerlo bene, credo! Si tratta di una pagina che dà le vertigini teologiche.
Leggendo, si è subito presi da un senso di stupito smarrimento.
Fin dalle prime battute, ci si sente come rapiti in un mondo divino. Luci ed ombre si alternano e si rincorrono, impedendo al lettore di rimanere in un dubbio increscioso: ma di che cosa ci sta parlando Giovanni? Questo è il dubbio che potrebbe venire.


Giovanni fa profilare subito il risultato finale di questo avvicendarsi di luci e di ombre:
la luce trionfa sulle tenebre, la vita sulla morte, la Parola di comunione e di amore su ogni egoistica chiusura.
Il Verbo si fa carne, proprio per permettere al bene di vincere il male, ogni male, tutto il male.
Di questo Verbo, o Parola, Giovanni, all'inizio, ci descrive la sua relazione con Dio dimostrandoci che Egli era Dio.


Il Verbo è consustanziale del Padre. è la Parola di eterna comunione del Padre dentro un'unità d'amore che è eterna. Il Verbo è la Parola amicale del Padre.
Amicale: ci fa essere cioè amici di Dio perché Dio nel suo Verbo parla a noi come ad amici.
Nel Verbo siamo amici di Dio e Dio è amico nostro.
Amico che cammina con noi sulle strade della nostra Vita, riempiendola di ogni sua Pienezza:
Pienezza di Vita, di Divinità, di Luce.
In tal modo la nostra vita è trasformata, elevata dal suo mondo carnale al mondo spirituale, al mondo dell'Amore di amicizia con Dio.


Dalla sua pienezza, dirà alla fine, Giovanni, noi tutti abbiamo ricevuto, grazia su grazia.
La Parola è dono di amore e di comunione: la grazia è il dono di Bellezza con cui il Verbo del Padre riveste la nostra umanità. Grazia su grazia: in maniera reduplicativa, come per dirci che il nostro Grande Amico è un continuo datore di Vita.


Fratelli e sorelle! Iniziamo un anno nuovo: Non dobbiamo avere paura!
Molti, in questi giorni, consultano oroscopi, pagando vanno dai maghi e dalle fattucchiere, per sapere che cosa accadrà in questo nuovo anno.
Noi non abbiamo bisogno di nulla di tutte queste cose.
Abbiamo il Verbo di Dio che ha posto la sua dimora in mezzo a noi.
Abita la stessa nostra vita. E' dentro le nostre storie fatte di luce e di ombre, è conoscitore perfetto delle nostre paure inconfessate e ben celate nel profondo di noi stessi.


Di che allora dobbiamo avere paura? E' con noi la Luce! E' con noi la Verità.
E' con noi Colui che ci prende per mano e ci conduce, come un buon Pastore, per le vie impervie della nostra vita. Con Lui che abita con noi, nella nostra casa, faremo allora cose grandi, come dice il Salmo.

Letto proprio all'inizio dell'anno, questo brano sembra dirci: non temere, guarda sempre al di là del contingente, guarda sempre oltre, non avere paura: la speranza si è fatta Parole ed abita dentro di te per dirti, ad ogni passo del tuo incerto cammino, che Lui ti conduce piano piano come si fa con le pecore madri, tu sei ancora piccolo per compiere grandi passi, ti prende in braccio e ti porta Lui! E' così, fratello e sorella! Proprio così siamo ben corazzati per affrontare quello che molti chiamano l'incognita della vita. Per noi non c'è nessuna incognita: c'è solo Gesù, Verbo della vita, che rimane sempre con noi. Alleluia!

Padre Augusto Drago


                              
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L’annunciazione dell’angelo Gabriele a Maria di Nazaret
Di Padre Augusto Drago

Quante volte, lungo il corso dell'anno liturgico abbiamo commentato e meditato questo brano dell'annunciazione di Maria secondo Luca? Tante volte, soprattutto in tante feste mariane.
Ma questa sera, il brano dell'annunciazione mi appare (non so a voi) carico di una novità straordinaria!

E' il clima prenatalizio a darci il senso di respirare il cuore del mistero della Nascita di Gesù.
Respirare a pieni polmoni un'aria nuova e tonificante: quella della nostra salvezza.
Nella Bibbia ci sono tantissimi racconti di annunciazioni di nascite prodigiose.
Basti pensare, per esempio, alla nascita di Isacco, Sansone, Samuele, Giovanni il battezzatore.
L'incarnazione di Gesù rappresenta un evento del tutto inedito nella storia biblica.

La salvezza, la liberazione e la speranza che il Bambino Gesù è destinato ad introdurre nel mondo, non derivano dall'impegno dell'uomo, ma da un origine divina che si serve di una Donna: Maria.
Il messaggio centrale del nostro brano è contenuto nelle parole che l'evangelista pone sulla bocca dell'Arcangelo Gabriele:"Rallegrati, o amata da Dio, il Signore è con te".

Fermiamoci un istante a considerare questo saluto angelico. Una prima significativa
osservazione è questa: quando Dio chiama, chiama sempre per nome. Qui, nel saluto, non si parla di Maria, ma di "amata da Dio”! Questo è il nome nuovo che la Vergine Maria riceve da Dio: amata, piena di Grazia! Grazia qui va inteso in senso di Bellezza.
Il senso derivante è questo: Maria è la creatura scelta da Dio per una grande missione, perciò è stata resa piena di Bellezza, di grazia: la Bellezza stessa del suo Creatore, la grazia come dono gratuito proveniente da un Amore divino. A questa Bellezza, a questa Donna ripiena di grazia viene dato un "ordine": Rallegrati!

E' la prima volta che nei racconti di annunciazione di maternità viene usato questo verbo.
Maria è invitata a Rallegrarsi. Ma dentro questo verbo c'è un oracolo profetico: è quello del profeta Sofonia e quello del profeta Zaccaria: "Rallegrati Vergine di Sion!"
La vergine di Sion altro non è che Gerusalemme.

Non ci faccia cadere in una falsa interpretazione il termine "vergine" usato dai due profeti.
La verginità era considerata nella mentalità veterotestamentaria, come segno di grande povertà.  Una donna non sposata e che non aveva trovato marito, era "povera" e pertanto bandita dalla vita sociale: non era generatrice di vita!
Non dare vita, non trasmettere vita significava non partecipare alla vitalità e alla crescita del popolo.
Tale era Gerusalemme dopo l'esilio: una "donna" che non aveva più figli e non partoriva figli. Era sterile. Ma Dio invita, per mezzo dei profeti, questa Vergine a rallegrarsi, perché Dio stesso le sta donando una nuova vitalità: non sarà più sterile!

Ora, nel saluto dell'Angelo, Maria viene salutata con lo stesso verbo:
Maria è Vergine, quindi una povera che ha rinunciato ad essere datrice di vita! Rallegrati, o piena di Bellezza: Dio stesso ti darà, per opera dello Spirito, un Figlio. Una vitalità, quella di Maria, che partorisce il Figlio di Dio, Egli sarà la radice di una nuova vita: quella dello Spirito.
Dio allora cambia il nome di Maria: essa rappresenta "Sion", Gerusalemme ed il suo popolo.
Significa allora che Maria accoglierà il Figlio di Dio nel suo seno, per opera dello Spirito Santo, a nome di un intero popolo: a nome dell'umanità intera.
In Maria che accoglie Gesù, Verbo fatto carne, ci siamo noi tutti: l'umanità di ieri, di oggi e di domani. Perciò a pieno titolo essa è la nuova Eva, Madre di tutti i viventi.   Dopo il saluto, l'Angelo annuncia a Maria la nascita di un figlio al quale il "Signore Dio darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo Regno non avrà fine.
E' il compimento dell'attesa messianica! Natale è già arrivato!

Il Messia è già venuto. Il tempo nuovo è già iniziato! La vita dello Spirito è già donata.  L'umanità già vede l'apparire di un nuovo giorno!
Maria risponde con un'obbiezione: Come può avvenire questo se non conosco uomo?"
Ma l'Angelo la rassicura. Non viene spiegato il mistero. Il mistero infatti non si spiega si accoglie.  Dice soltanto: "La forza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra!"  La forza dell'Altissimo è lo Spirito Santo. Nell'Antico Testamento l'ombra e la nube sono segni della presenza di Dio. Sono segni cosi detti "teofanici".
Manifestano una speciale Presenza di Dio.

Allora il racconto ci dice che su Maria si fa presente in maniera teofanica lo stesso Dio.
Ci troviamo davanti ad una professione di fede dell'evangelista Luca circa la divinità del Figlio di Maria. Le ultime parole dell'Angelo, "Nulla è impossibile a Dio", sono
un'affermazione che va richiamata spesso e che va ripetuta con tenerezza, soprattutto a coloro che si sentono troppo poveri, troppo indegni e pensano che per loro non ci sia più speranza.   Nulla è impossibile a Dio! Questa frase già ci porta il profumo del Natale.
Dio ha reso possibile che una "povera" partorisse il Ricco,
Dio ha reso possibile che una "donna" entrasse in maniera oltremodo significativa, nella storia della salvezza, là dove esse, soprattutto se vergini, erano tagliate fuori dal mistero della vita.
Dio ha reso possibile l'inimmaginabile: Dio si fa Uomo. L'Emmanuele: il Dio con noi,
sempre!

Allora Dio renderà sempre possibile che le nostre disperazioni acquistino i colori della speranza.
Dio renderà possibile che la morte diventi vita.
Dio renderà possibile che il povero sia innalzato.
Dio renderà possibile che un peccatore ritrovi la via della salvezza.
Dio renderà possibile che le nostre notti diventino pieno meriggio.
Dio renderà possibile che le nostre paure diventino coraggio!
E tutto questo, ed altro ancora, perché una povera resa bella e piena di grazia, ha detto:  "eccomi si compia in me ciò che tu hai detto!" L'obbedienza diventa fonte di vita, rende possibile a Dio di compiere l'impossibile!

Grazie o Maria per la tua obbedienza, grazie o Maria perché Dio ha esaltato la tua povertà di Vergine, e ti ha reso Madre di una moltitudine di popoli, grazie Maria per il tuo "sì".
Aiuta anche noi a dire: Signore, voglio ciò che vuoi, Signore voglio quando vuoi,
Signore voglio perché vuoi, Signore voglio come vuoi, Signore voglio quello che vuoi! Amen.
Come Maria! E allora daremo vita e saremo portatori di vita.



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Tempo di avvento :2014, 30 novembre prima domenica

Il cristiano vive in una "notte” che è il mondo, ma è notte anche nel suo personale stato di vita.
La sua vocazione, tuttavia, non è quella di appartenere alla notte (Cf 1 Tess 1,5). Vive però, come dice ancora Paolo, in mezzo ad una generazione perversa e degenere (Fil2,15). Dentro questa notte della vita occorre restare svegli per tenere alta la Parola di vita. Partendo dalle letture proposte fin dalla prima domenica, la nostra riflessione intende sottolineare tre cose che ci aiutano ad intraprendere un viaggio interiore verso Betlemme:
• Nella notte, vegliare
• L’indurimento del cuore.
• Tu sei nostro Padre.

Nella notte, vegliare 

Nella pagina del vangelo della prima domenica di Avvento, Gesù per ben quattro volte utilizza il verbo “vegliare” coniugato in varie forme. Non si tratta di uno stilema, ma di un chiaro avvertimento motivato dal fatto che nessuno sa quando il Padrone di casa verrà: se alla sera o al mezzogiorno, o al canto del gallo, o al mattino. La venuta del Signore è improvvisa ed imprevedibile. Da qui la necessità della continua ed assidua vigilanza.Vegliare significa tenere sempre desto il cuore, rimanere attenti a non farsi depredare dal dono più importante che è la fede. La vigilanza è anche attenzione al bene, all’uomo e ai suoi bisogni, è sapere guardare la realtà storica, culturale e politica “giudicandola” da cristiani senza farsi imbrigliare dai sottili ragionamenti della sapienza di questo mondo.
Si tratta quindi di un vegliare operoso, non passivo come di chi si chiude nella solitudine della propria fede estraniandosi da tutto e da tutti. Se così fosse la notte diventerebbe più notte e mancherebbe a questo tempo il sale della terra e la luce del mondo (Mt 5,13-14). Vigilanza attiva, vale a dire una vigilanza che non rimane inoperosa nel buio notte di questo mondo di tenebre. Essa, al contrario, sa affrontare con coraggio le sfide ideologiche ed esistenziali che tanto tormentano l’uomo e la società odierna che brancola nel buio della ragione fine a se stessa. Essa sa dare fiducia all’uomo impaurito dalla crisi morale, spirituale, economica che attraversa il momento che la nostra travagliata esistenza sta vivendo.
Una ragione senza Ragione incatena l’uomo a se stesso. Un cristiano inoperoso sul piano sociale, politico e culturale semplicemente non è un cristiano maturo e vero, capace di incidere sugli eventi della storia perché essa diventi storia di Dio e dell’uomo insieme. In una delle sue poesie san Giovanni della Croce scrive:“di notte andremo di notte a ritrovar la fonte, solo la sete ci guiderà, solo la sete ci guiderà!”. Andiamo dunque!

L’indurimento o sclerosi del cuore

Nei vangeli l’indurimento del cuore viene chiamato sclerocardìa vale a dire sclerosi del cuore. La prima lettura della prima domenica di Avvento, mette in evidenza come ad un popolo cui è stata donata la libertà da Dio, non corrisponde un popolo fedele. C’è solo un popolo ammalato di oblio, la tragica dimenticanza di Dio. E’ un popolo che vaga lontano e che pecca per un lungo tempo. Un popolo rinsecchito, avvizzito come foglia portata via dal vento. Nel suo cuore non circola più la linfa vitale dell’amore e della fedeltà: esso è indurito. Ha costruito un muro invalicabile tra Dio e se stesso, sicché nessuna Parola di vita può più irrorarlo. L’indurimento del cuore è la realtà più distruggente per l’uomo: esso infatti lo conduce alla morte, alla vacuità, al non senso. E’ come se l’uomo cessasse di essere tale. Da qui nasce la violenza, la sopraffazione ed ogni genere di egoismo e l’alienazione da Dio.
La medicina per guarire la sclerosi è riprendere il nostro viaggio verso Betlemme per andare a ritrovare la Luce! Andiamo dunque a Betlemme a ritrovare un cuore bambino!

Tu sei Nostro Padre!

E’ veramente bello iniziare il tempo liturgico dell’Avvento con questo grido che ci trasmette il profeta Isaia nella prima lettura dell’inizio dell’Avvento!
Tu sei nostro Padre! Sulla bocca del cristiano questa invocazione ha il sapore di una figliolanza ritrovata…
Tu sei nostro Padre! Vale a dire: in questo nuovo Avvento posso riprendere, qualora Lo avessi smarrito, il cammino verso di Te, per ritrovare la gioia di essere vivo tra le tue braccia amorose!
Tu sei il nostro Padre! Sia questo il grido di fede del nostro camminare lungo le vie della notte per giungere a Betlemme, alla pienezza di un giorno dove Dio diventa bambino!
Abbà Padre! Ci hai fatto il dono più grande che potevi donarci: il Figlio tuo! Colui che era con Te fin dall’eternità e che per noi si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi!
Andiamo a Betlemme per ammirare, contemplare questo incommensurabile dono di Amore!
Padre, perché nell’ora della prova e del dolore, dell’abbandono e della sfiducia non ci ricordiamo di Te? Perché pensiamo che Tu ci hai dimenticati? Forse perché abbiamo perduto la strada per andare a vedere Gesù, questo Bambino che viene dal tuo Seno e doni a noi come salvezza? Aiutaci a ritrovare il cammino per andare a Betlemme, per andare a ritrovare la luce che illumina il nostro umano cammino!
Andiamo dunque a Betlemme! Lì ritroveremo le sorgenti della nostra vita!


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Domenica 9 novembre 2014



Padre Augusto:  commento al vangelo di Giovanni 2,13-22

La prima cosa che mi colpisce è che, per Giovanni, il gesto della purificazione del Tempio, sia posto all'inizio del racconto evangelico. I sinottici lo pongono alla fine della vita pubblica di Gesù.
 Mi chiedo: perché?


 Poco prima Gesù, a Cana di Galilea, aveva compiuta la prima Epifania di se stesso: aveva cambiato l'acqua in vino, segno della Nuova ed eterna Alleanza.   L'episodio si era chiuso con la notazione di Giovanni: "e i discepoli videro la sua Gloria e credettero in Lui". Questa è la prima epifania di Gesù, sotto il segno di un simbolo.


 La seconda epifania, ossia la sua seconda manifestazione, l'abbiamo proprio nel nostro episodio: la purificazione del tempio.
Già i profeti come Geremia, Ezechiele, ed altri avevano profetizzato che ci sarebbe stato un tempio nuovo, e che la prima opera messianica che avrebbe compiuto il Messia sarebbe stata la restituzione del Tempio al vero culto di Dio: una vera purificazione.
 I Giudei, nel gesto di Gesù, non videro un'azione compiuta da un pazzo, da un forsennato.   Ricordavano bene le profezie.
 La domanda che fanno a Gesù "Dicci con quale autorità fai queste cose..." non è provocatoria,
ma bensì è la ricerca di sapere se Gesù è il Messia tanto atteso.


Come sempre, Gesù risponde sul piano del mistero "Distruggerete questo tempio ed Io in tre giorni lo riedificherò!"
Qualcosa di assurdo: i Giudei pensano al tempio erodiano (il terzo tempio, dopo quello di Salomone, e di Zorobabele), ma Gesù pensa ad autorivelarsi: parla di se stesso.   Egli è il nuovo Tempio.
 Come Cana fu la rivelazione della nuova Alleanza, ora c'è una rivelazione, non subito compresa dai discepoli, del suo essere il Tempio nuovo.
 Più tardi, quando Gesù sarà risuscitato, essi, i discepoli e gli apostoli, comprenderanno pienamente la rivelazione di Gesù.   Egli è il nuovo Tempio.


 Il tema sarà ripreso in mille modi nella letteratura neotestamentaria.   Soprattutto da Paolo.
 Nella lettera ai Romani, quando parla della giustificazione dell'uomo, afferma che essa avvenne grazie al fatto che Dio, il Padre, ha reso Gesù propiziazione per i nostri peccati.
 La parola "Propiziatorio" è una parola che appartiene alla liturgia del Tempio.
 Esso, il propiziatorio, era la base del trono dove poggiava i piedi l'invisibile Dio. Era anche il coperchio che chiudeva la cassa preziosa dove erano custodite le tavole dell'alleanza.
 Su questo coperchio, una volta all'anno, nella festa del Kippur, il Sommo Sacerdote entrava nella tenda e versava il sangue di un agnello immolato sul Kepporeth, ossia sulla base di cui abbiamo detto, ed avveniva il sacrificio di espiazione.


 Ora, dice san Paolo, Gesù stesso, è il Kepporeth: è grazie al suo sangue versato sulla croce che nasce il vero Tempio che è il Corpo di Cristo. E' Lui il vero Agnello immolato che toglie e purifica i peccati del mondo. Lui è il Kepporeth e al tempo stesso l'Agnello il cui sangue viene versato, una volta per tutte, non più su una tavola ma sull'umanità intera.
 Gesù è il nuovo Tempio: in Lui, dice ancora Paolo nella lettera ai Colossesi, abita la pienezza della Divinità.


 Per mezzo di Lui abbiamo accesso al cuore di Dio che abita in Lui.    Egli è il Nuovo Tempio ed anche l'unico e definitivo sacerdote che compie nella sua stessa carne, nel suo stesso corpo, l'incontro tra Dio e l'uomo.
Gesù è il luogo della dimora di Dio in tutta la sua pienezza, ma anche la dimora dell'uomo.
 In Lui tutte le cose che stanno sulla terra e quelle che stanno nei cieli vengono pacificate, riunite, dal sangue della Sua Croce.


 L'inno della festa del Sacro Cuore recita: "ex corde scisso Ecclesia Crhristo jugata nascitur... che significa: dal cuore ferito di Cristo nasce la Chiesa sposta a Lui.
 Cristo è il Capo del Corpo che è la Chiesa.  Talmente uniti che non potremmo immaginare l'una senza l'altro.
 Perciò è detto nel libro dell'Apocalisse che: "non avremo più bisogno di luce di lampada né di luce di sole, perché Cristo stesso sarà il nostro Tempio: luogo eterno dell'incontro dell'umanità con la divinità.
 Mistero grande! Mistero che fa sussultare le vene, a chi lo sa contemplare con gli occhi dello Spirito.
 Ecco allora la bellezza di professare: Credo...et unam sanctam, et apostolicam ecclesia.
Credo in una sola Chiesa santa ed apostolica, cattolica (=universale). Credo perché la Chiesa, nel suo mistero è il Corpo di Cristo il quale a sua volta è Tempio nuovo della nuova liturgia celeste rivolta dall'uomo al Padre!


Bello, per me è bello. Come vorrei fratelli che la voce del mistero, evocata dalla Parola di Dio potesse far brillare nei vostri cuori una fiamma viva di amore e di stupore: lo stupore che diventa lode, ringraziamento, canto.


 Dentro all'unico Tempio, Cristo Gesù, siamo un unica Chiesa che canta ed annuncia nella lode il mistero della Salvezza.   Che mistero grande!
 E come potremmo essere insensibili? Come non elevarci cantando i salmi dell'ascensione verso la Gerusalemme nuova, quella del Cielo?






     2 Novembre 2014   

Questa è la volontà del Padre: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna



Dal Vangelo secondo Giovanni 6,35-40



In quel tempo, disse Gesù alla folla:

«Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non

avrà sete, mai! Vi ho detto però che voi mi avete visto, eppure non credete.

Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò

fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di

colui che mi ha mandato.

E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di

quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la

volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita

eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».



Parola del Signore!



Commento di Padre Augusto Drago



…Comincia così questa sera il tratto del Vangelo che ci riporta più in alto nella rivelazione che Gesùfa di se stesso. "Io sono il Pane della Vita..." Con questa frase inizia la rivelazione più esplicita e decisa dell'identità di Gesù, e soprattutto della missione che ha ricevuto dal Padre.



Per comprendere, da adesso in poi, le Parole di Gesù, occorre veramente avere l'alfabeto che sa

leggere e penetrare dentro il mistero di Dio!



"Chi viene a me non ha più fame..."Venire a Gesù è un altro modo per dire: credere in Lui.

Ma il credere in Lui significa ancora ben altro: significa guardare più in alto e contemplare il

mandato che il Padre ha dato al Figlio, la Missione.

Se non si alza lo sguardo verso il Padre, non è possibile capire perché bisogna andare verso Gesù.

"...eppure voi non credete!"........... Sì, non credono, non possono perché non vogliono innalzare

lo sguardo del cuore verso il Mistero di Dio Padre.



A questo punto il parlare di Gesù si innalza davvero verso l'alto.

Ci fa contemplare l'Amore del Padre per noi, l'ubbidienza del Figlio che per amore compie la

volontà del Padre, e l'uomo che è l'oggetto dell'Amore! : "Ma voi non credete!" Come mi suona

inquietante questo rimprovero di Gesù. Sembra rivolto a me, oggi, questa sera, in questa chat: non

crediamo perché abbiamo fatto del mistero un "qualcosa di già visto e sentito" un fatto accaduto....a

cui ci siamo abituati!

Ma ci si può abituare davanti a questa meraviglia dell'Amore che parla al cuore dell'uomo?

Ci si abitua perché lo diamo per scontato.



Fratelli e sorelle, per un cuore che ama, ogni giorno, ogni cosa del giorno, ogni evento del giorno,

anche se stancamente ripetitivo, è sempre nuovo: l'Amore fa sempre nuove tutte le cose.

Di questo Amore Gesù adesso ci parla. Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me...

Notate! Gesù afferma di essere stato mandato dal Padre per la salvezza del mondo, come nutrimento

unico per la salvezza del mondo. Questo essere mandato significa una sola cosa: Il Padre ci dona il

Figlio e noi siamo donati al Figlio! "Tutto ciò che il Padre mi dona, verrà a me"!

Notate bene l'uso dei tempi verbali.



Il Padre dona al figlio l'umanità. Questa umanità verrà al Figlio. Il secondo verbo è espresso al

futuro. Perché? Gesù ha accettato il dono che, di noi, il Padre gli ha fatto: lo ha accettato nel
momento stesso della sua Incarnazione. L'uomo verrà a Gesù, chiamato dal Padre: ma non
necessitato, liberamente: vale a dire se accetta, se vuole accogliere la chiamata che già ha ricevuto.
L'Amore lascia liberi. Non coarta nessuno, non costringe nessuno. Invita, attira, chiama con voce
dolcissima, ma tocca a ciascuno di noi accogliere. Dio aspetta: Dio è Uno che sa aspettare. Dio è
paziente: la pazienza infinita dell'Amore! Tutto quello che il Padre mi dona verrà a me!

Chi accetta questo invito entra nel recinto di Cristo: Egli non ci caccia, non può cacciarci, perché la
Volontà del Padre ci ha consegnati alla sua obbedienza: "Sono disceso dal cielo, non per fare la mia
volontà, ma la Volontà di Colui che mi ha mandato!"
Che cosa contiene la Volontà del Padre riguardo a Cristo suo Figlio diletto?
...non perdere nulla di quanto Egli mi ha dato!"
Che parole belle e consolanti. Fratelli e sorelle, le comprendete?
E se le comprendete veramente, non sentite il tintinnìo del cuore che sussulta di gioia? Non sentite
attorno a voi il canto dell'eterno Amore? Eterno è il suo Amore per noi!
Lodate genti tutte il Signore!
Eterno è il suo Amore per noi! (Salmo 116)

Attirati dunque nel recinto di Gesù non saremo mai perduti! Saremo custoditi, perché Gesù
compia la Volontà del Padre. Mi sembra di presentire le parole che Gesù dirà al Padre nella grande
preghiera sacerdotale (Giovanni 17): "Padre di quelli che mi hai dati non ne ho perduto nessuno,
eccetto il figlio della perdizione...!"
Il figlio della perdizione, o meglio, il figlio perduto è Giuda il traditore, Colui che non ha capito
l'Amore e Gli ha voltato le spalle. Questa dunque è la Volontà del Padre: che Gesù non perda
nessuno di quelli che Egli gli ha affidato e che hanno accolto la chiamata già inscritta fin
dall'eternità nel cuore del Padre!
Bello: non saremo perduti in eterno se rimarremo sempre nel recinto di Gesù.

Da parte sua Gesù compie l'estremo sacrificio, quello della Croce, perché nessuno, proprio nessuno
abbia a perdersi. Per questo Gesù diviene Pane spezzato e donato, Pane della Vita, perché tutti
abbiano la Vita e l'abbiano in abbondanza. Adesso Gesù parla di resurrezione. Un altro balzo più in
alto. Il suo discorso si eleva ulteriormente: ....."e lo risusciti nell'ultimo giorno!"
La salvezza piena e totale si ha proprio in quell'ultimo giorno del tempo. La resurrezione è la
salvezza dell'uomo in tutta la sua interezza: anima, spirito e corpo.

Allora sì, saremo per sempre nel recinto di Dio che è Cristo stesso! Nel recinto dell'Amore del
Padre assieme al Figlio. Per sempre. Nel Pane eucaristico c'è allora il germe dell'eternità, del tempo
futuro, del tempo oltre il tempo. Quando facciamo la santa Comunione, quando partecipiamo
all'Eucaristia già cominciamo a respirare il profumo della Vita che verrà nell'eternità.

Nella preghiera eucaristica, composta da san Tommaso, il "Sacrum Convivium" si dice, ad un certo
punto: L'Eucaristia è il pegno della gloria futura! Allora e solo allora l'intera Volontà del Padre in
Cristo e attraverso Cristo si compirà. Mangiando il Pane, spezzandolo e bevendo il Vino, già opera
in noi l'eternità.

Il Pane spezzato è già l'anticipazione di ciò che saremo. Pensate bene, fratelli e
sorelle al potere trasformante che ha l'Eucarestia. Sa trasformare l'oggi in eternità, sa trasformare
il "consueto" in novità, sa trasformare il dolore in letizia, sa trasformare il nostro gemito in un canto
d'amore, le nostre tristezze in una danza meravigliosa!

E' possibile? O si tratta di una vana parola smentita dai fatti concreti della vita? Dipende da noi: da
come sapremo guardare la vita; se con lo sguardo eucaristico o con lo sguardo di chi non ha accolto
l'invito pressante del Padre ad entrare nel recinto di Cristo. Dipende con quali occhi sapremo
guardare la vita: se con gli occhi della carne o con gli occhi del cuore che sanno trasfigurare la
realtà terrena in profezia di eternità.

"Questa è la Volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in Lui abbia la vita eterna: ed Io lo risusciterò nell'ultimo giorno!" Vedere il Figlio altro non è che credere in Lui. Credere in Lui significa avere già nel cuore la speranza teologale della vita eterna. La vita eterna è la risurrezione integrale della nostra umanità trasfigurata ad immagine del Cristo pasquale. il Cristo risorto ed uscito vivo dalla tomba.

Fratello, sorella, credi
veramente a questo tuo "felice destino"? Se credi gioisci, diceva sant'Agostino. Ma se non credi,
conoscerai il buio della notte! Tu credi tutto ciò? IO CREDO!
                     

                                       ...........................

Commento al vangelo di Matteo 22,34-40: "L'amore prima di tutto"
Domenica 26 ottobre 2014

Che titolo potremmo dare a questa Domenica che il Signore ci dona di celebrare?

Io penserei a questo: L'Amore prima di tutto! Bello come titolo, ma tutto da meditare.

Shemà Israel, Ascolta Israele le parole del Signore...

Ascolta: Il Signore Dio è un solo Signore....ascolta! Amalo con tutto il cuore, con tutta la

mente, con tutte le tue forze....!

Ma...il Salmo 81, nei versetti 9-15 ci riporta questo lamento del Signore:

Israele, se tu ascoltassi!

Ma il mio popolo non ha ascoltato la mia voce!

Israele non mi ha obbedito...

Se il mio popolo mi ascoltasse!

Se Israele camminasse per le mie vie!

Subito piegherei i suoi nemici

e contro i suoi avversari volgerei la mia mano!



Ascoltare: significa fare entrare fin nelle radici del proprio essere, la Parola del Signore.

Eallora la nostra vita cambierebbe improvvisamente, quasi per incanto, l'incanto

meravigliato della grazia di Dio!



Ma quante volte si ripete il lamento del Salmo 81?

Accanto a questo tema ed in stretta connessione con esso ce ne è un altro.

Paolo ne ha parlato in questi termini: "Non siate debitori di nulla a nessuno, se non

dell'Amore vicendevole: perché chi ama l'altro ha adempiuto la Legge,infatti: "Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desiderai,

e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa sola Parola:

“Amerai il tuo prossimo come te stesso. La carità non fa alcun male al prossimo!

Pienezza della Legge infatti è la carità!” (Romani 13, 8-10).



Ed eccoci già dentro al Vangelo di questa Domenica. Oggi la Parola di Dio ci richiama ciò che

è assolutamente essenziale nella nostra vita!

Il popolo della Prima alleanza aveva non solo la Legge, ma ad essa con il passare del tempo si sono aggiunti tanti altri precetti.

Era sempre più arduo, in questo modo, fissare ciò che era essenziale.

Nelle scuole rabbiniche si discuteva su quale fosse il comandamento più grande.

Ed ecco che un fariseo, un dottore della Legge, si accosta a Gesù, per metterlo alla prova.

Vuole coinvolgere Gesù su questa annosa questione: qual è il maggiore dei comandamenti?

Gesù risponde con grande sicurezza ed autorità, come sempre d'altra parte.

Egli, in maniera assolutamente originale, mette insieme il comandamento dell'Amore di Dio e

quello dell'Amore verso il prossimo!

Nella legge di Israele questi due comandamenti erano distaccati l'uno dall'altro o accostati,

con una certa indifferenza ad altri precetti

Gesù invece, con pochi tratti fa una cosa nuova: isola dalla folla dei precetti questi due

comandi divini, li pone al centro dell'attenzione, affermando che in realtà costituiscono un

solo comandamento! Anzi arriva a dire che l'unione di questi due precetti costituisce la sintesi

e la chiave di lettura di tutta la Rivelazione divina. Vale a dire: la Legge e i Profeti.



Nell'unione di questi due precetti, c'è la Parola fondamentale sui valori e sull'agire, che Dio

vuole comunicarci. In questa lettura unificante, qualcuno potrà essere indotto a pensare che

in questa maniera si sminuisce l'importanza e la regalità di Dio.

Mettere insieme Dio e l'Uomo, può minimizzare Dio!

Altri dicono che c'è troppo orizzontalismo nel mettere insieme questi due precetti.

Ma una risposta molto chiara, quasi una ermeneutica della Parola, ci giunge da san Giovanni,

il quale nella sua prima lettera scrive:

"Se uno dicesse, io amo Dio, e poi odiasse il suo fratello,

è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, come potrebbe amare Dio che

non vede? (1Giovanni 4, 20)

E più avanti continua:

"Da questo conosciamo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio e i suoi comandamenti (1 Giovanni 5,2)



Spesso, fratelli e sorelle, si sente usare l'espressione che può risultare ambigua:

"amare l'altro per amore di Dio!".

Questa espressione può nascondere un profondo disprezzo per l'esistenza altrui.

E come se si venisse ad affermare: "l'altro è così cattivo ed infido, che solo per amore di Dio

posso stargli accanto"!



Si può, anzi si deve, amare l'altro perché Dio lo ha amato per primo, perché lo si guarda con

lo stesso sguardo di Dio! Dio ha donato Bellezza nel creare ogni essere umano e conosce la sua

opera nel profondo, per questo è capace di amare tutti gli esseri che ha creato. Dio è il grande

restauratore della Bellezza, di ogni Bellezza perduta o deturpata. Amare allora significa

cogliere quest'opera di Dio.



Una delle poesie di Jean Vanier dice una cosa bellissima "Amare da cristiani, è accogliere le

persone che hanno sofferto e dire loro attraverso gli occhi, i gesti, la parola: "SONO

CONTENTO CHE TU ESISTA!

Fratelli e sorelle: questa è la buona novella. "SONO FELICE CHE TU ESISTA"! Che ne dite?



Commento al vangelo di Matteo 22,15-21

"Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio" Leggendo il Vangelo di questa XXIX Domenica, le nostre attenzioni si concentrano inevitabilmente su questa famosissima risposta di Gesù. Ma cosa voleva veramente affermare Gesù con tali parole?Divisioni tra beni temporali e quelli spirituali? L'autonomia tra lo Stato e la Chiesa?
O qualche altra cosa di più alto e di più profondo?
Io sono certamente per questa ultima ipotesi. E lo vedremo insieme.
In realtà questa frase è l'apice di tutta una serie di aspetti che non possiamo assolutamente tralasciare per la nostra riflessione. Anzitutto cerchiamo di individuare il contesto.
Ci troviamo nel Tempio di Gerusalemme, e dopo avere scacciato i venditori di animali e i cambiavalute, Gesù "subisce" un confronto molto duro con le autorità religiose del tempo:
i capi dei sacerdoti, anziani del popolo, farisei e, proprio quest'ultimi, sono i registi di questa trappola che cercano di tendere a Gesù
A quei tempi la Palestina era occupata dai Romani e faceva parte della Provincia di Siria.
C'erano movimenti che mal sopportavano l'occupazione. C'erano gli zeloti che passavano per terroristi, perché ingaggiavano contro i Romani una dura ed aspra guerriglia. C'erano gli erodiani, affezionati alla famiglia di Erode, che invece collaboravano con i Romani e spesso facevano atti di spionaggio! La situazione quindi era esplosiva.
Esporre apertamente la propria idea politica diveniva molto rischioso.
Ed era proprio questo nelle intenzioni dei farisei: mettere in un vicolo cieco Gesù.
Per fare questo, pensate, chiedono aiuto ai loro nemici: gli erodiani (potremmo dire che talvolta il male unisce più del bene!).
Ecco dunque il quadro nel quale si pone la questione a Gesù: "E' lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?"

La risposta di Gesù non è rivolta direttamente a chiarire la sua posizione riguardo i romani, potenza occupante, oppure l'autonomia del potere politico.
La sua risposta è rivolta invece a smascherare il comportamento ipocrita dei suoi interlocutori ed emissari. E' l'ipocrisia dei farisei il primo obiettivo di Gesù con la sua risposta.
Gesù non ama fare delle dottrine di pensiero, ma ciò che vuole, è di portare alla verità gli uomini che ha di fronte. Ipocriti!

E' la durissima risposta di Gesù che inchioda anche noi alla verità della realtà.
Il problema non è anzitutto la condanna del potere economico, politico, spesso corrotto e tiranno. Il vero problema è che ognuno deve fare bene quello che è chiamato a fare: dove "bene" significa "dentro il disegno e la Volontà di Dio".
Seguiamo ora i movimenti di Gesù. Egli chiede una moneta, segno del potere in vigore.
Chiede di chi è!
La moneta portava infatti l'icona dell'imperatore Tiberio con la scritta del suo potere come successore di Augusto suo padre. Nel retro c'era la scritta "Pontifex Maximus" (Sommo Pontefice).
Dopo averla osservata, Gesù dice: "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio". Adesso le parole cominciano ad avere un senso.
Gesù non entra in questioni politiche o finanziarie. Pone il problema dentro delle coordinate che vanno ben al di là! A Cesare va dato quel che è suo, come anche a Dio va dato quel che è di Dio! Questo è il punto, fratelli e sorelle.
Se di Cesare è il denaro, che cosa è di Dio e che cosa bisogna dare a Dio?
Gesù sposta il problema a livello teologale. Dio è il Signore di tutta la terra. "Tuo è il Cielo e la terra, tuo la terra ed il mare" recita il Salmo.
Dio è il Creatore, l'uomo, la sua creatura diletta e prediletta, porta con sé e dentro di sé, la Sua Icona. L'uomo è l'Icona vivente di Dio. Non una moneta, ma una persona.
Dio è il padrone della storia, è il Signore dell'Universo, Dio è il Padre dell'umanità intera.
Che cosa bisogna dare a Dio? Tutto è suo!

Ciò che bisogna dare a Dio è il tributo di adorazione, di gloria, di servizio, di onore:
Dare Gloria a Dio perché ci ha dato TUTTO e TUTTO è suo! Cesare si accontenterà della sua moneta, spesso guadagnata con fraudolente inganno ed ingordigia, ma il Signore, il Santo dell'Universo, il Creatore di tutte le cose a cui tutta la terra canta e davanti al quale le stelle danzano e brillano di gioia, merita tutta la nostra lode, tutta la nostra adorazione, tutto il nostro onore.
Solo dentro questo quadro "teologale e fortemente spirituale, sarà possibile dare a Cesare quel che è di Cesare nella giustizia e nell'equità.
Ecco perché all'inizio abbiamo sentito il meraviglioso canto salmodico che gli Ebrei cantavano il giorno di Pasqua come ultimo canto conclusivo: il grande Hallel, la grande preghiera di adorazione e di lode. Il ringraziamento e la lode rendono possibile all'uomo impegnarsi nel temporale, nelle cose di questo mondo: nella politica, nel sociale, nel mondo economico, ma portando dentro la novità gioiosa di Dio che è il Signore dell'Universo. Egli ha fatto tutto nella misericordia, e l'uomo, sua immagine, lavorerà nel temporale con la stessa misericordia che gli proviene dall'essere Icona di Dio!
L'impegno temporale dell'uomo in tutti i campi che riguardano il vivere dell'uomo e della società, sarà santificato. E' un sogno tutto questo? Sembra! Ma non lo è!
Svegliati tu che dormi! Svegliati cristiano che ti sei fatto assorbire dalla mentalità di questo secolo: dai gloria a Dio nel tuo impegno temporale, e santificherai con il tuo lavoro la storia e la dignità oltre che la qualità della vita!
Dare a Dio quel che è di Dio adesso ci appare chiaro!
Dio ci ha dato tutto e noi siamo chiamati a dare a Dio "Tutto".
Il tutto del nostro lavoro, il tutto dei nostri impegni nel mondo, il tutto della nostra professionalità, il tutto delle nostre qualità. Che significa tutto questo? Solo una cosa: mettere a disposizione del bene del mondo quello che Dio ci ha donato.
Allora anche noi potremo cantare il Grande Hallel:
Lui solo ha compiuto grandi meraviglie,
perché eterna è la sua misericordia!
Lui solo ha creato il cielo e la terra,
perché eterna è la sua misericordia,
e così via, fino ad arrivare all'ultimo stadio del riconoscimento dato a Lui:
Egli dona il cibo ad ogni vivente, perché eterna è la sua misericordia.
Rendete grazie al Dio del cielo e della terra, perché grande è la sua misericordia.
La misericordia diventa il canto di danza che, ritmando i leggittimi desideri dell'uomo verso la propria dignità e la propria vita, rendono tutto il mondo, tutta la creazione, tutta la storia, tutto il vivere umano, un meraviglioso canto di Misericordia
Date a Dio quel che è di Dio! Nulla di nostro riteniamo per noi!


  


Vangelo di Matteo 13,24-43 parabole del seme e della zizzania, del seme di senape e del lievito.

Commento di Padre Augusto Drago
Nel brano di vangelo proposto dalla liturgia abbiamo in sequenza tre parabole che ci illuminano sul segreto e sul mistero del Regno.
Nell'ordine abbiamo questa sequenza:

La parabola del grano e della zizzania: 13, 24-30.



La parabola del seme di senape: 13, 31-32,


la parabola del lievito, 13, 33,


i motivi per cui Gesù parla in parabola 13, 34- 35,



la spiegazione della parabola del frumento e della zizzania: 13, 36-43.


Allora, vi prego come sempre, di aprire le vostre bibbie alla pagina di Matteo 13.

Seguiremo meglio i vari passaggi del testo e ci renderemo meglio conto della singolarità delle parole. Anzitutto la parabola del grano e della zizzania. Leggiamola bene.

Perché Gesù la racconta? Quale motivo lo spinge? Il problema fondamentale della parabola è riassunto nella domanda che i contadini rivolgono al padrone del campo: Perché c'è zizzania mescolata con il buon grano?



Noi potremmo ritradurre: Perché nel mondo c'è il male? Perché i malvagi e i cattivi prosperano insieme ai buoni in un'apparente ingiustizia che Dio permette?

Secondo le aspettative giudee con la venuta del Messia e con la conseguente instaurazione del Regno di Dio i malvagi sarebbero scomparsi dalla faccia della terra, insieme con ogni forma di peccato.



I primi cristiani si pongono dunque la domanda ( e noi ancora oggi assieme a loro):

se Gesù ha portato la salvezza, perché nel mondo ancora c'è il male?

Perché ancora il peccato e i peccatori?

La risposta di Gesù, attraverso il racconto parabolico, è assolutamente dirompente e brucia tutte le nostre perplessità. Egli mostra un Dio paziente e misericordioso, mite e che sa aspettare con pazienza amorosa.



I giusti dovranno saper convivere con la presenza del male, anzi devono essere profeti del bene ed attraversare una storia dove sono chiamati ad essere lievito, sia pure nella loro piccolezza.

Il Regno di Dio è venuto, certo! Le parole e le manifestazioni di Gesù lo rendono noto.

Ma sta ancora germinando, è come un piccolo granello di senapa o un po’ di lievito.

E' necessario attendere con pazienza fino al compimento pieno delle promesse di Dio.

E' necessario attendere il grande giudizio finale di Dio. Ma nella parabola c'è qualcosa di più.



Qualcosa che ci interessa da vicino. Il seme buono seminato nel campo già germoglia. Dunque è stato seminato in ciascuno di noi: sta già germogliando. Allora la prima cosa da fare non è quella di vedere il male che è in noi o negli altri. Ma il bene, il grano buono che è in noi e nell'altro. E' sul bene che bisogna fare affidamento. E' sul bene che certamente è in noi che dobbiamo sapere guardare per essere grati al Signore. La grande stortura è quella di avere occhi solo per il male che è in noi ed affiggerci per esso. E' vero, che ci sia del male in ciascuno di noi, nell'altro, nel mondo: nessuno lo nega. Ma se guardassimo di più il bene che c'è, tutti saremmo più pieni di speranza.


Di quella speranza nella quale siamo stati salvati, come ci ricorda san Paolo nella lettera ai Romani. Dunque, primo insegnamento: senza negare il male che c'è in noi, negli altri o nel mondo, occorre sapere rivalutare e scoprire il grande bene di cui siamo certamente portatori.

Vinci il male con il bene, ci ricorda ancora l'Apostolo.


Poi ancora c'è un'altra considerazione da fare. La parabola dice che "mentre tutti dormivano venne il nemico (satana, il diavolo), e seminò la zizzania in mezzo al campo. Quale considerazione? "Mentre dormivano..."Quando il cuore è nel torpore, assopito ed addormentato e vive in uno stato ipnotico, non vigila, non veglia non è attento.

Il maligno ne approfitta per compiere ogni possibile devastazione.



Lo stato ipnotico è quello in cui il cuore si fa affascinare dalle cose futili e mondane sì da permettere al maligno di infiltrarsi nelle fessure aperte del nostro cuore. Aperte dalle nostre distrazioni ed assopimenti. Dormivano...dice ancora la parabola.

Di solito si dorme di notte. Ebbene la notte è il tempo in cui opera il maligno.

Ricordate il vangelo di Giovanni?

Quando ci introduce al banchetto pasquale ci fa assistere ad una scena da brividi.

Gesù donò a Giuda un boccone di pane. Egli lo prese e subito Satana si impossessò di lui. Poi usci e Giovanni subito annota: "ed era notte..." Giuda viene inghiottito dalla notte di satana. Quando si parla di notte ovviamente non si intende la notte astronomica, ma il mondo delle tenebre. Per questo Gesù ci esorta a vigilare e a pregare sempre.

"Vegliate, ve lo dico ancora, vegliate" ripete Gesù nel vangelo di Marco.



Paolo ci ricorda nella prima lettera ai Tessalonicesi, che noi, in quanto credenti in Cristo Gesù, non siamo figli delle tenebre, ma figli della luce e del giorno, non apparteniamo alla notte, né alle tenebre...(1 Tessalonicesi 5,4).

Operiamo allora come figli della luce, figli della Parola, figli della trasparenza, della bellezza che è nell'Amore. Chi vive nella notte non ama la Luce: la fugge. Allora perché il male? Perché le ingiustizie, perché il dolore e le sofferenze? Perché la zizzania?


Forse perché Gesù ci ha raccontato delle frottole? Forse perché il regno di Dio è una chimera? No! Fratelli e sorelle! No! Assolutamente. Dobbiamo sapere imitare la pazienza amorosa di Dio. Un Dio paziente e misericordioso, a pensarci sul serio, è qualcosa di dirompente nella mentalità comune. Impariamo da Gesù ad avere tale pazienza. Sappiamo aspettare il tempo ed i tempi di Dio, nel frattempo guardiamo al bene che abbiamo ricevuto, e nella vigilanza sappiamo combattere il maligno e saremo splendore di luce davanti al male!


Le parabole del granello di senape e del lievito, notoriamente sono chiamate le parabole della crescita. Il Regno di Dio nasce dalla piccolezza, dalla invisibilità. Ecco un'altra realtà dirompente che facciamo fatica a capire. Il Regno di Dio nasce dalla piccolezza. Cresce nella piccolezza, si nutre di piccolezza. Eppure nella sua piccolezza fermenta tutta la massa, o dà rifugio e ristoro agli uccelli del cielo, i quali vanno a nidificare tra i suoi rami. Bella e potente questa immagine.

Si è attivi, si è veramente operanti solo quando abbiamo compreso che cosa sia la piccolezza. Il regno dei cieli è piccolezza per natura. Per Volontà del Padre e del Figlio che si sono fatti piccoli per amore dell'uomo.



E l'uomo, io, tu, fratello sorella, entreremo nella logica del Regno solo e quando avremo capito il mistero della piccolezza. E' qualcosa di difficile da comprendere per la stessa Chiesa Istituzionale, tanto più per tanti e tanti di noi. Ma è la logica del Vangelo.

Vogliamo entrarvi?

E' l'invito che stasera riceviamo dalla Parola.

Se non ora, quando?" dice un recente slogan nato non ricordo bene all'interno di quale movimento. Ma non importa. La frase rende il concetto. Fratello, se non ora quando? Quando comincerai a comprendere davvero, DAVVERO, il vangelo?





Vangelo di Matteo

Mt. 13, 1-23 Il seminatore uscì a seminare

 Commento di Padre Augusto Drago



Permettetemi prima di tutto una calda raccomandazione:prima di iniziare la riflessione, per

favore, potreste TUTTI, prendere in mano una Bibbia ed aprirla al capitolo 13 del Vangelo di

Matteo? Potremo così seguire meglio il testo evangelico.

Discorso della Missione: IL REGNO DEVE ESSERE ANNUNCIATO.

In questo terzo discorso, che si trova tutto incluso nel capitolo 13, abbiamo il Discorso sulle

Parabole: si enuclea IL MISTERO DEL REGNO. Questo, infatti, è il tema centrale in tutte le

parabole di questo capitolo. Esse sono sette, numero di pienezza.

Quasi a volerci dire che ,attraverso le Parabole, Gesù presenta il significato, o per meglio dire,

il mistero del Regno. La prima di queste parabole è quella, famosissima, del Seminatore.

Abbiamo prima di tutto una introduzione: 13, 1-2 "Gesù quel giorno uscì di Casa e sedette in

riva al mare..." Qui vorrei fare anzitutto una breve sottolineatura: Gesù esce di Casa, quel

giorno...La casa di Gesù è il Padre.



Il Verbo eterno del Padre esce dalla "Casa Paterna" per venire in mezzo a noi.

Che viene a fare? E' detto subito dopo, all'inizio del racconto parabolico: "Ecco il seminatore

USCI' a seminare. Il Verbo uscire, qui, va collegato con il primo uscire del versetto precedente

Gesù esce dalla Casa del Padre, mediante il mistero dell'Incarnazione, per farsi seminatore

della Parola. La Parola è già indicativa di che cosa sia il Regno dei cieli. E lo vedremo qualche

versetto avanti. Adesso la parabola è "giocata" tutta tra due sostantivi: SEME e PAROLA.



Il Seme è la Parola! Attenti a questo passaggio, fratelli e sorelle. Dice l'autore della lettera agli

Ebrei: che la Parola di Dio è viva, efficace e più TAGLIENTE DI UNA SPADA A DOPPIO

TAGLIO! Che significa questo? Essa genera sempre un effetto, a chiunque sia rivolta. C'è un

effetto positivo che spiega il mistero del Regno: questo effetto positivo è “ascoltare

accogliendo”.

Per ben 14 volte è riportato nel nostro brano il verbo "ascoltare"

L'effetto negativo è “ascoltare ma non accogliere”. L'ascolto senza accoglienza "cardiaca"

produce l'indurimento dei cuori.

Allora: chi ascolta ed accoglie, entra nella comprensione del mistero del Regno.



Chi ascolta ma non accoglie, subisce lo stesso effetto descritto dal profeta Isaia e riportato nei

versetti 13 -15 del nostro testo. Il testo di Isaia di riferimento è il capitolo 6, 9-10:

Ascoltare e non comprendere, vedere e non conoscere, perché il cuore si è indurito e

difficilmente essi ascolteranno con gli orecchi, così come anche i loro occhi si sono chiusi

“affinché non vedano con gli occhi e non comprendano con il cuore, non si convertano e Dio

non li guarisca.”



In questa maniera drammatica, è descritta la situazione di coloro che ascoltano ma non

vogliono capire: si ottundono le loro orecchie, si accecano i loro occhi, si indurisce il loro

cuore, e di conseguenza, non potranno essere salvati. Vale a dire, non entreranno nel Regno!

Coloro invece che ascolteranno e comprenderanno, accogliendo la Parola, sono proclamati

beati, perché sono i veri discepoli. Beati dunque anche i loro occhi, a cui è dato vedere ciò che

altri non videro. Beate le loro orecchie, perché ascoltano ciò che altri non possono ascoltare, o

non hanno ascoltato.

LA PAROLA VA ACCOLTA, pena la non conoscenza del Regno e del suo mistero.

Ed ecco la figura del Seminatore. Ha davanti quattro tipi di terreno: quello su cui passa un

viottolo calpestato da tutti, quello pieno di sassi, quello pieno di rovi, ed infine il terreno

buono.




Qui non bisogna stare attenti al tipo di terreno: la parabola vuol farci comprendere che la

Parola viene data a tutti. I quattro tipi di terreno descritti rappresentano l'uomo nella sua

situazione concreta.

La Parola è un dono che è dato a tutti, perché tutti abbiano la possibilità di entrare nel Regno.

Ma non tutti, sia pure ascoltando, l'accolgono. Anzi la perseguitano.

Non per nulla questa parabola è preceduta dal capitolo 12, dove si descrive la non accoglienza

di Gesù, il vero Seminatore della Parola, essendo Egli stesso LA PAROLA!

La Parola che dice se stessa, la Parola che parla di se stessa, la Parola che trova la sua

scaturigine nel cuore del Padre, la Casa dalla quale Egli è venuto.

La Parola che invita all'accoglienza di se stessa, perché è la Parola che introduce nel Regno

che è Lui stesso, Gesù.



Nella seconda parte del nostro brano, avviene qualcosa di assolutamente inedito.

Si passa dalla parabola alla similitudine. Che cosa avviene nel testo?

Avviene questo: nei versetti 18-23, è Gesù stesso che parla e sembra spiegare la parabola ai

suoi discepoli, ma in realtà è Matteo che mette in bocca a Gesù tale spiegazione.



Essa infatti fa riferimento all'esperienza della Chiesa primitiva. Come era avvenuto nella

predicazione di Gesù, così è avvenuto nella predicazione della Chiesa primitiva subito dopo la

Pentecoste. Gli apostoli hanno predicato. Ma hanno trovato le loro difficoltà.

Quali? Le stesse della parabola: il viottolo, i sassi, i rovi, ed infine il terreno buono.

Qui, ora, viene detto che cosa rappresentano queste realtà e quali difficoltà esprimono.



Ecco allora: il viottolo. "Ogni volta che uno ascolta la Parola del regno e non la comprende,

viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato...Dunque la prima difficoltà che i discepoli

hanno incontrato nel tempo della Chiesa è il Maligno che ruba.

Come e perché ruba? Tutto è significato dal simbolo "Viottolo o via".



Il viottolo o la via è attraversata da tutti indistintamente: allora quando non si fugge dal

contatto con chi non conosce la fede o la disprezza, il maligno coglie al volo questa ghiotta

occasione, e sa mettere tanta confusione nella mente di chi ha cominciato a credere, o in chi ha

una fede debole ed influenzabile, dalle tante culture e dai tanti volti delle parole di questo

mondo. Il Maligno ruba il seme della Parola.

Il primo avversario della Parola è il maligno.



Poi c'è chi ha accolto la parola tra i sassi della propria storia personale: "si tratta di colui che

ascolta la Parola, l'accoglie con gioia, ma alle prime difficoltà della vita, alle prime tentazioni e

persecuzioni, lascia cadere tutto e va via allontanandosi dalla Parola e dalla fede in essa.

La paura della persecuzione! Tremenda!

Per questo, occorre che l'accoglienza della Parola sia accompagnata dalla forza dello Spirito.

Anche a noi, oggi, può capitare la stessa cosa: alle prime difficoltà della vita, quando la salute

è gravemente minacciata, quando le cose non vanno nel verso giusto, la fede nella Parola,

prima vacilla, e poi si perde...!

Poi ci sono i rovi! L'immagine è potente.

I Rovi spesso si attorcigliano attorno alla persona. Di che si tratta?

Dei pensieri e delle preoccupazioni della vita. I pensieri negativi che spesso portano

all'assurdo di vedere l'irreale come se fosse reale.

I pensieri negativi sulla vita, su sé stessi, sulla propria storia, passata e presente, non

permettono la vera accoglienza alla Parola. Si crede più all'irreale parola umana, che alla

Bellezza reale della Parola del Regno.



Infine c'è il terreno buono.

Rappresenta colui che ascolta la Parola e la comprende.

In lui la parola porta frutti oltre possibile abbondanza: il cento per uno, il sessanta per uno, il

trenta per uno. Cento, sessanta, trenta: sono numeri simbolici di pienezza.

Non indicano quindi una gradazione in decrescenza. 100 = 10x10 - 60 = 10x6 - 30 = 3x 10. Il

numero 10 è il numero dell'abbondanza.

Si intende che il terreno buono, vale a dire chi ascolta e comprende, entra nella Pienezza della

conoscenza del Regno. A costui è dato di conoscere, nello Spirito, che cosa è Il Regno, e come

vi si arriva.

Fratelli e sorelle. A questo punto siamo tutti chiamati in causa.

Fare un buon esame di coscienza è più che urgente!

Siamo nella strada? Attenti al Maligno che ci defrauda dalla Parola.

Siamo sotto il peso dei sassi? Abbiamo accolto con gioia la Parola, ma nella prova l'abbiamo

messa in discussione?

Siamo attorcigliati dai rovi? I rovi dei nostri oscuri pensieri?



Attenti! Vinciamo il male con il bene, per non perdere la gioia del Regno.

Diceva Serafino di Sarov: abbandona i tuoi pensieri, ed in cambio riceverai in dono il Logos,

la Parola di Verità, quella che dice a te stesso ciò che veramente sei: persona amata e cercata

da Dio Padre!

Chiediamo dunque allo Spirito, di poter essere nel terreno buono, per godere dell'abbondanza

del Regno di Dio. Abbondanza di Vita, di gioia, di pace, di armonia e di Bellezza. Amen



L’ora della speranza
p. Augusto Drago

Consolatore perfetto,
Ospite dolce dell’anima,
dolcissimo sollievo.
Nella fatica riposo,
nella calura, riparo,
nel pianto conforto.
(Dalla sequenza di Pentecoste)

  1. Eclissi della speranza?
Guardando il vasto panorama della vita sociale e culturale dell’uomo, e, perché no, anche la stessa esperienza cristiana, si ha la triste impressione che la Speranza, sia stata bandita dall’orizzonte del vivere umano.
Si avverte un diffuso scoramento, un senso di ineluttabilità, insomma, è come se il futuro fosse stato cancellato dall’orizzonte esistenziale. Siamo travolti dalla bufera del presente.
Certo, motivi ce ne sono, e tanti: sia dal punto di vista morale, sociale, culturale, sia dal punto di vista cristiano ed ecclesiale.
Dove sono gli uomini di speranza? Dove i cristiani che sanno intonare il canto della speranza per un futuro migliore? Dove i veri profeti che sanno dare un senso alle sofferenze del tempo presente, le quali non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi? (Romani 8,18).
No, di certo, non voglio chiudere gli occhi davanti al devastante male che, ad ogni livello, colpisce la nostra società! Quello che mi preoccupa non è tanto questo: infatti, sia pure ciclicamente la società e la stessa Chiesa, hanno sempre attraversato tempi difficili come il nostro, se non peggiori. Basti guardare la storia sia della Chiesa sia quella delle società civili. Cambia il volto del male, per questo ci trova sempre spiazzati. Il secolo scorso è stato quello del male proveniente dalle ideologie, che hanno avuto come esito esiziale lo sterminio dell’uomo. Tempi nei quali ci si chiedeva dove fosse finito Dio davanti a tanto male! Il nostro tempo, invece, è fortemente caratterizzato da tensioni culturali, guerre di religioni, ingiustizie e, sul piano morale, dall’autosufficienza, dal relativismo, dall’individualismo. C’è una specie di assuefazione al male. Rischiamo di essere travolti dal grido senza voce di chi piange e soffre. Anche in questo modo si concorre a sterminare l’uomo. Lo si defrauda dalla sua dignità, dalla sua libertà ed al contempo, lo si rende più fragile davanti agli eventi negativi della vita. Tuttavia, voglio ribadire con forza, che non è questo ciò che mi preoccupa. E’ ben altro.
Mi preoccupa il fatto di come sia venuta meno la capacità spirituale di resistere al male, così come la capacità di denunciarlo e di essere profeti di Speranza. Lo dico con forza, con tutto lo slancio del mio cuore! Non è possibile che il cristiano, il quale per sua natura dovrebbe essere uomo dello Spirito, prenda, davanti al male esistente oggi, atteggiamenti che vanno in senso opposto alla Speranza. Infatti, o si ritira nel privato della propria fede, o nell’indifferenza che cede all’ineluttabilità delle cose, o peggio, si aggrega a quel movimento apocalittico, che sta prendendo sciaguratamente piede nella mentalità comune che parla di prossime fini del mondo, di imminenti sciagure, di deflagrazione dell’umanità verso il nulla, appoggiandosi a presunti profeti o pseudo tali, che hanno sempre nuove calamità da propagandare! Giusto, come se ce ne fosse bisogno, per mettere ancora più ansia nel cuore inquieto dell’uomo! I seguaci di questo movimento, composto non di rado da “pii” cristiani, oggi purtroppo, sono i più ascoltati. Forse perché il rifugiarsi in una visione apocalittica costituisce una fuga dalle proprie responsabilità? Senza poi contare quelli che ricorrono ai maghi ed agli stregoni a pagamento, solo per sentirsi rassicurati sugli esiti del propri bisogni.
Sarà mai possibile mandare in esilio la Speranza? Proprio quella Speranza che ci viene donata da una rinnovata Pentecoste? L’uomo non può fare a meno di sperare per vivere, nonostante le situazioni negative che gli si presentano dinanzi. Egli ha bisogno di comprendere quella sola Speranza alla quale siamo stati tutti chiamati, quella della nostra vocazione (Efesini, 4,4). Abbiamo tutti bisogno di comprendere che continuamente siamo chiamati, in quel ripetersi incessante del dinamismo pasquale nella nostra vita di credenti, che è il mistero di Pentecoste. Essa è Pasqua che entra nella storia e la riempie di Speranza, e ci è data in aiuto a tutte le nostre debolezze e fragilità.
In questo momento mi vengono in mente le parole che scrisse il compianto Cardinale Joseph Suenens:
Perché sono un uomo di speranza?
Perché sono certo che lo Spirito santo è all’opera, sempre, nella Chiesa e nel mondo, che il mondo lo sappia o no.
Sono quindi un uomo di speranza non per ragioni umane o per ottimismo naturale.
Sono un uomo di speranza
Perché credo che lo Spirito Santo è sempre Spirito Creatore che dà, ogni mattina, a chi lo accoglie, una misura nuova di gioia, di libertà e di fiducia.
Sono un uomo di speranza
Perché so che lo Spirito santo non cesserà mai di stupirci con sorprendenti ed imprevedibili interventi della sua divina fantasia, tutti rivolti al mio bene.
Sperare è un dovere, non un lusso!
Sperare non è sognare: al contrario, è il mezzo per trasformare il sogno in realtà.
Mi vengono ancora in mente le parole dell’Apostolo Paolo, quanto mai attuali per noi e per la Chiesa intera:
Siamo tribolati, ma non schiacciati, siamo sconvolti, ma non disperati, perseguitati ma non abbandonati, colpiti ma non uccisi.
Portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale…Per questo non ci scoraggiamo! (2Corinti 4,7b-11.16a).
Il Santo Padre, Benedetto XVI, nella sua lettera enciclica “Spe salvi”, ad un certo punto ci racconta l’esperienza del Cardinale Van Nguyen Thuan, prigioniero in Vietnam per ben tredici anni, di cui nove in totale isolamento: “Durante tredici anni di carcere, in una situazione di disperazione apparentemente totale, l’ascolto di Dio, il poter parlargli, divenne per lui una crescente forza di speranza, che, dopo il suo rilascio gli consentì di diventare per gli uomini in tutto il mondo un testimone di speranza, di quella speranza che anche nelle notti della solitudine non tramonta” ( Spe salvi, 32).
E’ possibile, dunque, sperare ancora oggi, come sempre: per questo ci è dato lo Spirito. Per mezzo di Lui una pioggia di speranza scende sull’umanità intera. Questa speranza ha un nome: Gesù Cristo, mio Signore, morto e risorto per me. Ha una sua forza interiore e dinamica che si chiama Spirito Santo. Ha un approdo: il cuore del Padre che non delude mai i suoi figli: “Se voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo, darà lo Spirito santo a quelli che glielo chiedono” (Luca 11,13).
Solo una persona che si sente amata, può essere fiduciosa e guardare con speranza il presente ed il futuro. E noi tutti siamo amati dal Signore, tanto amati da avere ricevuto in dono la sua stessa Vita!
Un filosofo esistenzialista ateo, J. P. Sartre, nella sua vecchiaia scriveva: “Il nostro pianeta, oggi, è abitato dai poveri, gli estremamente poveri, e dai ricchi, gli estremamente ricchi. Con questa terza guerra mondiale, che può scoppiare in qualsiasi momento, con questo insieme miserabile che è il nostro pianeta, la disperazione ricomincia a tentarmi. L’dea che non faremo mai finita con tutto ciò, l’idea che non esiste finalità, ma solo piccoli fini per i quali combattiamo, mi fa male…Facciamo piccole rivoluzioni, ma non esiste un fine umano, non c’è niente che interessi all’uomo, esiste solo il disordine…Il mondo pare brutto, cattivo e senza speranza. Questa sarebbe la disperazione di un vecchio che è già morto interiormente. Ma io resisto, e so che morirò nella speranza. Ma questa speranza dovremo fondarla!”
Era un ateo. Eppure parlava di una speranza che non si arrende al male.
Noi cristiani e discepoli di Cristo, al contrario, guardiamo il mondo a partire dalla Resurrezione di Cristo, che è entrata nella storia e nella vita di ogni uomo, grazie al dono della Pentecoste ed allo Spirito che in essa ci è stato effuso.
Per mezzo dello Spirito, dell’apparente sconfitta possiamo sempre fare un elemento di vittoria. Siamo resi capaci di trarre fuori il bene anche dall’abisso del male in cui esso si trova sepolto: sì, grazie alla Speranza diventiamo uomini e donne capaci di non soccombere mai e di continuare a credere che sempre c’è una possibilità di futuro nel nostro oggi, per quanto disastroso esso possa apparire.
. Questo è’ il futuro dello Spirito: c’è una storia che continua, che deve continuare ed è il nostro rapporto d’amore con Dio e con il mondo. I doni di Pentecoste sono segni di futuro che danno senso al nostro presente, qualunque esso sia. Ogni momento ci è dato come segno, promessa e preparazione del momento seguente, in un dinamismo condotto dallo Spirito, che ci trascinerà tutti verso la pienezza, al di là del tempo.

  1. Le parole della Speranza
Fratelli e sorelle ci sono Parole di Speranza che a Pentecoste acquistano tutto il loro rilievo esistenziale. Le trascrivo, prendendole dal Libro dove esse si trovano e che furono scritte per mezzo dello Spirito Santo. Non hanno bisogno di commento, ma solo di essere accolte.
§  La vostra gioia sia piena (Giovanni 15,11; 16,24).
§  Nel mondo avrete tribolazioni, ma abbiate coraggio, io ho vinto il mondo (Giovanni 16,33).
§  Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio, ed abbiate fede anche in me (Giovanni 14,1).
§  Voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza di cambierà in gioia (Giovanni 16,20).
§ Così anche voi siete nel dolore, ma vi vedrò ancora ed il vostro cuore si rallegrerà, e nessuno potrà togliervi la vostra gioia (Giovanni 16,22).
§  …Siamo saldi nella speranza della gloria di Dio. E non solo: ci vantiamo anche delle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Romani 5, 2c-5).
§  Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione (2Corinti 7,4).
§  Abramo credette, saldo nella speranza contro ogni speranza…(Romani 4,18).
§  Nella speranza siamo stati salvati (Romani 8, 24).
§  Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione (2Corinti 4,4).
Fratello, sorella, che dire davanti a queste meravigliose parole? Esse sono tutte “pentecostali”: cioè vanno vissute alla luce del dono dello Spirito, che infonde forza e coraggio nella fatica del nostro vivere quotidiano. Sarebbe molto bello se, nel momento del bisogno, quando ti trovi in una situazione che fa vacillare la tua speranza, potessi ripeterle al tuo cuore! Avresti subito un dono di guarigione.
Vieni o Spirito di speranza, e gonfia le vele della nostra navicella, portaci tu, dove il tuo soffio ci conduce! Aiutaci a non avere paura di essere da te condotti.
Donaci il santo coraggio di lasciare i lidi delle nostre tristezze e delle nostre angosce, delle nostre false sicurezze, per abbracciare la “sicura” incognita del luogo dove tu ci conduci!
Liberaci dalla paura di essere schiodati da tutti i nostri egoismi per poter espandere l’Amore e il fuoco di Pentecoste nella mia ed altrui storia di vita.
Noi non possiamo cambiare il mondo, ma la passione che Tu infondi nel nostro cuore per la Parola, può aiutarci a mettere una sia pur piccola, ma significativa, pietra per la nuova costruzione di un mondo migliore.
Donaci una ventata di ottimismo, perché nessuna tristezza abbia a sommergerci, e la sofferenza non abbia a travolgerci nel vortice dell’abisso.
3     Vorrei che…
-       che tutti fossimo sedotti dalla Speranza che non delude, per sedurre gli altri,
-       che tutti potessimo sperimentare la dolce ebbrezza dello Spirito,
-       che tutti potessimo vivere sotto il segno pasquale della Pentecoste,
-       che tutti potessimo vivere come davanti ad un roveto ardente per poter adorare la Presenza del Dio Vivente,
-       che tutti, nel momento del dolore e delle difficoltà, ci ricordassimo che niente è impossibile a Dio,
-       che tutti ci ricordassimo di far dilagare la Speranza dello Spirito nel nostro animo per potergli permettere di gridare in noi “Abbà, Padre”.
E allora avverrà il miracolo di un mondo nuovo: travolti dal soffio dello Spirito, saremo i testimoni del nostro Dio che fa nuove tutte le cose.


LA RESURREZIONE DI GESU' ATTRAVERSO LA TESTIMONIANZA DELL'APOSTOLO PAOLO
                                                                                            P. Augusto Drago

Nel testimoniarci la Risurrezione di Gesù Cristo, l’apostolo Paolo segue, per così dire, una duplice scansione narrativa. In un primo momento il fatto della Risurrezione viene presentato come un’apparizione personale all’apostolo stesso, ma poi via via si trasforma in un grande inno di fede viva, forte ed autentica.
Brevemente vediamo un po’ più da vicino questa duplice scansione.  Anzitutto Paolo rivendica con forza il fatto di avere “visto il Signore”. “Non sono forse libero io? Non sono forse un apostolo? Non ho visto Gesù Signore nostro?” (1Cor 9,1). 

Al capitolo 15 della stessa lettera si annovera tra gli apostoli e tra quelli che hanno visto il Signore: “ultimo fra tutti gli apostoli, apparve anche a me come a un aborto.
 Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio” (1Cor, 15, 8-9). L’apparizione di cui parla Paolo è da riferirsi all’evento accaduto sulla via di Damasco, quando il Signore, sotto forma di luce abbagliante gli disse: “Saulo, Saulo, perché miperseguiti?”
E Paolo rispose: “Chi sei tu, Signore?”.
Ed Egli: Io sono Gesù che tu perseguiti. Ma tu alzati ed entra nella città, e ti sarà detto ciò che devi fare” (Atti, 9, 5-6). L’apparizione del Risorto determina e circoscrive la missione del futuro apostolo. (cfr, Galati 1,11-17).
La seconda scansione viene evidenziata da Paolo nella prima lettera ai Corinti (15, 3-5). la risurrezione del Signore viene presentata come una vera ed autentica professione di fede:  “Vi ho trasmesso anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè: che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che fu visto da Cefa e quindi dai dodici.  In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta…”
Questa di Paolo è la formula di fede sulla Risurrezione del Signore più completa perché abbraccia l’intero mistero Pasquale. Dalla testimonianza siamo così arrivati alla professione di fede. Una professione che Paolo non fa provenire da se stesso ma dalla Tradizione. Quindi il mistero di Pasqua nato, iniziato con una tomba vuota, proseguito con delle testimonianze personali o apostoliche, ora vive nella Tradizione e diviene il fulcro della fede della Chiesa.
Paolo prosegue: “Ora se si annunzia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti? Se non vi è risurrezione dei morti, nemmeno Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede, e noi apostoli risultiamo falsi testimoni di Dio…Se infatti i morti non risorgono, nemmeno Cristo è risorto. Ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati”(1Cor, 15, 12-17). 

Con ciò l’apostolo afferma che in Cristo risorto c’è inclusa anche la nostra risurrezione, e che c’è un rapporto strettissimo tra la risurrezione del Signore e la nostra.
Il mistero Pasquale allora è appena iniziato. Si compirà pienamente quando assumeremo, nel gran giorno della rigenerazione di tutte le cose, lo stesso corpo glorioso, celeste di Cristo Gesù, il Signore, e così saremo sempre con Lui e simili a Lui: “La nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo, come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso”  (Filippesi, 3,21).
Cosa ci dice tutto questo, fratelli e sorelle?

 Il desiderio illimitato di verità, di bontà, di bellezza, in una Parola di vita, che abita nel cuore di ciascuno di noi, non è un’invocazione che non riceve risposta. Dire che Cristo è risorto significa dire con certezza che ognuno di noi è salvo, perché questa pienezza è raggiungibile.
Nonostante tutti i tradimenti, le sconfitte che possiamo subire: quello di tradire un amore che ti era stato donato, quello di non riuscire a trovare un lavoro, quello di vedere l’incredibile fragilità del bene dentro la nostra storia e dentro la storia umana.
Fratello, sorella, se sei certo della resurrezione di Cristo, sii assolutamente certo che tu puoi sempre ricostruirti pienamente nella tua umanità e ripartire verso la vita! Sempre!



Tre fondamentali esperienze quaresimali:

Il pentimento, l’ascesi, la compunzione
p. Augusto Drago
  
   Il tempo della Quaresima è l’inizio di un cammino che ha per meta la Luce dell’Ottavo Giorno, il giorno della Pasqua.
E’ importante allora partire bene e soprattutto consapevolmente motivati.
Tre cose, in modo particolare, rendono la partenza più agile e spedita: il pentimento, l’ascesi e la compunzione.
Il pentimento o metànoia, secondo il Vangelo, consiste in una trasformazione profonda del nostro modo di vedere noi stessi, la realtà ed il mondo. Si tratta di passare dalla visione carnale delle cose ad una spirituale. Per questo occorre, attraverso la preghiera, acquisire lo sguardo di Dio e divenire capaci di vedere come Dio vede. Solo il Suo sguardo può stanare il male che è in noi, nelle cose, nelle vicende della vita e che noi non riusciamo a vedere perché siamo esseri carnali.
Il pentimento mira a fare a pezzi il mondo tenuto ben assemblato nell’io più profondo, là dove spesso abbiamo paura di entrare per non correre “il rischio” di imbatterci nella verità  del nostro essere. Esso è il luogo della separazione, è la nostra terra di peccato che deve diventare il terreno sul quale Dio Incarnato continuamente discende per caricarsi la pecorella smarrita sulle Sue spalle. Spesso, tuttavia, amiamo fuggire da un sano esercizio di introspezione che ci aiuterebbe a conoscere la verità su noi stessi: ne abbiamo paura! Ma se ci lasciamo penetrare dallo sguardo di Dio, allora la paura è vinta dal desiderio di riacquistare la libertà e dalla gioia di vivere e di uscire finalmente dal tunnel di tutte le nostre notti esistenziali.
Il pentimento nasce dalla conoscenza di sé e del peccato che alberga dentro il nostro cuore. L’impenetrabilità del nostro mondo interiore viene attraversata dallo sguardo amoroso di Dio che ci aiuta a tirare fuori ciò che negativamente siamo, per essere rinnovati nell’uomo interiore, come afferma san Paolo.
Perché possa prendere corpo in noi, il pentimento o metànoia, ha bisogno di essere reso cosciente. Tale coscentizzazione può essere operata attraverso la preghiera e la grazia del Signore Gesù. Ad esempio, nel colloquio con la Samaritana Gesù stesso, gradatamente, porta alla luce il male oscuro che era nascosto nel fondo del cuore di quella donna (Gv 4,5-30).
Solo allora si prende consapevolezza di un limite e di un fallimento sostanziale che ha impedito alla nostra vita spirituale di spiccare il volo. Dalla scoperta di questo grande limite scocca la scintilla del pentimento.
Occorre poi vincere la pigrizia della mente e del cuore che genera, con lo scorrere del tempo, dimenticanza ed oblio di Dio. Due dei peccati, questi, tra i più gravi per chi vuole veramente vivere una vita “spirituale”. Essi infatti portano alla dimenticanza di sé e degli altri. Generano oblio dell’Amore di Dio, degli esseri e delle cose. Si tratta alla fin fine di una specie di sonnambulismo popolato da fantasmi in cui l’anima si disperde, si smembra, và a pezzi: diventa “legione”.
Il timore del Signore (non il terrore!), dono dello Spirito Santo, accompagnato dal senso della fugacità del tempo, favorisce il risveglio delle nostre coscienze: si tratta infatti del santo timore di farsi inghiottire dal mondo e perdere di vista Dio!
A questo punto comincia il cammino di ascesi.
Quando il cuore si è pentito e la vita di Cristo ha cominciato a germogliare in noi, inizia il cammino di “salita”. Ascesi significa  “salita” con tutte le difficoltà che essa comporta, ma anche con la bellezza di guardare alla vetta con occhi di desiderio.
Si cominciano a rimuovere gli ostacoli a partire da quelli che sono nel cuore, come luogo più profondo e centrale del nostro intimo.
Essa può essere descritta come una lotta ingaggiata contro tutte le forme di morte a cui, prima del pentimento, ci eravamo assuefatti e che si sono introdotte nella nostra esistenza.
L’ascesi si oppone alla morte e permette al sole della Resurrezione di irradiare il suo calore e la sua luce, di cicatrizzare le ferite e di guarire.
L’ascesi non è ricerca di meriti. Per Dio non esiste la meritocrazia: conta solo il dono di grazia ed un terreno capace di farla fiorire. Non è osservanza di un codice di comportamento: sarebbe un ricadere nel fariseismo. Al contrario essa favorisce l’incontro personale con Cristo, ci svela la Bellezza di Cristo e diventa soffio di vita che ci fa rinascere.
La via per vivere l’ascesi è essenzialmente racchiusa nelle Beatitudini evangeliche e nel comandamento di Cristo, quello dell’Amore e del Perdono.
L’ascesi quindi prende di petto gli idoli, anche i più segreti, che nel fondo del cuore continuiamo ad adorare, mira a distruggere le passioni che tarpano le ali perché non si abbia più slancio nella vita.
L’ascesi non è una lotta volontaristica, ma un lavoro continuo per accogliere la grazia e il dono assolutamente gratuito di Dio.
Le forme con cui essa si esprime sono tutte riassunte nel “digiuno” secondo le “regole” delle Beatitudini:

  • Digiuno dalla ricchezza del sé e da ogni ostentazione egoistica del proprio benessere.
  • Digiuno dalla volontà di avere potere e forza.
  • Digiuno da ogni forma di durezza interiore ed esteriore.
  • Digiuno da ogni forma di chiusura e di non accoglienza.
  • Digiuno da ogni forma di concupiscenza e dalla menzogna.
  • Digiuno da ogni forma di odio, di inimicizia, di contese e risentimento.
  • Digiuno da ogni forma di difesa per essere inermi come l’Inerme per eccellenza, Cristo Signore.
Tali forme di digiuno devitalizzano la forza del peccato il quale è il fallimento del rapporto con Dio, con se stessi e con gli altri.
Allora, finalmente, apparirà l’uomo nuovo creato secondo Dio, la cui immagine è il Volto pasquale di Cristo.
Il digiuno produce un effetto straordinario di purificazione del cuore e dell’anima. Da qui nasce la compunzione. Essa è il cuore di pietra che si sbriciola con il sopraggiungere della tenerezza divina.
Essa somiglia molto al dono spirituale delle lacrime. E’ una specie di “dolce lamento”, come il  meraviglioso cantico dell’esilio descritto nel Salmo 137: “Lungo i fiumi di Babilonia là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion…”.
Quando sgorgano lacrime dal cuore, esse non sono mai di tristezza ma di anelito, di desiderio e di nostalgia. Attraverso l’ascesi infatti siamo giunti come Elia (1 Re 19, 8-13) sino al monte di Dio per contemplarne il Volto della Bellezza che si comunica a noi. Le lacrime, nate da  una profonda compunzione, sono il frutto più prelibato del desiderio di Lui e della sua Bellezza.
Chi di noi ha mai pianto perché totalmente preso/a dalla forza “violenta” di un desiderio appassionato?
Chiediamolo ai grandi mistici che cosa significhi piangere per amore di Lui…
Il pianto sgorga perché abbiamo compreso ciò che con il peccato abbiamo perduto. Da questo punto di vista occorre andare a rileggere il brano della peccatrice perdonata perché ha molto amato di cui ci parla il vangelo di Luca (7, 36-50). Sant’Agostino piangendo gridava: “Troppo tardi ti ho amato, o Bellezza sempre antica e sempre nuova…”!
La compunzione, come il dono delle lacrime, è la nostalgia della Patria, la memoria del Paradiso intravisto nel balenio dei Suoi occhi che guardandoci ci hanno attirato a Lui.
Tanto più amara è stata l’esperienza del peccato, tanto più preziosa ora è la percezione di un tempo perduto ma finalmente ritrovato: il tempo dell’Amore, come grida la Sposa del Cantico dei Cantici.
Le lacrime ci immettono nel mistero dei momenti più tragici della vita di Gesù, perché proprio lì si manifestata la potenza dell’Amore. Ci immettono nell’agonia di Cristo al Getsemani e poi nel mistero della Croce, poiché la sorgente delle lacrime scaturisce dal Cuore trafitto di Cristo.
Nelle lacrime risuona il gemito dello Spirito che ci fa anelare all’unione sponsale con Cristo, come le lacrime della prostituta nella casa di Simone il fariseo. Lacrime che mettono il cuore in festa ed impregnano gli occhi della sfolgorante luce di Dio.
Esse ricordano l’acqua del Battesimo, là dove tutti siamo nati da Dio e ripieni di Spirito Santo. Là dove tutti fummo cristificati.
Attraverso la compunzione ritorniamo alle nostre origini.



La Revisione di vita.

1. Che cosa non  è.
Essa non è una semplice chiacchierata sugli avvenimenti del giorno.
Non è una riflessione ordinata per svolgere un apostolato più efficace.
Non è una specie di direzione spirituale.
Non nasce da una ammonizione fraterna.
Non è un capitolo delle colpe come viene praticato in certi monasteri o conventi.
Non è un’ammonizione fraterna nella quale si danno o si ricevono utili consigli.
Non è un semplice esame di coscienza e nemmeno la verifica di risultati avvenuti nell’ambito della vita fraterna.
2. Che cosa è.
 Vedere, valutare, agire.
v  Vedere: non basta fermarsi alle conseguenze, anche penose, dei fatti e degli eventi accaduti nel nostro vissuto. Bisogna scoprire le cause affinché la revisione diventi efficace.
v  Valutare: nel valutare bisogna avere attenzione ai valori o ai disvalori in gioco nel fatto o nel vissuto: i valori o i disvalori vanno valutati alla luce del Vangelo, del Carisma di fondazione e mai alla luce dei propri bisogni o delle proprie aspettative o valutazioni interessate. Allora la Parola di Dio risuona in tutta la sua freschezza e novità quanto più la situazione di disagio che si sta vivendo, è attentamente percepita in tutte le sue dimensioni. Attente, sorelle, questa maturazione non avviene in maniera indolore. Qui vale la Parola di Gesù che ci esorta a morire a noi stessi.
v  Agire: non nel senso di darsi da fare per cambiare le cose, ma innanzitutto comprendere che senza Gesù non possiamo fare nulla. Il vero agire è la capacità, nata dalla consapevolezza, che dobbiamo morire a noi stessi, come condizione indispensabile per riprendere il cammino con rinnovato slancio.
Scopo della revisione di vita
   La revisione di vita, a partire da fatti concreti, mira a vedere di nuovo la propria vita, al fine di rettificarla. In clima di ascolto della Parola del Signore, essa deve portare a vivere con fede tutto il proprio vissuto in rapporto ad un determinato problema. Ripensando a un fatto concreto di vita di cui uno è stato testimone o
protagonista, si può avere una reazione spontanea risultante dalla sensibilità, dall’umore del momento.
Si può pure riflettere vedendo le cose da un punto di vista razionale, anche se il
Discepolo di Cristo cercherà di portare un giudizio morale sui diversi aspetti del fatto. La Revisione di vita vuole aiutare a vedere gli avvenimenti nella luce della fede, superando le reazioni spontanee e le riflessioni di ordine naturale o esclusivamente moralistico.
Essa mira ad avere una visione dei fatti e degli eventi del proprio vissuto come fatti spirituali, cioè già inseriti, prima di qualsiasi intervento del discepolo, nel dramma
soprannaturale della grazia e del peccato. Questi fatti contemplati (visti con gli occhi
di Dio creatore e salvatore) di conseguenza sono rivelatori di una storia sacra che continua e nella quale i cristiani sono impegnati.
Pur avendo uno scopo direttamente apostolico, la Revisione di vita, vuole formare, in
chi la pratica, un habitus che integri la vita teologale di fede, permettendo di vedere
e giudicare tutto con fede e così portare ad agire concretamente secondo il piano di Dio.
Tale habitus crea l’unità tra i diversi aspetti della vita del discepolo, perché
contemplando Dio presente nella vita quotidiana egli collabora meglio con lui nella Chiesa e nel mondo e nella Chiesa.
Metodo.
    Di per sé, la Revisione di vita, suppone una fraternità riunita, là dove un fratello o una sorella possa raccontare agli altri o alle altre un proprio disagio su un punto particolare della propria esperienza. “Dove due o tre sono riuniti nel mio Nome Io sono in mezzo a loro”, dice il Signore. In alcune comunità questo si compie quasi regolarmente due o tre volte all’anno. Ma occorre una grande maturità che non sempre si possiede. Per arrivare a fare una Revisione di vita a questo livello occorre aver percorso un grande cammino!
Pertanto ci limitiamo, in attesa di crescere nella vita fraterna a proporre un metodo più semplice, personale ma sempre efficace.
Prima di tutto occorre non divagare esaminando tutta la vita, passata, presente o futura. Basta prendere un punto qualificante del proprio cammino, come ad esempio i voti, oppure il disagio che nel momento attuale si prova e sottoporlo a quei tre verbi di cui si compone la struttura della Revisione di vita: VEDERE, VALUTARE, AGIRE, nel senso spiegato sopra.
Come punto esemplare possiamo prendere il racconto dei discepoli di Emmaus (Lc 24).
Nell’episodio possiamo notare come sia Gesù ad aiutare i discepoli a fare una re- visione di vita, mediante il passaggio dalla tristezza alla gioia.
Gesù li porta prima di tutto a VEDERE la tristezza che agita gli animi dei discepoli e gliene mostra le cause.
Li conduce alla valutazione del loro momento. Ed infine li porta ad agire.




                  FESTA DI CRISTO RE DELL'UNIVERSO
 

Fratelli e sorelle, a chiusura dell'intero anno liturgico, celebriamo la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell'Universo!
Se mi permettete, vorrei meditare assieme a voi il brano del Vangelo, non tanto esponendovi
una riflessione, quanto invece assumendo un atteggiamento di adorazione.
Pregheremo la Parola del Santo Vangelo.
Signore Gesù, Re del cielo e della terra, liete parole mi sgorgano dal cuore: io proclamo al Re
il mio poema, la mia lingua è come stilo di scriba veloce.
Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia,
per questo Dio ti ha benedetto per sempre. Sì, mio Re, tu sei il più bello tra i figli dell'uomo,
bene aveva profetato di te il salmista:Tu sei il Bel Pastore che chiami le pecore per nome,
Tu sei il Bel Pastore che dai la vita per le tue pecore. Tu sei Colui che da Pastore ti fai Agnello.
L'Agnello del sacrificio. Di te il profeta Isaia aveva profetato dicendo che in te non c'è nè
apparenza né bellezza!
Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo di dolori che ben conosci il patire.
Come, mio Re, puoi essere il più bello tra i figli dell'uomo e poi essere anche un uomo senza
apparenza né bellezza?
Ecco ti contempliamo sulla Croce.
Sei stato Crocifisso. Appari nudo e senza dignità. La gente stava a guardarti.
Era carica di uno sguardo stupito e meravigliato. Come può essere crocifisso un Uomo come
Te, pensava!
Aveva fatto tanti prodigi, aveva compiuti tanti miracoli!
Ed ora eccolo! Crocifisso tra due ladroni,
Il popolo stava a guardarti e Tu, mio divino Re, ti facevi guardare senza arrossire! Eppure eri
Re anche così.
Eppure eri Bello anche così: perchè in quel momento eri un Re che dava la vita per il mondo,
per noi, per i peccatori di ieri, di oggi e di sempre.
Avevi detto: non c'amore più grande di chi dona la propria vita! Per questo, pur uomo dei
dolori, pur senza apparente bellezza, eri RE!
Eri e sei Bello! Mai come in quel momento sei apparso il più bello tra i figli dell'uomo!
Perché si è Belli solo quando si ama!
Tanto più si ama, tanto più si è Belli della tua Bellezza, mio Re!
Per questo ti adoro, ti amo e mi prostro davanti a Te.
Se la gente guardava stupita, i capi invece gridavano, quasi starnazzando:
"Ha salvato altri ora salvi se stesso!"
Altri ti diranno la stessa cosa, come il malfattore che stava alla tua sinistra:
"Se sei il Cristo salva te stesso e noi...."Anche i soldati, avendo visto la scritta sulla sommità
della croce "Re dei Giudei" ti schervano e dandoti dell'aceto ti urlavano addosso la stessa
imprecazione.
Ma Tu, mio Re e Signore, non sei sceso dalla Croce. Non hai voluto salvare te stesso.Se lo
avessi fatto, Signore, noi adesso saremmo uomini e donne perduti, senza speranza, senza un
meta, senza un polo di attrazione.
Grazie, Signore mio Dio e Re! Hai preferito il tuo trono regale, la Croce, per donarci la
possibilità di un riscatto, di una dignità che altrimenti mai avremmo mai avuta!
Anche Satana, all'inizio del tuo viaggio in mezzo alla nostra terra, lì, nel deserto, venne a
tentarti con le stesse parole: "Se sei il Figlio di Dio, buttati dal monte e gli angeli verranno a
salvarti".
Ma nemmeno allora cedesti alla tentazione della onnipotenza e del potere!
Tu sei Re!
Tu sei il più Bello tra i figli dell'uomo. Non sei sceso dalla Croce! E come avresti potuto? Era
la Volontà del Padre: non potevi disubbidire.
Era ciò che tu avevi detto ai tuoi discepoli sulla necessità di prendere la croce e seguirti:
avresti dato un pessimo esempio a chi aveva creduto in Te. No! Tu non potevi non compiere
la missione che ti era stata data dal Padre: eri venuto per questo, solo per questo.
Gesù, hai preso la tua Croce, vi sei salito, lì ti hanno inchiodato e poi schernito. Ma eri e sei
RE! Ma eri e sei Bello, perché hai saputo donarci Te stesso, per amore, solo per amore.
L'Amore è la bellezza che nasce dal cuore di chi è Bello! Tu sei Bello e ci rivesti di Bellezza a
motivo della Croce.
Aspettavano un Messia trionfante, un Messia che avrebbe distrutto tutti i nemici, che avrebbe
ridato forza e potere. Ma Tu non eri questo.
Signore Gesù, mio e nostro Re, potremo mai noi imparare questa sublime lezione?
Noi amanti del potere, amanti dell'avere, amanti di visibilità, noi amanti di sapere! Potremo
mai capire tutto questo?
Potremo mai comprendere che l'Amore è dare la propria vita?
Tu non ti sei curato delle apparenze! Eri come in una prospettiva rovesciata rispetto alle
aspettative del mondo!
Sì, veramente hai rovesciato i potenti dal loro trono.
E Tu, come trono, hai scelto la Croce. Qui siedi sul tuo trono.
Qui allarghi le braccia e dici: "quando sarò elevato da terra attirerò ogni cosa a me!"
Tu sei attrattivo, mio Signore.
Chi non sente il profumo della tua Bellezza attrattiva ,non ha ancora capito nulla di Te, né del
Padre che ti ha mandato! Facci scuola di Amore, o Re crocifisso. Veniamo alla tua scuola.
Cosa ci insegni, Signore?
Tu non insegni con le parole, ma con i gesti. Ecco, accanto a te c'erano due malfattori. Uno ti
malediceva e ti bestemmiava chiedendo di salvarti e di salvarlo. Ma a lui non desti risposta.
Parlava per lui il suo rancore e la sua superbia!
L'altro, che la tradizione chiama Disma, ti difese dalle accuse. Riconobbe che la pena che
stava subendo era giusta e proporzionata al male fatto. Ma poi rivolto a te, ti chiamò per
nome: "Gesù!"
E' la prima volta che venivi chiamato così. Come si chiama un amico.
E tu eri e sei amico dei peccatori!
Gesù! Ti chiama per nome! Non c'è infatti altro Nome dato a noi su questa terra in cui
ottenere salvezza se non il tuo, Signore mio e mio Re!
Ti adoro! Come eri bello, stupendo, maiestoso, pur nella tragicità del momento, quando
rispondesti a Disma:
"In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso!"
Ecco l'amico del dolore che si fa amico di chi soffre e soffrendo spera! La tua misericordia!
La tua Bontà, mio Signore e Re, ti fanno veramente Unico in assoluto!
"Oggi", gli dicesti. E' l'oggi del tuo tempo, della tua ora, della tua presenza, è l'oggi del
compiersi della salvezza. Come vorrei pregarti, mio Signore Gesù, con il cuore del
malfattore pentito. Egli mi e ci rappresenta tutti quanti.
Egli rappresenta il dolorante fratello in umanità.
Non ho niente nelle mani e il mio cuore arido come un coccio non sa proferire parole.
Eppure oso sussurrarti: Abbi pietà,...ricordati di me!
Ricordati! Vale a dire, riconducimi al tuo cuore. (Ri- cor- dare= dare il proprio cuore).
Dammi il tuo cuore come lo desti a Disma!
Promettimi, nella tua grande misericordia, che anch'io nel tuo "oggi", possa essere con Te in
Paradiso!
Lo dico per me, mio Signore, e per chi non sa più dirlo!
Pietà per tutti Signore e Re Crocifisso!
Abbiamo tutti bisogno della tua pietà, se vogliamo ancora sperare.
E cosa accadrà se, sperando in Te, o divino Re, entreremo in Paradiso?
Accadrà la cosa più stupefacente che si possa immaginare.
Non sarò io ad essere giudicato da te, ma "io" a giudicare Te!
Spogliato dalle miserie, meschinità, grettezza, che hanno appesantito la mia mente,
irrigidito il mio cuore, curato nella mia cecità, che mi ha impedito di comprendere Te Parola
di Luce e di Verità, finalmente contemplerò il tuo Volto.
Ti vedrò come Tu sei!
Allora sarò in grado di pronunciare un "giudizio" obiettivo su di te:
Stupito, sarò costretto ad ammettere che: Tu sei più grande del mio cuore!
Grazie mio Re e Signore! Tu hai fatto bene tutte le cose.
Grazie mio Re e mio Signore: Tu sei Re. regna su di me, fà che anch'io diventi Re come te: che
sappia servire, donare la vita senza riserve, per sempre!
E sarà festa eterna per me con Te, per sempre! Amen


 2 - Commento al Vangelo di Luca 20, 27-38
 
Gesù ha compiuto il suo viaggio, iniziato in 9, 51, verso Gerusalemme.
Il capitolo 19 ci descrive il suo solenne ingresso nella città santa e, possiamo intuirlo, cantando
il Salmo 122, il Salmo dei pellegrini che giungono alla meta sospirata della santa
Gerusalemme.
Ma la Gerusalemme che accoglie Gesù è piena di insidie e pericoli. Egli compie il gesto della purificazione del tempio. Poi insegna nel Tempio stesso.
Capziosamente viene interrogato sul potere che ha di fare tutto quello che ha fatto. Poi
deve rintuzzare le sottili argomentazioni dei farisei.
Ed ecco ora gli si avvicinano i Sadducei. E' la prima volta che, nel Vangelo di Luca, appare
questa classe di persone.
Chi erano i Sadducei? Erano una classe "privilegiata" di ricchi che, appoggiando il potere dei
Romani, ricevevano da costoro privilegi e favori.
Il Sommo sacerdote era sempre un sadduceo, e molti sacerdoti che avevano delle particolari
incombenze nel tempio, anch'essi erano Sadducei.
Dottrinalmente parlando, si distinguevano moltissimo dai Farisei.
Mentre infatti quest'ultimi erano molto vicini alla gente ed erano strenui difensori della
Legge, i Sadducei al contrario, erano come gli epicurei della civiltà greca. Erano razionalisti,
realisti, non credevano alla resurrezione dei morti, né agli angeli.
In quanto ai libri della Bibbia accettavano solo i primi cinque, vale a dire il Pentateuco
(Genesi, Esodo; Levitico, Numeri, Deuteronomio).
Poiché in questi libri non si parla di resurrezione dei morti, essi non vi credevano affatto.
Non erano amati dal popolo dal quale si sentivano staccati: appartenevano all'alta
aristocrazia del tempo. Distruggere l'idea della resurrezione dei morti, pare che fosse molto
importante per loro.
Si presentano a Gesù chiedendoGli o cercando di capire che cosa ne pensasse Lui.
Intanto cominciano a portare il loro argomento: la resurrezione dei morti non può reggere
davanti agli eventi reali della vita. E, a mò di esempio, raccontano una storia, che ha anche del
ridicolo, basandosi sulla legge del levirato (Deuteronomio 25,5). Secondo questa legge, se un
uomo moriva senza lasciare figli, il fratello di costui doveva prendere in moglie quella del
defunto per procurargli una posterità. In pratica il figlio che fosse nato, anche se generato
dal fratello, avrebbe preso il nome del defunto e così si assicurava la sua eredità e veniva
salvaguardata la posterità.
Basandosi su questa legge, i Sadducei imbastiscono una caso che ha dell'incredibile.Essi erano
aggrappati alla logica che tutto lo scenario della vita si svolge su questa terra.
Per questo diventa importante avere una posterità che abbia un nome ed un prestigio.
Sono persone che interpretavano la vita alla luce della Legge del levirato, sapendo poi
conciliarla con le varie situazioni che si presentavano.
L'importante era che non si perdesse, nel buio della storia, la posterità, e che la ricchezza
accumulata venisse non solo conservata, ma anche rafforzata ed accresciuta.
Aggrappati a questa logica, vedevano in maniera assurda, quanto goffa, l'idea della
resurrezione: per essi contava la continuazione della vita terrena dentro le categorie del
mondo reale. Mediante la discendenza, la ricchezza accumulata rimaneva sempre nell'ambito
della famiglia.
Ecco, in fin dei conti, perché negavano la Resurrezione dei morti: non avevano il senso della
vita eterna! Gesù infatti non risponde affatto alla loro provocazione.
Provoca a sua volta invece. Presenta subito una distinzione: ci sono i figli di questo mondo che
prendono moglie e prendono marito, ma a fronte di loro ci sono, in perfetta contrapposizione,
coloro che appartengono ad un mondo "altro": quello della vita futura e della Resurrezione
dei morti.
Ecco posta allora la questione fondamentale che ci presenta la pagina evangelica.
Essa non è tanto quella di chiarirci il mistero della resurrezione dei morti, quanto invece di
accogliere la novità radicale che Cristo, morto e risorto, vuole portare nella nostra vita.
Essa non si può esaurire in questa terra e nemmeno dentro una posterità. Tutto ha fine. C'è
invece un mondo "altro" diverso, là dove chi entra fa parte della corte celeste come gli angeli.
Dove non contano più le discendenze carnali, cose che appartengono alla visione del mondo e
del suo scorrere nel tempo, ma il diventare "celesti" come "celeste" è il mondo dei Figli di
Dio, chiamati anche, da Gesù, Figli della Resurrezione, perché partecipano alla Vita stessa di
Dio.
Se non entriamo in questa novità, fratelli e sorelle, noi rischiamo di misurare tutta la nostra
vita (e anche la morte), come i Sadducei, rimanendo ancorati alle nostre logiche terrene,
mondane e "realistiche".
Rischiamo soprattutto di trasformare quel desiderio di eternità che il Signore ci ha messo
dentro, nel cuore, in un mediocre istinto di sopravvivenza. Ma Gesù ci indica ben altre mete.
Più alte, più vere, più sante.
A credere che, in fondo in fondo, la vita si misura solo sul presente, su quello che si vede,
come facevano i Sadducei, allora il presente ci suggerisce che per sopravvivere, bisogna
aprirsi a calcoli vantaggiosi e a compromessi mediocri. Non così Gesù! Ben altro è l'ideale che Egli ci presenta. Esso parte, sì da questo mondo, ma non si ferma ad esso.
Nella visione dei Sadducei e di non molti uomini di oggi, il domani, la vita futura, diventa una
sorta di sopravvivenza di tutto quello che abbiamo posseduto, che ci siamo conquistati, che ci
appartiene di diritto e nessuno ce lo può togliere.
La morte viene esorcizzata con il possedere sicurezze, ma non così per Gesù: Egli ci indica
altre mete: fatte dal Suo amore per l'uomo.
Se non dovessimo darGli ascolto, come purtroppo avviene, la nostra fede correrebbe il rischio
di diventare ridicola quanto l'esempio portato dai Sadducei, perché siamo noi che tendiamo a
dare forma e contenuto a quella novità di vita che Gesù invece ci ha aperto per sola grazia e
misericordia di Amore. La prospettiva del mondo "altro": il mondo della vita!
Della vera Vita.
Il mondo “altro” dove la Vita non può più morire.
Ed è talmente "altro" questo mondo di cui ci parla Gesù che gli uomini che vi abitano sono
uguali agli angeli, figli di Dio e della Resurrezione.
Fratelli sorelle: siamo invitati dalla Parola di Gesù a vivere!
Invitati a concepire la vita come un cammino verso questa meta!
Noi infatti abbiamo un Dio amante della vita: è il Dio dei vivi!
Come potrebbe permettere mai che una creatura, come l'uomo, fatto ad immagine e
somiglianza di Dio, possa essere lasciato al suo destino di morte e di perdita irreparabile?: No!
Non può essere possibile!
Il nostro Dio, ci rivela Gesù, è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, del nostro Signore
Gesù Cristo, è il Dio...e a questo punto ognuno può aggiungere il proprio nome.
Notate bene: non si tratta di dire " Io sono di Dio", ma al contrario: Dio di...E' Dio che si fa
appartenere, si fa "catturare" per Amore.
Come è bello aggiungere allora anche il nostro nome alla sfilza dei nomi che Gesù richiama:
Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, Dio di...ognuno aggiunga il suo nome.
Egli si fa appartenere da me! Ed io Gli appartengo solo perché Lui mi dona la sua Vita il
mondo"altro" che i Sadducei e tutti gli uomini che concepiscono la vita come loro, non
potranno mai comprendere.
Questa è la Resurrezione dei morti!
Gesù non ci parla di come avverrà, o in che cosa consisterà: ci dice solo che è un mondo
"altro" da quello terreno: è il mondo dell'eternità. Il mondo della vita. "Credo....e aspetto la
Resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà!". Così, fratelli e sorelle, celebriamo nel
simbolo della nostra fede.
Ma io spesso mi chiedo quale incidenza reale abbia questa professione di fede circa le
resurrezione e la vita del mondo che verrà, sul nostro abituale modo di concepire la vita.
Il tempo ci avvolge da tutte le parti! La temporalità che diviene mondanità, ci fa apparire
come lontana la nostra professione di fede.
Eppure con forza oggi Gesù ci dice che siamo fatti per il mondo "altro", il mondo nuovo,
preparato fin dall'eternità per gli eletti di Dio! Chi veramente pensa all'eternità? E' una
domanda molto, ma molto seria! Amen.....................



1 -  Commento alle Beatitudini riportate nel Vangelo di Matteo 5,1-8

Gesù sale sul monte! Come non ricordare la figura di Mosè, che chiamato da Dio, salì anche lui sul monte Sinai per ricevere e poi promulgare le Tavole della Legge?   Da questa prima descrizione possiamo subito dedurre che Matteo vuole presentarci Gesù come il nuovo Mosè che sale sul monte per promulgare la Nuova Legge: la Sua!   Ed ecco l'introduzione: Si mise a parlare ed insegnava loro molte cose dicendo: Beati...

Gesù pone come introduzione al grande discorso sulla nuova legge del Regno, le Beatitudini.  Un discorso di felicità. Essere beati è la stessa cosa che essere felici.       Il suo Regno è dunque il regno dei "felici".            Felici perché salvati.    Felici perché hanno conosciuto la legge dell'Amore.
Le beatitudini sono 8. L'ultima che dovrebbe essere la nona non appartiene al conto perché presenta una struttura diversa. Quindi appartiene ad un altro contesto.

Se poi guardiamo il testo letterario delle beatitudini ci accorgiamo che, confrontate con Marco e Luca, si tratta di detti di Gesù pronunciati in varie e diverse circostanze.    Matteo le ha raccolte, le ha assemblate insieme e ne ha fatto un unico tema sia pure a carattere composito.

 Perché ha fatto questa "operazione letteraria", Matteo?   Perché la Comunità alla quale destinava il suo Vangelo aveva bisogno di perle raccolte insieme in un canestro e mostrate a tutti in una unità ricca di significato.

 La Comunità a cui Matteo rivolgeva il suo Vangelo era, secondo la testimonianza degli antichi Padri della Chiesa, Antiochia di Siria.   Dentro questa Comunità, c'erano egoisti che pensavano solo a se stessi.          C'erano persone che soffrivano nel dolore ma nessuno le consolava.   C'erano ricchi che non sapevano condividere.  C'erano dei "forti" che schiacciavano i deboli.  C'erano quelli che non conoscevano il senso della fedeltà (La giustizia) e vivevano in maniera dissoluta la loro fede.
C'erano ancora persone che non avevano il cuore semplice e libero.   Non c'era chi sapeva operare pace.             

A questa Comunità totalmente divisa, Matteo porge le pietre preziose raccolte nell'ambito fertile della tradizione evangelica.   Ciò che in origine erano dei semplici "loghi" o Detti, adesso formano un discorso ben composto.

 Proviamo adesso, fratelli e sorelle, a pensare che quella Comunità fosse la nostra, quella di nostra appartenenza, quella in cui operiamo e viviamo: la comunità ecclesiale dentro la quale siamo collocati.         Forse abbiamo gli stessi problemi della Comunità di Matteo.

 Allora possiamo leggere le "beatitudini" come rivolte alla "mia" comunità.
 Matteo ci dice: così non siete felici: perché vivete non secondo il Vangelo, ma secondo la carne.                      

 Dio in Gesù ci vuole davvero felici, beati.   Ma per esserlo occorre appartenere a significative categorie.
 Prima di tutto "poveri in spirito": perché chi è tale, già possiede il Regno dei cieli.  Chi sono costoro?

 Matteo qui, a differenza del testo parallelo di Luca, non parla di povertà materiale.  Ma di povertà di spirito.      Che significa?     Secondo l'antropologia biblica l'uomo è corpo, anima e spirito.   Il corpo è la sua corporeità e la sua visibilità. L'anima è la sua psiche.  Lo spirito è invece la parte interiore e in modo particolare l'intelligenza: l'Io profondo dell'uomo.

Allora il senso derivante è questo: "Felici coloro che sono poveri rispetto al proprio "io" profondo, rispetto a ciò che rappresenta la personalità più propria dell'uomo.  Il vero povero a cui appartiene il Regno già fin da adesso è colui che ha saputo mettere in croce il proprio "io" per dare spazio a Dio.   Costui è davvero felice, perché già possiede il Regno: l'abitazione di Dio in lui.   Questa beatitudine è la prima e la più fondamentale in modo tale che le altre possono dirsi conseguenze di questa.

I poveri hanno bisogno di essere consolati: riceveranno la consolazione piena nel futuro del Regno. Adesso vivono solo di speranza.   I poveri sono miti, quelli cioè che hanno rinunciato alla forza e alla violenza: ad essi nel futuro del Regno sarà data la vera terra promessa: la pienezza del Regno nel Paese di Dio!

 I poveri sono quelli che sanno rimanere fedeli ed hanno fame della fedeltà di Dio per costruire la loro fedeltà a Dio: essi saranno saziati nel futuro del Regno.    I poveri sanno condividere e perciò sono misericordiosi: essi nel futuro del Regno troveranno le braccia della misericordia dell'Amore di Dio!
 I poveri sono puri di cuore: cioè semplici e limpidi. Trasparenti nel porgersi agli altri. Non sanno mentire, amano la semplicità. Essi avranno nel futuro del Regno occhi nuovi per potere vedere Dio nello splendore della sua Bellezza.

 I poveri sono coloro che amano la Pace, e pertanto sono indifesi ed inermi: essi apparterranno nel futuro del regno, alla famiglia di Dio e perciò saranno chiamati Figli di Dio.
 I poveri sono quelli che sono perseguitati a motivo della loro assidua fedeltà (=giustizia): costoro già hanno il Regno nel cuore. Non devono aspettare il futuro del Regno.

 La stessa beatitudine è data ai discepoli che saranno perseguitati a motivo della loro fedeltà alla Parola e al Vangelo.  Il povero in spirito, il povero di sé,  è veramente l'unica persona felice e quindi beata perché è l'unica persona libera.

 Beate quelle Comunità ecclesiali, quelle aggregazioni ecclesiali dove tutto questo diventa programma di vita. Ma anche a livello personale le Beatitudini acquistano il loro significato.  Le Comunità Cristiane devono essere fatte da persone capaci di questa libertà interiore che chiamiamo "povertà" secondo il concetto che ci presenta Matteo.

Quante Comunità assomigliano a quella di Matteo? Quanti di noi assomigliamo a quei cristiani che pur appartenendo ad una Comunità, hanno bisogno di riconvertire la propria vita perché diventi segno della felicità del Regno?





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