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B E N V E N U T O !! Lo Spirito Santo illumini la tua mente, fortifichi la tua fede.


venerdì 30 settembre 2016

Non puoi essere mio discepolo se hai qualcosa a cui tieni più che a me


Le esigenze di Gesù non sono mai enormi o assurde.

27ma domenica del tempo ordinario – Anno C



Dal vangelo secondo Lc 17,5-10


Gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: «Sràdicati e vai a piantarti nel mare», ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: «Vieni subito e mettiti a tavola»? Non gli dirà piuttosto: «Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu»? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».

Parola del Signore!

Enzo: Penso che ognuno di noi almeno una volta abbiamo usato la richiesta degli apostoli a Gesù: «Accresci in noi la fede!». A me è successo spesso, e mi sono accorto quanta poca fede guida i miei passi in questo mondo. Il Signore, penso, non mi ha accontentato eccetto in pochi momenti di esaltazione e di gioia.
Leggendo questo brano oggi ho trovato il motivo della grazia non ricevuta.

Penso di conoscere il vangelo, ma mi sono sbagliato, perso nell'infinita novità che esso contiene.  Mi vengono in mente due frasi che Gesù ha detto ai discepoli e alle folle lungo i suoi viaggi, due condizioni per credere veramente in Lui:
Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo”. (Lc 14,26)

Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”. (Lc 14,33)

Non può essere mio discepolo: come dire, non crede sufficientemente, ha qualcosa a cui tiene più che a me.

La risposta di Gesù agli apostoli e vale anche per noi è: "Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: «Sràdicati e vai a piantarti nel mare», ed esso vi obbedirebbe”. Impossibile, avranno pensato gli apostoli e forse anche noi con un sorriso sulle labbra, pensando all'impossibile. Gesù non chiede troppo, cos'è in fondo un granello di senape? Eppure, penso che la mia fede sia ancora più piccola.

Ho lavorato per il Signore, abbiamo lavorato per Lui, forse abbiamo pensato di sentirci dire :Bravo?

Ecco la mia scoperta del silenzio di Dio, sono le parole di Gesù nell'ultima riga del brano: quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Scopro così due condizioni che rendono possibili seguire Gesù: la fede e l'umiltà, basta una fede piccola, dono dello Spirito, e tanta umiltà che a me manca.

La fede è, quindi, necessaria per mettere in pratica le esigenze di Gesù, che non sono mai enormi o assurde.
Sappiamo che gli interventi salvifici di Gesù sono sempre legati alla fede. Anche se Gesù dice: “La tua fede ti ha salvato”, è chiaro che non è la fede dell’uomo che salva, ma la potenza di Dio. La fede però è la condizione, senza la fede anche la potenza di Dio si annulla, perché Lui rispetta la nostra libertà. 

Aver fede significa riconoscere la nostra impotenza e, nello stesso tempo porre tutta la fiducia nella potenza del Signore.
Ma se la fede è tutto questo, allora è anche chiaro che non è qualcosa che possiamo ricavare da noi o costruire da soli, ma abbiamo il diritto di chiedere, chiedere e lavorare sodo per il Regno di Dio.
Chiedere la fede con insistenza anche se ci sembra di averne tanta: la fede ci farà capire parte dell'immensità di Dio: chiediamola per noi e anche per gli altri, amici, figli, persone che conosciamo. Lo ha fatto Gesù stesso nei confronti di Pietro: “Simone, ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno” (Lc 22,32).

Un'ultima considerazione: la parabola parla di servitori che tornano dal lavoro e, anche se stanchi e affaticati, devono come prima cosa servire il padrone.

Indirizzata agli apostoli, questa parabola avverte i capi della Chiesa e tutti coloro che sono stati chiamati a diffondere il Regno di Dio. Non ci si può fermare, non possiamo mai fermarci e riposarci nella convinzione di avere già lavorato abbastanza. E noi pensiamo di appartenere a questa categoria?

Questa piccola parabola, non intende descriverci il comportamento di Dio verso l’uomo, ma indicarci come deve essere il comportamento dell’uomo verso Dio: totale disponibilità, senza calcoli, senza pretese, senza contratti.
Non si entra nello spirito del vangelo con l'animo del salariato: tanto di lavoro e tanto di paga, nulla di più e nulla di meno. Dopo una giornata piena di lavoro, non diciamo mai “ho finito”, non accampiamo diritti. Abbiam fatto il nostro dovere, siamo soltanto dei servi, ma allo stesso tempo siamo anche figli di Dio.

Se la nostra fede è autentica, basta poco per ottenere da Dio, nostro Padre misericordioso, il superamento di qualunque ostacolo; non è necessario moltiplicare le opere, ma l’amore e sopportare un po' di croce.


Mariella:  Il tema dominante nel brano evangelico che la liturgia ci presenta oggi è senza dubbio la fede. Il dialogo questa volta avviene fra Gesù e gli Apostoli, i quali preoccupati dalle esigenti richieste del Signore, rivolte a chi decide di seguirlo, si accorgono di non aver sufficiente fede per abbandonarsi totalmente alla sua volontà.
Per questo rivolgono al Maestro una domanda che mette in evidenza la loro inquietudine: “Accresci in noi la fede”

Essi dunque chiedono una fede più grande, più forte, ma come risponde Gesù alla loro richiesta?
Forse ci saremmo aspettati che impartisse loro una benedizione speciale, mentre invece risponde assicurando che non occorre una grande fede per rendere la propria vita straordinaria, basta una piccolissima fede; appena grande come un granello di senape, per compiere grandi cambiamenti in noi e nel mondo.

Sappiamo che la fede è un dono, ma questo dono va continuamente alimentato, accresciuto, trasformato. La fede non si può quantificare, non abbiamo un dosatore che la misura, non è tanto la quantità, è la qualità della nostra fede che deve aumentare.
Infatti, molte volte quando la nostra fede viene messa a dura prova da difficoltà impreviste, o sofferenze inattese, anche la fede più grande può vacillare. Aver fede invece è progredire nella convinzione che il Signore ci guida nel mondo anche nelle situazioni che noi riteniamo più assurde, più insostenibili, più penalizzanti.

Aver fede è tentare di superare con il suo aiuto il nostro scoraggiamento e i nostri pregiudizi per riuscire a servirlo con libertà, fidandoci di Lui e credendo che tutto è sopportabile e superabile con il suo aiuto, la sua vicinanza, il suo amore.

I servi obbedienti sanno servire senza chiedere nulla in cambio, senza pretendere. Il servizio è un atto gratuito, se fatto con fedeltà e fiducia arricchisce e rafforza la fede, la quale a sua volta frutterà opere di carità e misericordia.

Sono proprio le difficoltà della vita a farci accrescere la fede, è proprio questo continuo esercizio nel fare la volontà di Dio, spesse volte diversa dalla nostra, per poi riconoscere che in tutta la fatica il Signore non ci ha mai abbandonato, che ci fà conquistare terreno e ci fà avanzare nel nostro cammino di fede consapevole e convinta

Io posso testimoniare che è proprio grazie a prove non facili da superare, che ho accresciuto in me la fede e molte volte mi sono detta come disse Giobbe: "Signore, prima ti conoscevo per sentito dire, adesso ti conosco perchè ti ho incontrato!"



Per chi vuole ancora approfondire nella pagina di Padre Augusto Drago un bello e profondo commento biblico.


venerdì 23 settembre 2016

Si può essere ricchi e contemporaneamente discepoli di Gesù?

C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti...

Domenica 26ma del tempo ordinario - Anno C


dal Vangelo secondo Lc 16,19-31

C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: «Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma». Ma Abramo rispose: «Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi». E quello replicò: «Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento». Ma Abramo rispose: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». E lui replicò: «No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno». Abramo rispose: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti»».

Enzo: In questa parabola riportatata dall'evangelista Luca Gesù si rivolge ai farisei, i quali pensavano di essere giusti solo perché osservavano meticolosamente la legge. I significati di questa parabola sono chiari: ricorda il buon uso della ricchezza e della premura verso i bisognosi, insegna che con la morte c'è il giudizio divino, irrevocabile. Ma sopratutto è un invito alla conversione che non sempre avviene mediante segni straordinari.

Come nelle Beatitudini, Gesù mostra ai suoi interlocutori il contrasto esistente tra ciò che avviene in questo mondo e nell'eternità. Sulla terra il contrasto tra ricchi e poveri è marcatamente a favore dei ricchi, nell'eternità si capovolge la situazione: chi prima godeva oggi soffre e chi era indigente ora è felice.  Dio giudica diversamente da noi e la storia va a finire diversamente da come i furbi immaginano; i superbi e potenti sbagliano, pensando che la ricchezza è segno della benevolenza divina, come era convinzione ai tempi di Gesù. Oggi potremmo dire che la ricchezza è diventata un idolo per molti: tutti la vogliono, tutti la cercano e questo affanno rende ciechi e indifferenti.

Spesso ho sentito dire che Dio nel momento della morte provvede alla nostra salvezza facendoci vedere tutto il male che abbiamo fatto e chiamandoci alla conversione. Il brano che abbiamo letto non sembra dire questo.

Nella seconda parte appare un altro quadro: il ricco, condannato per sempre, vorrebbe che i suoi fratelli fossero avvertiti della sua situazione in modo da cambiare modo di vivere. «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro».«Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti»». Sono le risposte di Abramo.

Gli insegnamenti non mancano, ciò che manca invece è il coraggio, la fede, la libertà per vedere e comprendere. Un esame anche per noi...
Chi vive da ricco è cieco, abbiamo detto, non vede il povero che gli sta accanto, lo evita.

Il ricco della parabola non osteggia Dio e non opprime il povero: semplicemente non li vede, vive soddisfatto nel suo mondo.

Attenzione: il brano del vangelo non condanna la ricchezza, ma la ricchezza usata male, la ricchezza idoladrata, la ricchezza come ultimo scopo della vita, la ricchezza che non cede al bisognoso nemmeno le briciole che cadono dalla mensa, la ricchezza che non sa vedere il prossimo e nel prosssimo Gesù.

Il povero viene ricordato con il suo nome, a memoria dei posteri. Il ricco non ha nome, non merita di essere ricordato.  Sul ricco si posano i nostri occhi per meglio capire il messaggio della parabola.


Commenta sant'Agostino:
È salutare per noi l'esempio del ricco epulone.
Ecco, avete udito or ora dal Vangelo due specie di vita: l'una presente, l'altra futura; la presente la possediamo, la futura la crediamo: siamo nella presente, non siamo giunti alla futura. Mentre siamo nella presente, cerchiamo di procurarci la ricompensa di quella futura, poiché non siamo ancora morti. Si legge forse il Vangelo nell'inferno? Anche se laggiù venisse letto, quel ricco lo avrebbe udito inutilmente, poiché non poteva più essere fruttuoso il pentimento. A noi invece viene letto e da noi viene ascoltato qui sulla terra ove, finché viviamo, possiamo correggerci, per non andare a finire in quei tormenti. Crediamo o non crediamo ciò che si legge? Lontano da noi il pensare della Carità vostra che non crediate; poiché siete cristiani e non lo sareste, se non credeste al Vangelo di Dio. Poiché dunque siete cristiani, è evidente che credete al Vangelo. 

 
Mariella: la ricchezza in sè non è un male, lo abbiamo ribadito molte volte, quello che è male è non accorgersi delle necessità degli altri. Se uno ha dei beni in abbondanza, come può goderseli in santa pace, sapendo che accanto a sè c'è chi muore di fame? Ed anche se possiede poco, la cosa non è molto diversa, perchè quel poco comunque si può condividere e noi sappiamo che molti poveri a volte sono più generosi dei ricchi, perchè sanno condividere con maggior slancio quanto possiedono.

Non servono fatti straordinari per raggiungere la salvezza, e la parabola di oggi lo ribadisce: serve guardarsi attorno e ascoltare la voce degli ultimi, è infatti l'amore che ci salva e ci conduce tra le braccia del Padre. 

Possedere da 'distaccati', da 'poveri in spirito', con il cuore libero, diventa occasione di colmare i tanti vuoti dei miseri. Diventa un bene per chi non ha, diventa occasione vera di fraternità, di comunità, di fede nella provvidenza di Dio. Purtroppo molto spesso non ne siamo capaci di distacco vero dai beni che ci danno false sicurezze, siamo e restiamo schiavi dei beni che passano, senza guardare a quelli che restano. 

Finché siamo quaggiù abbiamo tempo per compiere il bene, e in tal modo guadagnarci la felicità eterna: poi sarà troppo tardi.

Preghiamo perché nessuno di noi si trovi nei panni del ricco epulone, il quale è rimasto indifferente a ciò che lo circondava e per questo, dall'inferno invoca una goccia di acqua, quando qui ne aveva in abbondanza da dissetare tanti…auguriamoci piuttosto di essere nei panni del povero Lazzaro, che riposa nelle braccia di Dio.........................



Vi invito a leggere anche il commento di Padre Augusto Drago nella pagina a Lui dedicata

sabato 17 settembre 2016

Amare Dio è libertà, amare la ricchezza viceversa è diventare schiavi di tutto


Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera?

25ma domenica del Tempo ordinario – Anno C




Dal vangelo secondo Lc 16,1-13

Diceva anche ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: «Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare». L'amministratore disse tra sé: «Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua». Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: «Tu quanto devi al mio padrone?». Quello rispose: «Cento barili d'olio». Gli disse: «Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta». Poi disse a un altro: «Tu quanto devi?». Rispose: «Cento misure di grano». Gli disse: «Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta». Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Non potete servire Dio e la ricchezza
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».



Parola di Dio!

Enzo: La prima reazione, leggendo questo brano, suscita perperplessità: è possibile che Gesù presenti un uomo disonesto come modello da imitare imparandondo da lui? Ripensandoci e riflettendo dopo una lettura più attenta vediamo che Gesù non approva la falsificazione dei conti, ma l'elogio si riferisce alla “scaltrezza” e all'accortezza del comportamento , non alla disonestà.
Per noi che seguiamo Gesù si tratta di una esortazione che ci ssuggerisce come usare il denaro, con accortezza , con la medesima risolutezza nella prospettiva del Regno.

IL confronto tra l'amministratore e il seguace di Gesù è sull'uso del denaro. L'amminstratore disonesto usa il denaro (non suo) per farsi degli amici e provvedere così al suo futuro su questa terra, non sapendo fare altro mestiere. A lui interessa vivere bene anche dopo il presunto licenziamento.
Il cristiano deve pensare al suo avvenire eterno adoperando i suoi beni per aiutare quelli più poveri di lui, in modo che essi lo accolgano un giorno nel regno futuro. Considerare il denaro, i beni di questo mondo come un mezzo e non come un fine vuol dire fare i furbi, agire con disonestà. Guai ad attaccarsi al denaro, farsi schiavi di esso...perché a questo si può arrivare molto facilmente: il denaro fà in fretta ad attacarsi alle mani di chi lo maneggia.


Alla disonestà che qualifica l’amministratore e il denaro, la parabola oppone la fedeltà richiesta giorno per giorno per amministrare sia i beni spirituali che quelli materiali.”Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti”.
Ed è appunto la scaltrezza o avvedutezza l'insegnamento che Gesù ricava dalla parabola  per i suoi discepoli, avvertendo però subito che quella domandata ai figli della luce dovrebbe essere maggiore e soprattutto diversa da quella dei figli di questo mondo.

Gesù è chiaro; Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
I beni materiali possono acquistare una valenza positiva, se usati in modo corretto, cioè se vengono condivisi con i bisognosi. 

La ricchezza personificata (Mammona)  è ingiusta perché acquistata e usata egoisticamente senza curarsi del prossimo: è il peccato di oggi, del mondo della globalizzazione.
La contrapposizione non è tanto fra ricchezza e Vangelo, quanto fra i principi ispiratori della gestione della ricchezza: si arriva veramente a farne buon uso quando dai criteri del possesso smoderato si passa a quello che Dio vuole dall'uomo: la ricchezza è di tutti, appartiene a tutti, va condivisa con carità e amore.

Così Sant'Agostino:


Dobbiamo rivolgere a voi gli ammonimenti che vengono fatti a noi stessi. Il passo del Vangelo letto poc'anzi ci esorta a farci degli amici con la ricchezza ingiusta, affinché anch'essi accolgano nelle tende eterne coloro che se li fanno amici.

Chi sono coloro che avranno le tende eterne, se non i fedeli servi di Dio? E chi sono coloro che saranno accolti dai santi nelle tende eterne, se non coloro che rivolgono ogni cura alle loro necessità e con gioia somministrano loro ciò di cui hanno bisogno? Ricordiamoci dunque che nel giudizio universale il Signore, a quelli che staranno alla sua destra, dirà: Avevo fame e mi avete dato da mangiare , e tutto il resto che sapete”.


E' ricco chi possiede molto e non ne fa uso giusto, ma è anche ricco il povero attacato a quel poco che possiede: avere è condividere!

Mariella: Anche oggi il Vangelo c'invita a valutare le cose in cui crediamo e confrontare la nostra vita e le nostre scelte con la logica del Regno. Non illudiamoci di raggiungere la perfezione, il Signore conosce i nostri limiti ed i nostri difetti, siamo un popolo di peccatori, chiamati ogni giorno a rivedere il nostro cammino, i nostri pensieri alla luce della Parola, invitati continuamente a far esperienza della misericordia divina, attraverso la quale purificare il nostro cuore e aumentare la nostra fede.

Il Vangelo ci guida nel cammino, liberandoci da tutto ciò che ci chiude in noi stessi, nei nostri egoismi, nelle nostre illusioni, per aiutarci a comprendere i veri valori della vita.
Amare Dio è libertà, amare la ricchezza viceversa è diventare schiavi di tutto ciò che ci lega a questa terra ed alla sua caducità.

Se vogliamo credere che la nostra vita non termina con gli anni che ancora ci restano da vivere, non possiamo costruirci idoli attraverso i quali far crescere la nostra onnipotenza, dobbiamo cercare le cose di lassù, quelle che restano e che contano, quelle che potremo presentare a Dio quando ci verrà chiesto come abbiamo speso i nostri giorni.

E poiché saremo giudicati sull'amore che avremo saputo dare agli altri, dobbiamo imparare a vivere condividendo i doni che gratuitamente abbiamo ricevuto.

La parabola contenuta in questo brano evangelico non è di facile comprensione, il suo significato però si chiarisce se teniamo presente che nel mondo mediterraneo orientale l'amministratore si pagava da sé, aumentando la quota di sua competenza su quanto era dovuto al proprietario.. Quindi, in questo caso, l'accusa che viene rivolta dal padrone all'amministratore, è proprio quella di trattenere troppo per sè, danneggiando il proprietario.

Per questa ragione l'amministratore riflette e decide di diminuire a ciascun debitore il dovuto, non sottraendo denaro al padrone, ma rinunciando esso stesso ad arricchirsi.
Ecco perché viene elogiato dal proprietario e nuovamente confermato come amministratore, egli infatti dopo aver riflettuto ha rinunciato al proprio arricchimento favorendo gli altri con la sua scelta onesta e saggia.

Questo insegnamento è quanto mai valido per tutti i discepoli di Gesù e li incoraggia a far buon uso dei beni loro affidati e li incoraggia alla condivisione per il bene di tutti.
Certamente solo chi fa esperienza dell'amore del Padre può gustare con gioia la condivisione dei doni ricevuti con i fratelli.

Facciamo nostra una bellissima preghiera scritta da don Tonino Bello, che vuole aiutare la Chiesa intera e noi inseriti nel suo contesto, ad aprirsi alla gioia vera dell'amore che non conosce confini e che non dimentica i suoi figli più piccoli e bisognosi.

“Santa Maria, donna itinerante, concedi alla Chiesa la gioia di riscoprire, nascoste tra le zolle, le radici della sua primordiale vocazione...
Quando la Chiesa si attarda all'interno delle sue tende,
dove non giunge il grido del povero,
dalle il coraggio di uscire dagli accampamenti.
Madre itinerante, come Te, riempila di tenerezza verso tutti i bisognosi. Fa' che non sia di nient'altro preoccupata che di presentare Cristo,
come facesti con i pastori, i Magi e tanti che attendono la redenzione”

sabato 10 settembre 2016

Dio dimostra il suo amore ancora prima del nostro pentimento





La nostra attenzione si concentri sulla gioia di Dio per la conversione del peccatore, non sull’azione del peccatore che si converte. 

 
Domenica 24ma del Tempo Ordinario – Anno C



Dal Vangelo secondo Luca 15,1-32
 
Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola:

«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l'ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: «Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta». Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione



Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: «Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto». Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».



Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: «Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta». Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati». Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». Ma il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». E cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: «Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo». Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso». Gli rispose il padre: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

Parola del Signore!


Enzo: Il capitolo 15 da cui è tratta la lettura evangelica di questa domenica è stato definito da un
moderno esegeta «il cuore del terzo vangelo», quasi «il vangelo del vangelo». Gesù vuole impartire
il suo particolare insegnamento sopra un tema assai importante, un'esposizione dottrinale racchiusa in tre parabole, che possiamo chiamarle parabole della misericordia,



All'inizio del capitolo, versetti 1-2 si ripete una scena vista altre volte: Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Pubblicani e peccatori, scribi e farisei danno l'occasione a Gesù ancora una volta di smontare la tensione con i suoi avversari, scribi e farisei, che non accettano che Gesù accolga i peccatori e mangi con loro. Non è che i farisei escludessero definitivamente i peccatori, volevano però che il comportamento di Dio nei loro confronti fosse severo e che, di conseguenza, i peccatori per ritornare nella comunità dovessero pagare un prezzo di penitenza, di opere e di osservanze. Non accettavano il comportamento benevolo di Gesù.



Gesù ancora una volta parla in parabole: tre parabole che hanno come scopo annunciare la misericordia di Dio verso i peccatori.Queste parabole sono quelle della pecora smarrita e poi ritrovata, della moneta perduta e ritrovata, più quella del figlio prodigo che il padre riaccoglie con gioia.



Sappiamo da cristiani che il Padre non gode per la rovina dei suoi figli, ma vuole che si salvino e grandemente gioisce quando il suo piano si realizza: rinfreschiamo un tantino la nostra memoria. Oggi Gesù sta parlando a noi, forse scribi e farisei del nostro tempo, o cristiani deboli, peccatori bisognosi di misericordia.



In tutte e tre le parabole viene messa in evidenza la gioia di Dio per la conversione del peccatore.
1)     Nella conclusione della prima si legge: “Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di penitenza”.
2)     Nella conclusione della seconda: “C’è gioia davanti a Dio per un solo peccatore che si converte”.
3)     Nella terza parabola manca la parola gioia, però si parla di festa: “Facciamo festa, poiché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita”.



La nostra attenzione si concentra sulla gioia di Dio per la conversione del peccatore, non sull’azione del peccatore che si converte. Si racconta ciò che prova Dio, non ciò che il peccatore deve fare, il discorso è teologico non morale. La novità della rivelazione evangelica riguarda in primo luogo il comportamento di Dio che non fa morale ma che cerca il peccatore e gioisce del suo ritrovamento e invita tutti a gioire con Lui: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”, e “vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte”. Terra e cielo fanno festa!!!



Le prime due parabole sono anche un invito alla comunità ecclesiale, e in particolare ai suoi responsabili, perché vadano alla ricerca degli smarriti, imitando in questo il Signore Gesù.



La terza parabola, quella del Padre e dei due figli, vede sempre al centro la figura del Padre, richiama l'attenzione di Dio di fronte ai due figli, e dei due figli verso il Padre.
Il padre non cessa di amare il figlio che si è allontanato e continua ad attenderlo, non gli interessa ciò che ha fatto, soffre per la sua lontananza, e al suo ritorno dimostra che il suo amore era prima del pentimento, gli corre incontro con gioia: la pazienza di Dio non rinnega mai i suoi figli!!! Dio fa festa!



Il figlio maggiore, anziché godere della gioia del padre, ne prova irritazione. La gioiosa accoglienza riservata al fratello minore gli dà l’amara sensazione che la sua fedeltà di rimanere in casa sia del tutto sprecata. Se il peccatore è trattato in quel modo, a che serve essere giusti? Questo figlio giusto e osservante non conosce suo padre e ragiona come se la fedeltà fosse un peso e la compagnia del padre una fatica. Assomiglia agli scribi e farisei che mormoravano perché Gesù accoglieva i peccatori.



Lo stesso amore che ha spinto il padre a correre incontro al figlio minore, lo spinge ora a uscire e a pregare il figlio maggiore di lasciar perdere le proprie rimostranze e di far festa insieme. Il padre vorrebbe riunire i due figli, unendoli a sé e tra di loro. Vorrebbe che scoprissero la sua paternità e la loro fraternità. Così è Dio.



Il figlio maggiore si è lasciato convincere? E’ entrato in casa a far festa? Non lo sappiamo. La conversione del giusto è, a volte, più difficile di quella del peccatore.

Se oggi abbiamo invocato su di noi la missericordia del Padre celeste....
OGGI IN CIELO E' FESTA.

Mariella
Anche nel capitolo 15 di Luca, come nel 14°, l'insegnamento di Gesù si articola durante un banchetto, ma mentre nel precedente Gesù pranzava con i farisei, qui Egli pranza con i peccatori, farisei e scribi sono in distanza e indignati commentano il suo comportamento. In verità Gesù sta semplicemente mettendo in pratica il suo insegnamento precedente, cioè invitare i poveri, gli emarginati, gli ultimi, mettendoli ai primi posti, dando loro l'attenzione dovuta.

Questo gesto trova resistenza da parte dei “giusti” essi infatti non condividono la gioia di Dio, che consiste proprio nel ritrovare coloro che erano perduti. Per far capire loro il cuore misericordioso del Padre, Gesù racconta le tre parabole che sono considerate il “Vangelo nel Vangelo” in esse infatti è contenuto un grande invito a cambiar mentalità, a trasformare il cuore di pietra in cuore di carne, in poche parole a condividere la sua gioia, condizione indispensabile per entrare in comunione vera con Lui. Se non si giunge a questa conversione, non ci si può aprire al grande dono della misericordia, che Dio ci offre per primo, invitandoci ad usarla verso i fratelli. 
 
Il tema dominante delle tre parabole è lo stesso: cercare la pecora smarrita e riportarla in braccio all'ovile, cercare la dragma caduta e far festa per averla ritrovata, attendere il figlio prodigo e restituirgli la dignità di figlio molto amato. E' la gioia del Padre che riesce ad occupare anche l'ultimo posto vuoto intorno al tavolo della sua mensa, perché desidera che tutti i suoi figli si salvino e condividano con Lui la festa.

C'è poi da sottolineare il binomio perduta/ritrovata, la pecora perduta è il peccatore che si converte; la pecora ritrovata deve farci pensare all'accoglienza del peccatore pentito nella comunità dei credenti.
Quindi ogni “giusto” e' invitato a capire, riflettere e imitare questo amore disinteressato e a prima vista ingiusto o per dir meglio scandaloso, di un Padre che va verso chi non meriterebbe la sua attenzione ed il suo perdono.

Il salto di qualità sta nel pentimento del peccatore, lo spiega molto bene la terza parabola, il figliol prodigo, infatti le sue parole: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio.” manifestano la consapevolezza che lontano da Dio non c'è futuro. Il peccatore che si converte ritrova il Padre a braccia aperte che lo attende, mentre




il figlio maggiore che si crede “giusto” e vanta pretese nei confronti del fratello, rinuncia alla gioia più grande, sentirsi amati gratuitamente nonostante i nostri limiti e le nostre colpe.


Per chi volesse approfondire ancor meglio il significato di questo brano evangelico può leggere il commento di Padre Augusto Drago nella sezione a Lui dedicata.




giovedì 1 settembre 2016




Non può essere mio discepolo chi...
Dal vangelo secondo Lc 14,25-33





Una folla numerosa andava con lui. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 27Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.

Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: «Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro». Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

Parola del Signore!

Enzo:Non siamo più nella casa del fariseo di domenica scorsa, ma sulla strada e Gesù questa volta parla alla folla, non più a scribi e farisei. E' la folla che segue Gesù, la folla che crede in Lui e in qualche modo suscita i favori, i miracoli di Gesù.E' la folla di cristiani di oggi alla quale la Parola eterna parla, consiglia, indirizza.

Il tema di questo brano è la condizione necessaria per essere discepolo di Gesù. Non è un tema nuovo ma è trattato con forza e una radicalità che non si trova altrove nei vangeli, è ilmessaggio nel quotidiano, nel vivere ogni giorno.

Non so quanti di noi capiscano in pieno questo messaggio o meglio trovino in esso un ideale di vita da perseguire: Gesù invita a rompere tutti i legami familiari, a rompere il legame con se stessi:
Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo”. E' senza dubbio un invito inquietante.
All'origine l'nvito di Gesù era senza dubbio rivolto ai discepoli misssionari itineranti, i quali dovevano abbandonare tutto per annunciare dovunque l'arrivo del regno di Dio, ma la comunità cristiana ha poi inteso questo detto come rivolto a tutti , non solo al missionario itinerante, come condizione di ogni discepolo. L'invito di oggi è rivolto alle folle, cioè a tutti.
Questa è la croce di Gesù che offre Gesù ad ogni suo discepolo, condizione senza ma: “Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo”.

Troppo duro questo discorso per noi poveri uomini 

che difficilmente rinunciamo alle nostre ambizioni, e 

guai a fermarsi e non guardare umilmente alla 

misericordia divina ogni volta che ci allontaniamo

 dal  Maestro e afferrarsi alla fede che ci è stata donata. 

 
  Ma chi ha seguito e segue la strada annunciata prova delle emozioni che ripagano mille e mille volte le rinuncie fatte, perché Gesù ci chiede di amarlo più di ogni altra cosa, non di rinunciare ad amare. E questo ci dona serenità nel dolore, nel sacrificio,nelle difficoltà della vita, davanti alla morte.


Anche le parabole che seguono (della torre e del re) devono essere lette nel contesto delle condizioni per seguire Gesù, cioè nel contesto della rinuncia: la sequela non è fatta per i superficiali, per gli irriflessivi e per i presuntuosi. La conclusione “così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo” conclude le due parabole e dell’intera pericope. Solo nel distacco dai beni o alla rinuncia di essi è possibile essere discepoli. Sarà così possibile il dono totale finire la torre e vincere l’esercito nemico.

                                                                               


Mariella:   Gesù, vedendo che la folla si accalcava dietro di lui e lo seguiva, desidera renderla responsabile di ciò che significa essere suoi discepoli. Egli non vuole seguaci fanatici, ma vuole gente responsabile e sicura delle proprie scelte, non vuole facili entusiasmi, cerca invece adesioni meditate, consapevoli e libere.    Egli non cerca la quantità, ma la qualità e per questo indica tre condizioni indispensabili per la sequela.  

Prima condizione: per seguirlo bisogna aprire il cuore, non chiuderlo all'amore.  Gesù non ci chiede di rinunciare ad amare i nostri cari, ci chiede un supplemento d'amore, amare prima di tutto Lui per saper amare in modo più giusto gli altri.  Gesù è la garanzia che se stai con Lui, se lo porti sempre nel tuo cuore, se ascolti la sua Parola fino a farla diventare Legge, i tuoi rapporti con gli altri saranno migliori, più equilibrati e sinceri.    

Seconda condizione: bisogna essere capaci di portare la propria croce.  Cosa s'intende per croce?  Croce significa amore senza misura, senza rimpianti, senza ricatti, senza tradimenti, senza rinnegamenti. Significa accettare la inevitabile porzione di sofferenza che ogni amore comporta, altrimenti non può essere vero amore. 

Terza condizione: saper rinunciare a ciò che si ha per il bene dell'altro, uscire cioè dall'ansia del possedere, dall'egoismo, dall'egocentrismo, saper guardare oltre noi stessi, curare la qualità dei sentimenti, imparare ad amare di più anzichè possedere di più.   Ecco perchè Gesù c'invita prima di tutto a prendere tempo e calcolare bene il costo di una scelta così radicale.  Non è un semplice calcolo, è un'equazione difficile ed impegnativa, perchè richiede la fiducia e l'abbandono totale in quel Gesù che vogliamo seguire!

Ricordiamo la preghiera, che dovremmo fare nostra, del cardinal Newmann:
"Conducimi per mano, Luce di tenerezza,
fra il buio che mi accerchia, conducimi per mano.
Guida il mio cammino: non pretendo di vedere orizzonti lontani,
un passo mi basta.
Un tempo era diverso, non Ti invocavo,
perché Tu mi conducessi per mano.
Amavo scegliere e vedere la mia strada,
ma adesso conducimi per mano.
Sia su di me la Tua potente Benedizione
e sono certo che essa mi condurrà per mano,
finché svanisca la notte e mi sorridano all'alba
volti di angeli amati a lungo e per un poco smarriti."

Inoltre, nella pagina di Padre Augusto, potrete leggere il suo bellissimo commento