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sabato 25 luglio 2015

«Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?».



 
Gesù incomincia a svelare la sua vera identità . 
  
Domenica 17.ma del tempo ordinario: Anno B – 26 luglio 2015



Dal vangelo secondo Giovanni 6,1-15

Dopo questi fatti, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi.
Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli.
Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?».
Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere.
Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro:
«C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?».
Rispose Gesù: «Fateli sedere».
C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.
E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla
vada perduto».
Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!».
Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

PAROLA DEL SIGNORE!


Mariella: Con questa domenica s'interrompe la lettura del Vangelo di Marco per sostituirlo col cap. 6 del Vangelo di Giovanni, poiché la brevità del Vangelo di Marco non fornirebbe un numero sufficiente di brani per coprire l'intero ciclo delle domeniche del tempo ordinario, ma è importante che noi leggiamo questo brano nel contesto di un cammino tracciato da Marco, che ci conduce ad essere autentici annunciatori di Cristo.
Tutto è finalizzato alla pedagogia della fede a cui Gesù vuole condurre i suoi discepoli.   Gesù è il dono di Dio per il mondo: più di Mosè, più della manna nel deserto, più della Legge, Egli è carne e sangue donato per la vita del mondo. Aprirsi ad accogliere Lui, non accontentarsi delle cose, pure se necessarie, ma ancora non sufficienti a riempire il bisogno di vita che l'uomo avverte dentro di sé, è il cammino che Egli vuole che i suoi discepoli percorrano.
Gesù vedendo la folla che lo cerca, "come pecore che non hanno pastore", si commuove interiormente e dona il pane vivo di cui ha bisogno.

Tutto inizia dal fatto che "Gesù andò all'altra riva del mare di Galilea, e una grande folla lo seguiva perché vedeva i segni che faceva sugli infermi": sembra che Gesù voglia prendere le distanze dalla folla. Una folla che cercava segni, ma in realtà che cosa comprendeva? E perché lo seguiva?
Gesù vuole che la folla riviva l'esperienza del popolo nel deserto, quando Mosè, in nome di Dio provvede ai suoi bisogni: ma con la sua venuta nulla è come prima, tutto si rinnova, Egli è venuto per portare al mondo il germoglio di vita nuova, un germoglio che non è destinato a perire, ma è innestato nell'uomo perché questi abbia una vita senza fine.

In questo brano l'evangelista sovrabbonda di particolari, molto significativi, che andrebbero tutti sottolineati:
  "Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli": se il monte è il luogo dell'esperienza di Dio adesso Gesù la condivide con i suoi discepoli. 
 “Era infatti vicina la Pasqua, la festa dei Giudei": la Pasqua, la festa dei Giudei, è la memoria viva dell'esperienza di Dio che libera il suo popolo e lo nutre.

"Alzando gli occhi, dunque, Gesù, e vedendo che una grande folla veniva da lui...". Se Gesù è salito sul monte, avrebbe dovuto abbassare gli occhi per vedere sotto di sé la folla che si accosta a lui, e invece li alza. Semplicemente Gesù guarda in alto per vedere la folla con lo stesso sguardo misericordioso del Padre, unirsi al Padre per essere con Lui una cosa sola ed attingere da Lui la stessa compassione per quella folla che era come un gregge senza pastore.

Gesù non si rivolge alla folla ma a Filippo, per porgli una domanda sorprendente: "Da dove compreremo il pane perché questi mangino?" "diceva questo per tentarlo: egli sapeva quello che stava per compiere". Gesù "tenta" Filippo, vuole metterlo alla prova, quello che egli sta per compiere è, infatti, in una logica nuova, radicalmente diversa da quella che muove l'agire umano, l'agire umano è tutto legato al comprare, al possedere, all'avere, l'agire divino è concepito nella gratuità del dono: "gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date".

La risposta di Filippo rimane totalmente all'interno di una umana logica calcolatrice: "Duecento denari non sono sufficienti..." L'intervento di Andrea che segnala la presenza di un ragazzino che ha cinque pani d'orzo e due pesci, rimane tuttavia nella stessa logica di Filippo: "Ma che cos'è questo per tanta gente?" Eppure l'intervento di Andrea apre ad una prospettiva nuova, che è quella della condivisione a cui Gesù stesso pensava.
Possiamo riflettere dunque su due logiche diverse nell'affrontare la vita che si contrappongono una all'altra: da un lato l'agire dell'uomo possessivo, egocentrico, dominante che compra tutto e tutti, per avere sempre di più, dall'altro lato scopriamo l'uomo che vive la sua quotidianità spargendo intorno a sé amore, una vita ricca di doni da gustare, da condividere, da moltiplicare...
Comprare per avere, oppure accorgersi di avere ricevuto per condividere?  Ecco l'interrogativo chiave che deve restarci nel cuore.
Giovanni sottolinea la pochezza di quel ragazzino che possiede solo cinque pani e due pesci, li ha ricevuti e con cuore generoso li mette a disposizione di quella folla, dona quel poco che possiede. Gesù vede in quel giovane il dono del Padre: nei cinque pani d'orzo e nei due pesci accolti e ridonati c'è l'infinito amore di Dio, un amore che ha la forza di trasformare il mondo.

La parola di Gesù adesso si manifesta con tutta la sua "autorità": adesso la folla anonima si trasforma in popolo di Dio, nutrito da un pane non comprato, ma donato dall'infinito amore del Padre, attraverso quel ragazzino si manifesta la presenza e l'agire stesso di Dio nel mondo.

C'è anche un avvertimento a non sprecare: 'Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto.' ci sono dodici canestri di pezzi avanzati, uno per ogni tribù, segno di abbondanza dalla quale nessuno è escluso. E' la logica dell'amore che non accumula, non spreca, non trattiene, ma condivide tutto perché tutti possano ricevere lo stesso Amore che si dona senza misura, basta solo accoglierlo e volerlo!

La folla vorrebbe fare di Gesù un re: "ma egli...si ritirò di nuovo, sul monte, lui solo". Gesù non vuole potere, vuole solamente che i suoi discepoli imparino a credere nell'Amore. E fra questi discepoli ci siamo anche noi che vogliamo seguirlo.


Alla mia riflessione desidero unire anche quella di Padre Augusto, che sicuramente ci apre ad una miglior comprensione del brano

Guardate le folle che erano accorse nel deserto! Prima del cibo desiderano la Parola.  Gesù si mise ad insegnare molte cose!
Non chiedono nulla quelle persone. Sono affascinate dalla forza della Parola. Dimenticano persino che si è fatto tardi e non c'è nulla da mangiare! 

Gesù dona il Pane, il cibo. Parola e Pane: ecco la rivelazione del Bel Pastore!   Cristo non nutre la folla soltanto con il pane, ma anche con la sua Parola che è cibo.
Ed eccoci trasportati nel luogo epifanico per eccellenza: l'Eucaristia!
Che cosa è infatti l'Eucaristia se non il luogo dove il Cristo ci dona la Parola ed il Pane? 

La Parola è capace di radunare, di "fare" un popolo. Prima ancora di essere riuniti dall'esigenza del cibo, quegli individui sono riuniti dall'esigenza dell'ascolto della Parola! Come avremmo bisogno anche noi di conoscere Quella Parola! Come avremmo bisogno di comprenderla! Come avremmo bisogno di meditarla di più! 

Il luogo privilegiato dell'ascolto della Parola è la liturgia, soprattutto quella eucaristica, dove Parola e Pane sono fusi insieme in un solo momento epifanico.
Potremmo dirci cristiani senza conoscere le Sacre Scritture che contengono quella Parola? Potremmo dirci cristiani se ci accontentassimo solo del Pane? No! Parola e Pane vanno sempre di pari passo.


Enzo: In tutto il vangelo di Giovanni l’obiettivo di Gesù non è tanto quello di manifestare la sua compassione per la folla senza cibo quanto di svelare la sua vera identità, perciò l’evangelista ha relegato sullo sfondo i discepoli per incentrare tutta la sua narrazione sulla potente personalità di Gesù che dirige gli avvenimenti e li interpreta. La moltiplicazione dei pani e dei pesci diventa il punto di partenza per il grande discorso sul pane di vita che crea la prima crisi, (scisma!), tra i discepoli di Gesù: “da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui” (Gv 6,66).
Il raffronto biblico è quello dell’Esodo: nel deserto Dio dava la manna in quantità misurata, qui la dismisura è evidente nelle dodici ceste avanzate piene. Il racconto si riferisce  chiaramente all’Eucaristia: nell’ultima Cena è Gesù che distribuisce se stesso e non i discepoli come in questo brano che è un annuncio del grande dono di sé che Gesù farà.

Tutti gli evangeli riportano la moltiplicazione dei pani operata da Gesù; ciò ci dice quanto importante fosse questo avvenimento nella predicazione e formazione delle prime comunità cristiane e delle future.

Nei sinottici la moltiplicazione dei pani è chiamata «miracolo», nel quarto vangelo è uno dei segni operati da Gesù. L’inizio dei segni per Giovanni avvenne a Cana di Galilea e fu il segno del vino; quello dei pani occupa il posto centrale: due segni che annunciano, quale profezia, il futuro.

Il racconto della moltiplicazione dei pani ha una struttura lineare: introduzione storico-geografica (vv. 1-4), dialogo preparatorio (vv. 5-10), il pasto sovrabbondante (vv. 11-13),
la reazione della folla e di Gesù (vv. 14-15), pieno di particolari come ha detto Mariella.

Fin dall’inizio personaggio centrale è Gesù. Gesù è il personaggio che dirige tutto: vede la folla, interroga Filippo, ordina di far sedere la gente, conserva l’iniziativa anche per la distribuzione del pane: sapeva quello che stava per fare. In fine “saputo che stavano per farlo re” in senso politico inaccettabile per Gesù, si ritira sul monte. La curiosità non genera fede, non fa crescere lo spirito se cerca la propria soddisfazione, non riconosce l’identità della Parola.

Questo episodio è localizzato in Galilea. Riappare un’indicazione collegata  alla liturgia giudaica, Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Giovanni inquadra spesso i vari episodi della vita di Gesù nelle principali feste giudaiche. Qui Giovanni pone la moltiplicazione dei pani sotto il segno della pasqua Cristiana. L’episodio della moltiplicazione dei pani, non c’è dubbio, ha un chiaro significato pasquale e va compreso alla luce della Resurrezione di Cristo: Gesù, il risorto, inaugura la Nuova Alleanza nel segno della sua permanenza  nel mondo con il suo corpo, si era fatto uomo; con  il suo sangue, la sua morte in croce, segno di amore per l’umanità.

Il risultato di quanto è narrato dall’evangelista Giovanni è una bella, sana, gioiosa e inattesa sazietà gratuita per questa vita e per l’eternità. Un pane distribuito a tutti e anche se poco ne avanza per altri, per altri molti: dodici canestri, numero simbolico come quel settanta volte sette, per sempre. La generosità di Dio non ha limiti.

Lo stesso evangelista , più avanti in questo stesso capitolo, riporta ai versetti 53-58 queste parole di Gesù che annuncia indirettamente ciò che farà nell’ultima cena con rifermento implicito alla moltiplicazione dei pani e la sua distribuzione, all’esodo e a Cana.

Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita.  Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno.  Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.  Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui.  Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me.  Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».


Gesù si fa pane, pane che si dona e che non si compra. Ciò che era un segno ora è annuncio di eterna felicità: mistero divino, mistero di vita eterna per chi crede nelle parole di Gesù, e di condanna per chi si ostina a non credere.


venerdì 17 luglio 2015

Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato.


 
Erano come pecore che non hanno pastore

Domenica 16.ma del tempo ordinario Anno B: 19 luglio 2015



Dal vangelo secondo Marco 6,30-34

Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato.
Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte.
Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro,
perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Parola del Signore!

Enzo: Al centro di questo brano vediamo la persona di Gesù: vediamo due movimenti che vedono Gesù in relazione con i discepoli e successivamente con la folla.
Nella prima fase vediamo i discepoli ritornare da Gesù dopo essere stati inviati in missione. L’evangelista Marco a questo punto è parco nelle parole ma profondo nel significato, riferisce soltanto: “Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato”.

Marco non parla della gioia degli apostoli, ma li mette subito “attorno a Gesù” a significare la loro consapevolezza di avere compiuto una missione, una conferma alla motivazione della loro chiamata, un  chiarimento a  se stessi della propria identità di discepoli di Gesù Maestro, in comunione con Gesù. E’ molto bello questo umanamente , mostrare la gioia di appartenenza a Gesù: l’uomo, il discepolo che si avvicina quasi assimilandosi al divino maestro.

Gesù non è di meno, conosce la fatica e gli sforzi dei suoi discepoli, per la prima volta citati come apostoli, durante la missione e in quel presente in mezzo alla folla: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Il deserto, il ritirarsi in solitudine, nella preghiera è il vero riposo dopo le fatiche del giorno, riposo che rinfresca e rafforza per nuovi impegni.

Quel riposo non avviene perché la folla insegue Gesù e Gesù si commuove vedendo quella massa di gente senza pastore, senza una guida, solo attratta dalla personalità di Gesù: “ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore”. Gente abbandonata a se stessa, affaticata, in cerca di qualcosa che dia senso alla propria vita, gente che ha sete della Parola di un pastore che indichi loro la Via, la Verità e la Vita, di un pastore che non bada a se stesso che si dona, capace di “insegnare molte cose”.

Due movimenti dunque in profonda continuità: dai discepoli a Gesù e da Gesù alla folla. Da una parte l’invito di Gesù ai discepoli a stare con lui, ad una pausa di riposo; dall’altra parte sembra abbandonarli e disinteressarsi di loro per pensare alla folla e confondersi con essa.
Era l’abitudine di Gesù che ci lascia stupiti per il suo modo libero, spontaneo con cui  passa dalla solitudine alla folla e dalla folla ritorna alla solitudine della preghiera. Come se ciò non bastasse questa volta non bada alla stanchezza, tralascia la preghiera per immergersi tra la folla per consolarla, istruirla , indicare la salvezza: questa è compassione che diventa vera carità, vero amore.

E’ proprio vero che Gesù è un continuo esempio per chi lo incontra o risponde  alla sua chiamata. A questo punto dobbiamo chiederci e darci singolarmente una risposta: che cosa deve imparare il discepolo da Gesù? Una sola può essere la risposta: imitare Gesù.

Mariella:  Il breve brano che oggi meditiamo ci racconta il ritorno degli Apostoli dalla loro missione, lo stile è quello tipico di Marco, molto essenziale, che lascia libertà interpretativa da parte del lettore, condizionata ovviamente dalla sensibilità e maturità del cammino di fede raggiunto. Sullo sfondo della scena viene descritta tutta una comunità che si stringe intorno al Maestro ed ai suoi discepoli, che vive esperienze esaltanti e anche le prime delusioni, una comunità che cerca una guida sicura perché in verità non ha  un vero orientamento.

C'è una cosa che dobbiamo subito rilevare: ed è la differenza fra gli Apostoli che tornano pieni di entusiasmo ed apprensione circa l'esito della predicazione ed un Gesù che sembra quasi indifferente, staccato nel valutare i risultati della loro missione. Non un apprezzamento in merito, non un giudizio.  In Lui c'è un unico interesse: la conversione vera di quelli che saranno i primi pastori della sua Chiesa nascente, una conversione che si può ottenere solo con una intimità stretta con il Signore, un deserto che li allontani dalle loro preoccupazioni immediate, legate ad un successo od insuccesso personale e che li proietti invece verso uno spirito diverso, che non è quello del “tutto e subito” ma è quello del abbandono fiducioso nell'azione dello Spirito Santo, che passa attraverso l'uomo che si rende disponibile a servire Dio in umiltà, per raggiungere chiunque abbia bisogno di essere salvato.  Egli indica ai suoi discepoli la necessaria "terapia" affinché il loro ministero sia fruttuoso ed edificante per tutti ed essi stessi ne traggano vantaggio, senza cadere nella tentazione di confondere la missione con l'autoesaltazione.

Gesù dunque non vuole che gli Apostoli vivano l'ansia del risultato, ma desidera che gustino la gioia del vivere insieme a Lui, vivere un'esperienza personale con la fonte vera della luce e della pace.   Solo questa è la via attraverso la quale ogni pastore conquista la propria identità per essere risposta autentica alla domanda della folla.  Si tratta di gustare un'esperienza di cui il mondo agitato è in ricerca e che può trovare soltanto nell'incontro con Lui.

 Nel Vangelo si legge: "Molti però li videro partire e capirono e da tutte le città, accorsero là a piedi e li precedettero". Molti dunque compresero il senso di ciò che accadeva, molti si accorsero che là qualcosa d'importante stava avvenendo, molti corsero per non lasciarsi sfuggire quell'unica occasione di riscatto.

Gesù ne ebbe compassione, il suo sguardo, allora come ora,  raggiunge sempre la fragilità dell'uomo, un uomo che manca di punti di riferimento, un uomo che è allo sbando, che è nelle tenebre e cerca uno spiraglio di luce, un uomo che ha sete di cielo e ha sete di Dio.  La preoccupazione principale di Cristo è insegnare , la sua missione è quella di portare nel cuore di ogni uomo la Parola di Dio, in ogni tempo e in ogni luogo, una missione mai terminata che si esplica nel corso dei secoli e si estende fino agli estremi confini della terra.  Questo è il compito che Egli, salito al cielo,  affida ad ogni Pastore

Pertanto non va dimenticato che la preghiera di ogni comunità cristiana si deve fare sempre più pressante per coloro che il Signore ha scelto come guida del suo popolo. Compito fondamentale di ogni comunità è pregare quotidianamente per il proprio pastore perché ci sia una comunione piena e veritiera con Cristo.  Se questo manca il pastore non è in grado di guidare il gregge a lui affidato. 

Unisco al mio, un breve commento di Padre Augusto:
Vorrei fermarmi un attimo su una espressione del vangelo riferita a Gesù.
Il vangelo dice che Gesù vedendo la folla ne ebbe compassione! La compassione di Gesù!
Sapete che cosa significa questo termine nel linguaggio biblico?

Il termine è tipicamente femminile. Alla lettera bisognerebbe tradurre con "viscera di misericordia".
Le viscere materne là dove viene concepita, custodita e cresciuta la vita.
C'è qualcosa di femminile anche in Gesù: Egli sentì muoversi le viscere da cui proviene la misericordia che dona la vita.
Nella Bibbia la sede della vita è il cuore e la sede dell'Amore sono le viscere. Anche nel nostro linguaggio diciamo spesso "amore viscerale".

Questo è l'amore di Dio che si manifesta attraverso l'umanità di Cristo. Se il cuore è la sede dei sentimenti che esprimono i momenti della vita, le viscere sono la sede della misericordia che fa nascere una nuova vita e la nutre.
Dio è Padre e Madre. Cristo incarna le fattezze di Dio. Egli si curva verso l'uomo e lo stringe in una morsa di tenerezza indicibile. Viscera di misericordia!
Dio attraverso l'umanità santa di Gesù ci fa entrare nel mistero della sua vita e noi viviamo di essa e per essa.

L'amore viscerale non si stanca mai e non dice mai: sono stanco, anche quando lo si è davvero!
Chi tra di voi è mamma immagino che potrà capire il senso del discorso.
Basta interrogare una mamma, una vera mamma, e ti saprà dire che cosa è l'amore viscerale.....! Questo è Dio per noi, questo Gesù è venuto a dirci e a darci!
Consolante parola, consolante presenza materna di Dio!
Come si potrà avere paura di Lui, anche se avessimo peccato quanto è possibile peccare?
Bello, veramente Bello è il Signore nostro


sabato 11 luglio 2015

Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri.




Ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone

Domenica 15.ma del tempo ordinario: Anno B- 12 giugno 2015



Dal vangelo secondo Marco 6,7-13

Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì.
Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

Parola del Signore!

Mariella: Il Vangelo di oggi presenta gli Apostoli come modello per tutti i futuri missionari della Chiesa e invita la comunità credente ad essere testimone non solo dell'annuncio evangelico, ma anche di uno stile di vita intessuto sull'esempio di Cristo.
L'invio in missione è il seguito logico della chiamata dei Dodici da parte di Gesù. Egli li aveva scelti perché stessero con lui, accompagnandolo e ascoltando i suoi insegnamenti. Ma Egli li aveva anche e soprattutto scelti per inviarli ad annunciare il Vangelo, donando loro ogni autorità e capacità necessarie per essere evangelizzatori e costruttori del suo Regno.

Soffermiamoci su alcune espressioni chiave per comprendere meglio la missione:
"...E cominciò a mandarli due a due":.....la missione che Gesù affida ai suoi discepoli non è un fatto individuale, è sempre una esperienza di comunione, perché nessuno pensi di poter ridurre ad una propria visione personale la testimonianza che gli è stata affidata, il compito è quello di annunciare Cristo e la sua Parola e non se stessi.

Seconda considerazione: "...E dava loro il potere sugli spiriti immondi." possiamo sicuramente affermare che la lotta contro le forze del male è al centro dell'attività di Gesù, per questo agli Apostoli il Maestro trasmette il potere di vincere il male. Ma cosa sono gli spiriti immondi?
Lo spirito, di per sé, è una forza esterna all'uomo, una forza che entra a far parte dell'essere umano se questi lo accetta. Quando questa forza proviene da Dio, viene definita santa (Spirito santo), quando proviene da elementi contrari a Dio, è ritenuta immonda.
Lo Spirito santo è comunione con il divino e apre orizzonti di bene e di vita, mentre lo spirito impuro incatena l'uomo nel circolo vizioso del male e della morte. Compito di ogni evangelizzatore dunque, è cercare di combattere tutto ciò che contrasta l'azione di Dio, cercando di liberare chi ne è vittima e schiavo.


Seguono poi le raccomandazioni concrete rivolte ai dodici Apostoli, che riguardano il viaggio ed il soggiorno. Tutte queste esigenti raccomandazioni sono finalizzate a mettere in evidenza che l'esito della missione non dipende dai mezzi di cui essi possono essere provvisti.


Le stesse raccomandazioni sono finalizzate a far sì che i discepoli non facciano della missione una "cosa loro": la missione è un dono di cui essi godono, ma che non possono trattenere per sé. Devono dunque liberarsi dall'ansia di riuscire, dalla paura di un fallimento, dalla preoccupazione di perdere prestigio morale o potere economico, tutto deve essere finalizzato a mettere in luce l'unica cosa che conta: l'annuncio della Parola di Cristo e della salvezza che Egli è venuto a portarci.

Per evangelizzare è dunque necessario essere interiormente poveri, liberi da ogni condizionamento, da schemi o da interessi, rispettosi della libertà degli altri che possono accogliere o meno il messaggio evangelico.

Il brano termina con l'affermazione che essi scacciavano molti demoni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano. In realtà può sembrare strano il successo dei Dodici, contro il fallimento di Gesù, che nella sua terra ottenne poche guarigioni. Ma Egli stesso ci assicura che se lo seguiremo sulla via che Egli ci ha tracciato sapremo fare cose ancora più grandi di quelle che Lui stesso ci ha mostrato. In verità l'Amore, quello vero, compie continue meraviglie!

Finora era stato solo Lui, Gesù, a predicare. I discepoli lo seguivano, ascoltavano, imparavano. Ora essi sono mandati. In seguito Gesù designerà altri settantadue discepoli e li invierà a due a due avanti a sé in ogni città. Gesù invia tutti i suoi discepoli. Ha bisogno di tutti. O per meglio dire concede a tutti la capacità di portare al mondo la salvezza che viene da Lui.

Tutti siamo inviati da Gesù come evangelizzatori e testimoni. Qualcuno potrebbe pensare che ha tanti impegni, tante preoccupazioni per dover ancora farsi carico di altri compiti.. questo è il lavoro dei missionari! Certo per loro è la consacrazione di tutta una vita; ma tutti siamo chiamati ad essere evangelizzatori, ognuno con la propria storia,con caratteristiche diverse, ognuno con un compito specifico, legato alle caratteristiche individuali. Infatti proprio nella vita di tutti i giorni, nella famiglia, nel lavoro, nella società, con le opere e le parole, con l'amore che mettiamo nelle azioni della nostra giornata, noi possiamo essere testimoni credibili del Signore.

Quando vediamo che la società va verso il baratro della distruzione, quando vige la violenza, il disordine, la confusione, dobbiamo concludere che molti hanno dimenticato questo compito fondamentale che Dio ci ha affidato, ossia trasmettere alle nuove generazioni gli insegnamenti cristiani, che sono sempre rivolti al bene al rispetto dell'uomo e del creato, portare la Parola di Dio al cuore della gente. Forse anche noi dobbiamo farci un esame di coscienza e ripensare alle nostre responsabilità prima che sia troppo tardi!

Enzo: Per Gesù è giunto il tempo di dedicarsi intensamente ai suoi discepoli, una nuova fase dunque nel ministero di Gesù. Rifiutato dai suoi concittadini e dai suoi parenti pensa sia giusto incominciare a preparare un tirocinio per coloro che aveva scelto. Li aveva scelti perché stessero con lui, perché predicassero dopo la sua dipartita verso il Padre il messaggio di salvezza all’umanità, il suo Vangelo. Era arrivato il momento di prepararli alla missione, la seconda dimensione del discepolo, quella missionaria. Come Gesù i suoi discepoli predicheranno la conversione, guariranno i malati, scacceranno i demoni.

La missione dei discepoli trova in Gesù il motivo e il modello. Gesù è la motivazione principale. È Figlio di Dio, la sua parola è eterna: i discepoli sono mandati ad eseguire un progetto in cui sono coinvolti ma non sono registi. Come Gesù è stato inviato dal Padre, i discepoli sono inviati da Gesù per compiere la stessa missione nel tempo e nei secoli a venire.

Gesù è il modello da seguire: come Gesù eseguiranno la volontà di chi li manda in  missione, non si parte per propria volontà, ma si riceve un mandato. “Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due...”.
Possiamo parlare che ogni discepolo è consapevole dell’origine divina della sua missione, di essere perennemente in viaggio lasciando dietro di sé amicizie, ricchezze, consapevoli di possedere un messaggio nuovo, lieto, salvifico da offrire e donare.

E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone”:  è una lezione di vita, forse la più importante che ha come titolo: povertà. Gesù vuole una povertà che è fede, libertà e leggerezza, nessun vincolo.
Povertà è fede, è segno di chi non confida in se stesso, nelle proprie forze, di chi non cerca la sicurezza propria.
Povertà è libertà, coraggio nell’affrontare dolori e malattie, rifiuto e contraddizioni, sofferenze corporali e spirituali… Pensiamo a Gesù nei diversi episodi del vangelo, a san Paolo e a tutti i dodici, e a tanti altri che hanno dato la vita a causa della fede.

Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano. Furono mandati due a due, piccole comunità consapevoli dell’origine divina della missione, di essere in viaggio come messaggeri poveri esternamente ma anche nel cuore libero da ogni legame.

Questo brano ha un significato teologico e un ruolo di richiamo per la Chiesa di sempre, spesso dimentica di aver avuto origine in una comunità, piccola, di missionari. La Chiesa deve identificarsi in una comunità che è mandata, che deve viaggiare leggera, una Chiesa che va incontro all’uomo. Non deve esistere una chiesa regale, ma una Chiesa che conosce un sole Re, Gesù. Al pari di Gesù deve confrontarsi con le forze del male e servire da ministro del potere di Dio.




venerdì 3 luglio 2015

I nazaretani si aspettavano i miracoli da parte di Gesù... ma la loro fede? e la nostra?




Domenica 14.ma del tempo ordinario Anno B: 5 luglio 2015



Dal vangelo secondo Marco 6,1-6

Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti
e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è
stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?
Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone?
E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua».
E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì.
E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Parola del Signore!

Mariella: Domenica scorsa il Vangelo ci ha fatto capire quali effetti produce la fede: l'emorroissa per fede guarisce dopo dodici anni di pena e di immensa solitudine, così Giairo, per fede, salva sua figlia, credendo nella potenza di Cristo; non si vergogna e non si arrende, supera perfino le critiche dei suoi stessi famigliari, egli è fortemente convinto che il Maestro può aiutarlo e non sbaglia!
Credere che Gesù è colui che domina le tempeste, frena le nostre emorragie, rianima la parte più vera ed autentica che è in noi, ci salva, ci restituisce gioia e pace interiore.
Non credere in Lui significa restare inchiodati nelle nostre paure, imbalsamati nelle nostre certezze, schiavi della nostra arroganza, la nostra vita si chiude in un cerchio vizioso di autosufficienza e d'ignoranza, che ha come unica meta la perdizione.

L'evangelista Marco in questo brano descrive la difficoltà con la quale i concittadini di Gesù accettano di credere in Lui, un falegname di umili origini come può essere capace di prodigiose guarigioni e sapienza altrettanto straordinaria? I suoi stessi famigliari sono preoccupati ed increduli di fronte a tutto il clamore che si leva dal popolo.
Meraviglia e stupore sono i sentimenti che dominano la scena. Perché la santità, quando è pura, diventa "segno di contraddizione", svela i pensieri dei cuori e, perciò, scandalizza.
Tutto questo alone di diffidenza però non basta a fermare il Maestro, la Parola deve essere annunciata anche a costo di persecuzione e disprezzo.
Gesù dichiara che nessun profeta è ben accetto in patria, la gente della sinagoga insorge. Vuole cacciarlo non solo dalla sinagoga, ma perfino da Nazaret. E' la sorte dei profeti!
Egli sarà cacciato via, fino ad essere portato sul Golgota, rifiutato fino alla morte. Ma proprio "quel rifiuto" diventerà Salvatore del mondo!

Il rifiuto di Nazaret non è un episodio isolato: è già accaduto un tempo e continuerà a succedere ancora nella vita di Gesù, ed anche nella vita dei suoi discepoli e della stessa Chiesa. Il rifiuto è però la forza della Parola! Più essa è rifiutata, più acquista valore.
Gesù abbraccia il rifiuto come una missione che gli darà ancora più forza nell'affrontare tutte le persecuzioni, Egli non teme: annuncia una sola Verità e sempre quella rimane.
Non si fa condizionare dagli altri! Non cambia i temi della sua predicazione per farsi accogliere indiscriminatamente.
No! Il suo è rimane sempre Amore per la Verità che il Padre gli ha dato di annunciare per la salvezza del mondo. Per questo Egli va sempre diritto per la sua strada, ben sapendo fin dove questa strada lo avrebbe condotto. Non indietreggia, non fa sconti, non teme il giudizio, Egli è venuto per salvare il mondo e lo salverà, anche a costo della sua vita

Questo brano c'interroga sull'accoglienza che noi stessi abbiamo riserviamo a Cristo.
Chiediamoci:
- per essere accolti dagli altri , quante volte abbiamo addolcito, o per meglio dire modificato il significato stesso del Vangelo? Per non sfigurare davanti al "mondo" quante volte abbiamo rinnegato la nostra appartenenza a Cristo? Forse anche noi, con il nostro comportamento arrogante e presuntuoso, gli abbiamo impedito di operare prodigi attraverso la nostra vita? Forse il Signore dovrà meravigliarsi anche per la nostra incredulità? Siamo anche noi fra quelli che cercano segni e miracoli che confermino i nostri dubbi ma che giriamo le spalle agli inviati di Dio?
E intanto il Signore continua ad insegnare per le vie del mondo, auguriamoci che siano in molti ad ascoltare la sua Parola e riconoscerlo come l'unico e vero Salvatore!
Enzo: Questo brano segna una tappa importante, fondamentale nel viaggio di Gesù verso il Calvario, verso la croce. E’ conferma di quanto Giovanni scriverà nel suo vangelo, prologo: “"E' venuto nella sua casa e i suoi non l'hanno accolto". Letto in questo contesto l’episodio va oltre al rifiuto degli abitanti di Nazareth, prefigura il rifiuto dell’intero Israele, popolo scelto dal padre per la salvezza dell’umanità intera.
Il rifiuto di Gesù da parte dei suoi concittadini con tutte le sue motivazioni che abbiamo appena letto sembra accompagnare tutta la storia del popolo di Dio e la nostra storia. Questo brano di Marco ci coinvolge con le resistenze di sempre, radicate nel cuore dell’uomo.

Gli abitanti di Nazareth riconoscono la sapienza di Gesù, i suoi miracoli, la lucidità della sua predicazione, ma è un normale carpentiere, figlio di carpentiere.  Questo è lo scandalo, Gesù non può venire da Dio. I suoi paesani non possono accettare la presenza di Dio che non si vede, sotto apparenze comuni, di un uomo vissuto e cresciuto in mezzo a loro.
Le domande che i nazaretani si pongono “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?”, sono un riconoscimento di ciò che Gesù predicava e operava, ma non potevano accettare che fosse uno di loro, lo conoscevano, era uno di loro, un uomo comune che non può a vere nulla di straordinario.

Il rifiuto non è una sorpresa per Gesù: il popolo di Dio aveva rifiutato altri profeti prima di Lui, ma Dio è sempre dalla parte dei suoi inviati, i profeti rifiutati dagli uomini.

Per chi non crede in Lui, Gesù non può fare miracoli. Di fronte all’incredulità ostinata a cosa servirebbero i miracoli? I miracoli di Gesù sono la risposta  alla sincerità dell’uomo che cerca la verità. Gesù non potette fare miracoli a Nazareth perché Dio non  usa la violenza per imporre i propri diritti, e neppure dove gli uomini vorrebbero sfruttarlo per sé, a sostengo delle loro pretese.

E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì.
Vediamo Gesù che alla fine cerca anche a Nazareth gli ammalati e i  poveri, guarisce e consola.

 Padre Ermes Ronchi in A SUA IMMAGINE, commentando il brano annota:

A conclusione del brano Marco annota: “Non vi poté operare nessun prodigio
” Ma subito si corregge: “Solo impose le mani a pochi malati e li guarì”. Il Dio rifiutato si fa ancora guarigione, anche di pochi, anche di uno solo.
L’amante respinto continua ad amare anche pochi, anche uno solo. L’amore non è stanco: è solo stupito. Così è il nostro Dio: non nutre mai rancori, lui  profuma di vita”.
ANCORA OGGI GESU’ TRA LA GENTE COMUNE, “ di periferia”tende la sua mano e la sua parola porta la speranza