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giovedì 30 aprile 2015

Siamo tralci che portano frutto e la linfa della vite scorre in noi




Domenica quinta di pasqua Anno B- 3 maggio 2015

Dal vangelo secondo Gv 15,1-8

“Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto.
Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me.
Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.
Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto.
In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”.

PAROLA DEL SIGNORE !

Mariella: Ci stiamo avviando verso la conclusione del Tempo di Pasqua, durante il  quale abbiamo gustato la presenza del Signore Risorto in mezzo ai suoi discepoli.  Con la Pentecoste inizierà il Tempo della Chiesa, tempo in cui saremo chiamati a ripercorrere il cammino della prima Comunità dei credenti senza più la presenza del Cristo risorto presente in mezzo a loro.
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Il brano del Vangelo di oggi riporta un passaggio del lungo discorso di addio del Maestro, in quell'ultima sera trascorsa coi suoi per celebrare la cena di Pasqua, prima di consegnarsi volontariamente a chi lo avrebbe arrestato, giudicato e, infine, messo a morte.
Un discorso intenso,  del quale, quasi sicuramente in quel momento i discepoli capirono ben poco; lo capiranno in seguito, dopo aver fatto esperienza del Risorto; e soprattutto dopo aver ricevuto il dono dello Spirito

Oggi Gesù però si vuole rivelare a noi quale Egli è: "Io sono la vite vera", ossia Colui nel quale si realizza il progetto di Dio. Il Padre è il vignaiolo che ha piantato la vite e su di essa ha riversato tutto il suo amore.  Gesù, è la vite "vera": vera perché Lui porta il frutto atteso dal Vignaiolo, Lui realizza il sogno per il quale era stata piantata la vigna, questa realizzazione avviene perché il Padre stesso ha comunicato tutto se stesso al Figlio, il quale ha risposto con il dono totale di sé.

 Senza questa relazione tra il Padre e il Figlio non ci sarebbe la fonte della linfa vitale che giunge fino a noi.  I discepoli sono i tralci: la comunione di Gesù con i discepoli è  una comunione intensa, ricca di vita, che realizza pienamente il progetto del Padre ed è rivolta al bene, ossia alla realizzazione piena del Regno
“Chi rimane in me , ed io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” Al contrario con Lui abbiamo la vita, grazie a quella preziosa linfa che vive e pervade tutti i tralci che alla vite, cioè Cristo, sono uniti.

Linfa è la Parola di Gesù che ascoltiamo e che penetra nel nostro cuore rendendoci puri e trasformando tutta la nostra vita, è lo Spirito che ci abita e ci fa comprendere la volontà di Dio aiutandoci a realizzarla, è l’Amore silenzioso che circola in noi e ci spinge ad essere pane spezzato per gli altri, sono i Sacramenti per mezzo dei quali come figli di Dio e fratelli in Cristo riempiono la nostra vita della Grazia e doni divini.
                                              
Siamo tralci che portano frutto e la linfa della vite scorre in noi quando accettiamo di essere potati, ossia quando accettiamo le prove della vita che ci aiutano ad eliminare ogni esuberanza inutile, ogni zavorra dannosa e pesante, ogni illusione di autosufficienza, ogni egoismo sfrenato, ogni contraddizione di vita che allontanerebbe da noi la capacità di portare frutti buoni graditi a Dio

Rimanere in Cristo è interesse primario di ogni cristiano.  Non illudiamoci però che sia facile: le difficoltà, le sofferenze, le persecuzioni, le ostilità, le divisioni, spesso fanno nascere nel cuore il dubbio, lo scoraggiamento, l’inquietudine, che rischiano di allontanarci dalla vera vite. Rimanere in Cristo è vivere da risorti, malgrado la fatica del cammino quotidiano, vivere in unità con Dio per mezzo di Gesù e fra di noi come fratelli.  Solo a queste condizioni potremo esser certi di non diventare rami secchi da gettar via.

Enzo: In questa domenica attraverso un’immagine dell’Antico Testamento, quella della vite-vigna attribuita all’intero Israele, (Isaia 5,1-8) Gesù è la vite vera e a questa vite vuole che rimangano attaccati i tralci, i suoi discepoli. Israele non rimase fedele a Dio e per questo si attirò il castigo divino, praticamente cessò di essere il popolo eletto. Quello che Gesù prospetta ai suoi discepoli è l’intima unione con Lui per la gloria del Padre. Non per niente Gesù è ripetitivo, martellante in questo discorso: vuole che chi lo ascolta  capisca le sue parole, il suo essere unito al Padre e all’uomo e le conseguenze di questa unione.

“Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore” dice Gesù. Secondo Giovanni Gesù è la vite «vera»in quanto Messia inviato da Dio, egli rappresenta il popolo eletto degli ultimi tempi, di cui Israele era soltanto una prefigurazione.

Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto.
Gesù è la vite-vigna custodita e coltivata dal Padre che provvede a tagliare i tralci infruttuosi durante l’inverno e a primavera toglie i germogli inutili. Inverno e primavera sono le stagioni della vita di ogni uomo, gli alti e bassi della vita di ogni uomo. I tralci che devono portare frutto hanno bisogno dell’opera esperta dell’agricoltore che taglia il ramo che non porta frutto destinato alle fiamme e lascia i tralci buoni.


Chi non crede o il discepolo che si  separa da Gesù perde la possibilità di produrre i frutti dell’amore. Non è escluso l’impegno personale che è fruttuoso solo se confortato dalla piena comunione con Lui

I discepoli, accogliendo la Verità rivelata da Gesù, sono stati purificati dal peccato (voi siete puri) e pertanto non subiscono il taglio del Padre, che riguarda gli increduli. Essi non devono temere di essere tagliati via dalla vigna, anche se dovranno andare incontro a potature, cioè a tutte quelle sofferenze che sono necessarie per maturare nella fede e far crescere il Regno di Dio.   
Nella similitudine dei tralci infruttuosi “gettati nel fuoco e bruciati” non bisogna vedere una descrizione dell’inferno e dei suoi castighi ma un allontanarsi dell’uomo da Dio, dalla sua Parola, un condannarsi alla sterilità spirituale. Non è una minaccia ma una realtà dell’uomo incredulo o discepolo infedele: il richiamo alla conversione rimane sempre presente nella proposta dal vangelo a causa dell’ enorme Misericordia divina.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto”:
I discepoli che rimarranno sempre uniti a Gesù, alla Vite vera, serbando e facendo propria la sua parola saranno sempre esauditi nella preghiera, consolati nel dialogo che diventa preghiera, preghiera che diventa azione, diffusione della Parola, allargamento del regno di Dio, destinazione la vita eterna in Dio.

In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”.
Gesù ha glorificato il Padre attuando il suo disegno di salvezza con l’adesione totale al suo volere; i discepoli glorificano il Padre rimanendo uniti nell’amore del suo Inviato e prolungando la sua missione redentrice  nel mondo: la salvezza dell’uomo passa attraverso Gesù.

Crediamo fermamente tutto questo?

Se sì, sapremo trovare in quanto discepoli l’affetto della volontà divina che fa convergere al bene tutte le prove a cui andremo incontro a causa dei limiti della nostra natura umana.
Se sì, crediamo anche che le nostre debolezze sono sempre coperte  dall’immensa misericordia del Padre.
Se sì, dobbiamo curare il nostro rapporto con Dio migliorando sempre la nostra vita spirituale, noi stessi.

Don Giovanni Gioba nel 2009 così finiva la sua omelia commentato questo brano di Giovanni:

“La mia vita spirituale è una pianta di cui devo prendermi cura anch’io insieme con Dio…
… Se imparo a coltivare questa mia vita spirituale divento davvero fruttuoso, e chiunque mi avvicina si accorge che in me i frutti dell’amicizia, della pazienza, del perdono, dell’altruismo sono davvero abbondanti. E questi frutti di vita segnalano che il mio legame con la pianta principale che è Gesù non è interrotto ma è vivo!”.



venerdì 24 aprile 2015

Essere pecore significa appartenere a Qualcuno che si prende cura di noi



Il Gesù che si è fatto uomo è il Pastore di tutti gli uomini.

Domenica quarta di pasqua Anno B 26 aprile 2015





Vangelo secondo Gv 10,11-18

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Parola del Signore!

Enzo: Leggendo questo brano di Vangelo mi è venuta in mente la situazione della Chiesa del nostro tempo: è il popolo di Dio, il gregge di Gesù in cammino verso il Padre. Una chiesa in crisi, una chiesa impoverita per la frequenza di cristiani tiepidi, presa da assalto da tanti oppositori, spesso mal guidata dai suoi pastori. Sono, siamo cristiani-lupi, cristiani-mercenari che voltiamo le spalle alle prime difficoltà, ovvero che si lasciano abbindolare alla ricerca di beni terrestri trascurando la verde e fresca erba del Regno dei cieli?
Spesso dimentichiamo di avere il Pastore per eccellenza che vuole guidarci verso pascoli eterni, stiamo forse diventando come le altre pecore che non provengono dal recinto di Gesù? Spero di no!  Forse siamo troppo tolleranti verso noi stessi, accettando la nostra fragilità umana, riconosciuta dalla misericordia divina che ci scusa e paternamente ci perdona fino a settanta volte sette, sempre?

Gesù si presenta in questo brano come il Buon Pastore, si descrive dettagliatamente in modo che tutti possiamo capire. Non è un mercenario ma darebbe, e sappiamo che l’ha data, la sua vita per le sue pecore, noi. Per nessun motivo abbandona le sue pecore che conosce singolarmente e queste conoscono Lui. Meravigliosa la similitudine di questa conoscenza reciproca: “così come il Padre conosce me e io conosco il Padre”. Sappiamo che la “conoscenza” biblica implica la comunione intima tra due che si amano.

Gesù Pastore non stabilisce un semplice confronto, ma designa la sorgente dell’amore per le pecore. Egli partecipa ai suoi seguaci la comunione di vita che lo unisce strettamente al Padre. Tutti noi possiamo essere certi della comunione trinitaria nella quale siamo inseriti, ma dobbiamo prestare attenzione con l’aiuto dello Spirito a mantenerla viva.

L’apprezzamento del Padre, l’amore del Padre è dovuto, oltre alla figliolanza, al sacrificio di Gesù per noi, al dono della sua vita, vita donata ma poi ripresa con la sua risurrezione. La sua morte, accettata liberamente, rappresenta la manifestazione suprema dell’amore del Padre verso l’umanità intera.

Gesù sa di essere Pastore anche di quella parte del gregge che si trova fuori dal recinto ossia i pagani, e di coloro che volutamente non vogliono ascoltare la sua voce, il popolo ebreo: anche queste pecore ascolteranno la sua voce per unirsi al gregge che lo segue. E' una profezia? È bello pensarlo.

Questo ritorno non renderà vana la sua morte. La comunità cristiana sarà composta da giudei e gentili (pagani) da tutti coloro che ascolteranno la “voce” di Gesù, credendo in Lui. Sull’ascolto della parola di Gesù si fonda l’unità della Chiesa.

L’evangelista Giovanni ci ha presentato la figura del Cristo, l’inviato del Padre che agisce nella comunità attraverso lo Spirito per una missione universale.

“ Mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra”.
Qui si evidenzia la ragione intrinseca di questa missione universale: vi è un solo pastore. Il Logos che in Gesù si è fatto uomo è il Pastore di tutti gli uomini, perché tutti sono stati creati mediante quell’univo Verbo; nonostante tutte le loro dispersioni, a partire da Lui e in vista di Lui sono una cosa sola. Al di là di tutte le dispersioni, l’umanità può diventare una cosa sola a partire dal vero Pastore, dal Logos, che si è fatto uomo per offrire la sua vita, donando così “vita in abbondanza”. (Benedetto XVI in Gesù di Nazaret, dal battesimo alla trasfigurazione.)

Gesù è il Pastore di tutti gli uomini: tutti noi, cristiani discepoli di Gesù dobbiamo rivestirci dell’umanità di Gesù per giocare il ruolo di una chiesa aperta al confronto, che non si chiude in se stessa, ma apre il proprio recinto, che dona ciò che ha ricevuto indistintamente ad ogni uomo
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Oggi purtroppo in tante regioni del mondo non è così.

Mariella: In questa domenica del Buon Pastore, il nostro primo pensiero deve trasformarsi in preghiera. E’ fondamentale, infatti, che il Signore assicuri buoni e santi Pastori, faccia nascere nel cuore dei giovani la vocazione a servirLo, anima e corpo, secondo le necessità della Chiesa. 

I Pastori hanno il compito di portare al mondo la forza della sua Parola e la potenza trasformante del suo Amore, che con l’aiuto dello Spirito Santo, devono orientare ogni vita verso la salvezza.  Pertanto ogni vocazione è una singolare esperienza d’amore, che attinge le sue radici nell’amore del Padre, che nulla trattiene per sé, ma tutto dona al Figlio, che a sua volta tutto riversa sul mondo, facendo dell’amore per il mondo la via per rispondere all’amore ricevuto dal Padre.

Il Buon Pastore non cerca nessun vantaggio per sé, agisce nel più puro disinteresse, ama le sue pecore fino al punto di dare la sua vita perché esse vivano, Egli tiene unito il gregge perché nono si disperda e nessuna pecora sia esposta a pericoli. 

Di tutt’altra logica è il mercenario, a lui non interessa il destino delle pecore, egli pensa solo a sé stesso. "Vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde".  Il "Buon Pastore" non ha come suo scopo quello di competere con altri pastori, il suo unico interesse sono le pecore, ogni pecora, suo unico interesse è entrare in relazione con ognuna di esse, Egli conosce loro, una ad una e loro conoscono Lui.

Gesù è il centro della circolazione di amore che dal Padre è donata al Figlio e da Lui è comunicata a chi, credendo, si lascia attirare dall'Amore.  Questo cerchio d'Amore non ha confini, deve allargarsi sempre di più: "Io ho altre pecore...anche quelle io devo guidare..." Lo sguardo di Gesù è rivolto a tutti i figli di Dio, senza confini, senza pregiudizi, senza limiti, perché tutti sono alla ricerca del vero senso della vita e tutti hanno diritto alla salvezza che solo Lui può donare. 

Il significato del termine pecora é attribuito ad ogni credente.  Essere “pecora” non significa certo diventare un automa, un essere privo di libertà e di dignità ma indica piuttosto la mansuetudine quale virtù necessaria per seguire il Pastore. Difatti, per entrare nel recinto sicuro, non basta solo confessarsi cristiani, occorre perseverare nel cammino d’amore tracciato da Cristo e tenersi lontano dal "mercenario".  In Gesù, nel Suo amore, saremo capaci di vivere in ascolto dei fratelli, potremo essere sollievo per i sofferenti, appoggio per gli esclusi.

Essere pecore significa appartenere a Qualcuno che si prende cura di noi, ci chiama per nome, non ci abbandona, non ci vende, non ci sfrutta, ma ci custodisce, ci protegge, ci difende, ci guida. Nulla può e deve farci paura, perché Lui è con noi sempre. 
Possiamo chiedere di più?

sabato 18 aprile 2015

Nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati...




Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma

Terza domenica di Pasqua Anno B : 19 aprile 2015
  


Vangelo secondo Luca 24,35-48

Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!».
Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma.
Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho».
Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?».
Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi».
Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

Parola del Signore!


Enzo: Gesù in questa scena è solo a ad agire e parlare. Gli apostoli turbati forse anche per il racconto di quelli di Emmaus,  certamente col dubbio nella mente e nel cuore non se l’aspettavano proprio che Gesù apparisse in mezzo a loro. Alle prime parole di Gesù, e anche dopo, non rispondono né con le parole e nemmeno con gesti. Non sappiamo se hanno toccato le piaghe che Gesù volle mostrare loro: “Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?».
Qualcosa si è mosso perché “Gli offrirono una porzione di pesce arrostito”.

I sentimenti degli apostoli sono descritti in modo toccante e profondamente umano: esprimono sconcerto, paura, turbamento, il dubbio di sempre, l’incredulità dell’annuncio eucaristico,  lo stupore del  Tabor,  ma anche la gioia che impediva loro di credere.
Da parte sua Gesù mostra la sua persona reale e concreta, non un “fantasma”: Con le sue apparizioni offre prove sempre più convincenti della sua risurrezione come aveva annunciato in vita.

Ancora una volta Gesù risorto apre la mente alla comprensione delle Scritture fino alla proclamazione dell’evento pasquale: un vero Maestro che ultima così il suo insegnamento e il suo mandato, perché” nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme”.

E per ultimo  cinque parole che sono un programma di vita per chi lo stava ascoltando: “ Di questo voi siete testimoni”. Gesù chiede la testimonianza che sarà fondamentale per la crescita della futura Chiesa di Gesù e per tutti coloro che sentiranno parlare delle meraviglie di Dio.

Delle domande sono d’obbligo a questo punto: se il vangelo è valido anche per me, chiamato come discepolo ad annunciare Gesù e la sua salvezza a che punto è la mia testimonianza? Comprende tutta la mia vita o va avanti a strappi, secondo i miei stati d’animo? Ovvero pensiamo che il Vangelo, la Parola che si è fatta carme, sia una specie di fantasma? O per dire meglio, pensiamo che il : Gesù in questa scena è solo a ad agire e parlare. Gli apostoli, turbati forse anche per il racconto di quelli di Emmaus, certamente col dubbio nella mente e nel cuore, non se l’aspettavano proprio che Gesù apparisse in mezzo a loro. Alle prime parole di Gesù, e anche dopo, non rispondono né con le parole e nemmeno con gesti. Non sappiamo se hanno toccato le piaghe che Gesù volle mostrare loro: “Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?».
Qualcosa si è mosso perché “Gli offrirono una porzione di pesce arrostito”.

I sentimenti degli apostoli sono descritti in modo toccante e profondamente umano: esprimono sconcerto, paura, turbamento, il dubbio di sempre, l’incredulità dell’annuncio eucaristico, lo stupore del Tabor, ma anche la gioia che impediva loro di credere.
Da parte sua, Gesù mostra la sua persona reale e concreta, non un “fantasma”. Con le sue apparizioni offre prove sempre più convincenti della sua risurrezione, come già aveva annunciato in vita.

Ancora una volta, Gesù risorto apre la mente alla comprensione delle Scritture, fino alla proclamazione dell’evento pasquale: un vero Maestro che ultima così il suo insegnamento e il suo mandato, perché” nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme”.

E per ultimo cinque parole che sono un programma di vita per chi lo stava ascoltando: “ Di questo voi siete testimoni”. Gesù chiede la testimonianza che sarà fondamentale per la crescita della futura Chiesa di Gesù e per tutti coloro che sentiranno parlare delle meraviglie di Dio.

Alcune domande sono d’obbligo a questo punto: se il Vangelo è valido anche per me, chiamato come discepolo ad annunciare Gesù e la sua salvezza, a che punto è la mia testimonianza? Comprende tutta la mia vita o va avanti a strappi, secondo i miei stati d’animo? Ovvero pensiamo che il Vangelo, la Parola che si è fatta carne, sia una specie di fantasma? O per meglio dire, pensiamo che il Vangelo sia un insieme di parole lontane dalla vita quotidiana, belle ma impossibili a vivere, troppo esigenti, che propongono rinunce e troppi sacrifici?

Anche oggi, come allora agli apostoli , a ciascuno di noi Gesù dice: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore?

Mariella:

Gesù è risorto. I discepoli di Emmaus, di notte erano tornati a Gerusalemme e stavano raccontando agli apostoli la loro esperienza. Il cuore di tutti è in subbuglio.
Sconcerto, paura, turbamento, dubbio, stupore e incredulità abitano in loro, quando Gesù in persona viene ed augura a tutti la pace.

Essi, pur vedendolo, non si aprono alla fede. Pensano di trovarsi dinanzi ad un fantasma. Gesù li rassicura. È proprio Lui. La fede però stenta ad entrare nel loro cuore. Vi è qualcosa che impedisce di aprirsi totalmente alla verità, manca ancora in loro lo Spirito di verità che li trasformerà il giorno della Pentecoste.

La fede è un cammino, lo costatiamo anche noi, una conquista quotidiana, ha bisogno anche di segni e visioni. Essa però dovrà sempre avere un solido fondamento, che è la Parola di Dio che penetra in ognuno con aiuto dello Spirito.
Gesù fonda la fede in Lui sulla certezza della Scrittura e per questo apre la mente dei discepoli per comprendere quanto di Lui è scritto nella Legge, nei Profeti e nei salmi, i tre libri più importanti riconosciuti dal popolo ebraico.

Quanto anche noi assomigliamo a questi discepoli confusi e smarriti! Quanta fatica facciamo a riconoscere il Risorto presente nella nostra vita! Quante volte, lungo il cammino, ci siamo sentiti sol!. Quanto fragile è la nostra fede se non poggia le sue radici sulla verità racchiusa nella Sacra Scrittura!
Per questo è necessario fare un po’ di silenzio, e lasciare che il Signore pazientemente entri nel nostro cuore e che le sue Parole aprano la nostra mente verso la comprensione, come fu per gli Apostoli.
Tacere di fronte al dubbio, non significa rimanere passivi recettori della grazia divina, ma significa che da soli non potremo mai trovare un senso alla nostra vita, o dare risposte esaurienti alle nostre domande.

Solo in Dio c’è la chiave del mistero esistenziale e la Pasqua ce lo ha rivelato. In Cristo risorto, la storia umana destinata alla perdizione, diventa storia redenta, cioè vita che non va verso il nulla, ma verso l’eternità. Ogni uomo potrà dunque contare sulla salvezza offerta da Cristo, che è cammino di conversione e di perdono.
In Cristo, morto e risorto, riconosciamo il volto d’Amore di un Padre misericordioso, che attende paziente il nostro ritorno, in Lui la nostra speranza, in Lui la nostra salvezza.

Egli ci ama tanto da offrirsi come cibo. Nella Sua carne, la creatura ritrova la comunione con il Creatore: "toccatemi", dice Gesù agli Apostoli, cioè si offre per starci vicino, per darci sicurezza, per farsi riconoscere, per offrirci il suo perdono, la sua riconciliazione con il Padre.

Un’ultima cosa, il Vangelo che abbiamo meditato introduce un terzo elemento fondamentale che è la missione.
Il Risorto, aprendo le menti dei discepoli all'intelligenza delle scritture fino alla proclamazione dell’evento pasquale, ultima così il suo insegnamento ed il suo mandato, perché ” nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme”.

La missione è parte integrante della salvezza, fa parte della natura stessa della Chiesa nascente. Senza l’annuncio l’umanità non potrebbe conoscere la salvezza che Cristo ci offre. Anche noi siamo dunque invitati a portare questo annuncio sulle strade del mondo.






venerdì 10 aprile 2015

Nel Vangelo di oggi l’apostolo Tommaso fa esperienza proprio della misericordia di Dio.


Vuole vedere, vuole mettere la sua mano nel segno dei chiodi e nel costato.



Seconda domenica di Pasqua e della divina misericordia Anno B, 12 aprile 2015
  

Vangelo secondo Gv 20,19-31

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte

del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in

mezzo e disse loro: «Pace a voi!».

Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi».

Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù.

Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».



Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!».

Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano emettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!».

Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!».

Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

 Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati

scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome
                                 
PAROLA DEL SIGNORE!

Enzo: In questo brano di vangelo assistiamo a due scene di apparizioni di Gesù risorto ai suoi apostoli.
La prima, assente Tommaso, Gesù conferisce la sua missione ricevuta dal Padre ai suoi apostoli, “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Subito dopo conferisce il dono dello Spirito Santo soffiando sui discepoli compiendo così una nuova creazione: i suoi dodici saranno altri, direi che non avranno più i loro atteggiamenti e i loro pensieri…apparterranno completamente al Maestro con potere di rimettere i peccati, . Aggiungerei che assistiamo alla nascita del germoglio della Chiesa di Gesù.

La seconda scena è dominata dall’apostolo Tommaso: Gesù entra a porte chiuse e dopo il saluto di pace si rivolge direttamente a Tommaso: era venuto apposta per lui? Credo di sì ma i gesti e le parole di Gesù hanno sempre un senso e un insegnamento universale: “beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”.
Gesù mostra a Tommaso e agli apostoli le sue mani e il suo costato cioè i segni che il martirio aveva provocato sul suo corpo, segni indelebili perché rimasti su un corpo morto. Ferite e Risurrezione, venerdì santo e domenica di Pasqua sono il mistero pasquale, il mistero della nuova alleanza, il tempo del Signore Gesù e di tutto il tempo della vita della Chiesa.

Infine Gesù dopo la confessione di Tommaso dà un avvertimento-consolazione alla sua futura Chiesa:  beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!.

Ma il vangelo di domenica ha un altro significato direi mistico e teologico insieme.

Ma per questo darei la parola a Papa Francesco riportando parte di due sue omelie che commentano questo brano, e la festa della Misericordia voluta a suo tempo da Giovanni Paolo Secondo (santo).

Nella seconda omelia citata papa Francesco oltre a Tommaso chiama in causa Pietro, i discepoli di Emmaus, e la parabola del Figliol prodigo per dimostrare la grande misericordia di Dio, Potremo alla fine chiederci : a quale personaggio tra questi somigliamo? Ovvero siamo tra quelli che abusando della pazienza di Dio non riconosciamo a fondo la sua misericordia per negligenza o pigrizia?

 Omelia del 27 aprile 2014, seconda domenica di Pasqua:

“Al centro di questa domenica che conclude l’Ottava di Pasqua, e che san Giovanni Paolo II ha voluto intitolare alla Divina Misericordia, ci sono le piaghe gloriose di Gesù risorto.
Le piaghe di Gesù sono scandalo per la fede, ma sono anche la verifica della fede. Per questo nel corpo di Cristo risorto le piaghe non scompaiono, rimangono, perché quelle piaghe sono il segno permanente dell’amore di Dio per noi, e sono indispensabili per credere in Dio. Non per credere che Dio esiste, ma per credere che Dio è amore, misericordia, fedeltà. San Pietro, riprendendo Isaia, scrive ai cristiani: «Dalle sue piaghe siete stati guariti»” (1 Pt 2,24; cfr Is 53,5).

Omelia del 7 aprile 2013, seconda domenica di Pasqua

Celebriamo oggi la Seconda Domenica di Pasqua, denominata anche «della Divina Misericordia». Com’è bella questa realtà della fede per la nostra vita: la misericordia di Dio! Un amore così grande, così profondo quello di Dio verso di noi, un amore che non viene meno, sempre afferra la nostra mano e ci sorregge, ci rialza, ci guida.

Nel Vangelo di oggi, l’apostolo Tommaso fa esperienza proprio della misericordia di Dio, che ha un volto concreto, quello di Gesù, di Gesù Risorto. Tommaso non si fida di ciò che gli dicono gli altri Apostoli: «Abbiamo visto il Signore»; non gli basta la promessa di Gesù, che aveva annunciato: il terzo giorno risorgerò. Vuole vedere, vuole mettere la sua mano nel segno dei chiodi e nel costato.

 E qual è la reazione di Gesù? La pazienza: Gesù non abbandona il testardo Tommaso nella sua incredulità; gli dona una settimana di tempo, non chiude la porta, attende. E Tommaso riconosce la propria povertà, la poca fede. «Mio Signore e mio Dio»: con questa invocazione semplice ma piena di fede risponde alla pazienza di Gesù. Si lascia avvolgere dalla misericordia divina, la vede davanti a sé, nelle ferite delle mani e dei piedi, nel costato aperto, e ritrova la fiducia: è un uomo nuovo, non più incredulo, ma credente. 

E ricordiamo anche Pietro: per tre volte rinnega Gesù proprio quando doveva essergli più vicino; e quando tocca il fondo incontra lo sguardo di Gesù che, con pazienza, senza parole gli dice: «Pietro, non avere paura della tua debolezza, confida in me»; e Pietro comprende, sente lo sguardo d’amore di Gesù e piange. Che bello è questo sguardo di Gesù – quanta tenerezza! Fratelli e sorelle, non perdiamo mai la fiducia nella misericordia paziente di Dio!

Pensiamo ai due discepoli di Emmaus: il volto triste, un camminare vuoto, senza speranza. Ma Gesù non li abbandona: percorre insieme la strada, e non solo! Con pazienza spiega le Scritture che si riferivano a Lui e si ferma a condividere con loro il pasto Pensiamo ai due discepoli di Emmaus: il volto triste, un camminare vuoto, senza speranza. Ma Gesù non li abbandona: percorre insieme la strada, e non solo! Con pazienza spiega le Scritture che si riferivano a Lui e si ferma a condividere con loro il pasto.. Questo è lo stile di Dio: non è impaziente come noi, che spesso vogliamo tutto e subito, anche con le persone. Dio è paziente con noi perché ci ama, e chi ama comprende, spera, dà fiducia, non abbandona, non taglia i ponti, sa perdonare. Ricordiamolo nella nostra vita di cristiani: Dio ci aspetta sempre, anche quando ci siamo allontanati! Lui non è mai lontano, e se torniamo a Lui, è pronto ad abbracciarci.

A me fa sempre una grande impressione rileggere la parabola del Padre misericordioso, mi fa impressione perché mi dà sempre una grande speranza. Pensate a quel figlio minore che era nella casa del Padre, era amato; eppure vuole la sua parte di eredità; se ne va via, spende tutto, arriva al livello più basso, più lontano dal Padre; e quando ha toccato il fondo, sente la nostalgia del calore della casa paterna e ritorna. E il Padre? Aveva dimenticato il figlio? No, mai.

Vorrei sottolineare un altro elemento: la pazienza di Dio deve trovare in noi il coraggio di ritornare a Lui, qualunque errore, qualunque peccato ci sia nella nostra vita. Gesù invita Tommaso a mettere la mano nelle sue piaghe delle mani e dei piedi e nella ferita del costato. Anche noi possiamo entrare nelle piaghe di Gesù, possiamo toccarlo realmente; e questo accade ogni volta che riceviamo con fede i Sacramenti.

Mariella: Il verbo "vedere" ricopre un ruolo importante in questo brano, infatti tutto ruota sulla gioia degli Apostoli di fronte all’apparizione del loro Signore, ma anche sull’incredulità di Tommaso, il quale, non avendo potuto vedere Gesù con i suoi occhi, non crede al racconto degli altri discepoli: "Vedere e credere"

La fede è un cammino non facile, un cammino faticoso, pieno di dubbi, di inquietudini, alcune volte di entusiasmi eccessivi che rischiano di mettere in crisi un’intera esistenza, quando del Risorto si cercano segni e prove, quando si basa la propria fede sui miracoli.

Credere è percepire che c’è un Altro che governa il mondo, di un Altro che è al di sopra di noi, del quale possiamo fidarci ed al quale possiamo affidare tutta la nostra vita. Per credere non è necessario vedere, basta saper scorgere la realtà con gli occhi del cuore! Per questo Gesù proclama  la beatitudine di coloro che credono senza aver visto, perché credendo, incominciano a vivere  con gli occhi nuovi della fede
Con la sua resurrezione, Cristo infatti trasforma tutta la nostra vita; la fede in Lui ci impegna a vivere da risorti, cioè da uomini nuovi, capaci di amare, come Lui ha amato, come lo stesso Padre ci ha amato, nel Figlio
Vivere da risorti in Cristo è vivere da uomini ricchi di misericordia, e di questo ci parlano, oggi, i testi della liturgia.  Non esiste, infatti, vero amore per Dio, se, da questo amore escludiamo un solo fratello, sia pure nemico.

Certamente può sembrare difficile mettere in pratica un amore così grande, ma Dio non ci lascia soli nelle nostre difficoltà ed incapacità, Egli ci ha lasciato il dono dello Spirito Santo.  Lo stesso Spirito che Gesù alitò sugli Apostoli lo stesso giorno della sua Resurrezione quando apparve ad essi con il suo corpo ormai glorificato e con i segni stessi della sa crocifissione.

Gesù appare ai suoi, con le mani del crocifisso, mani che portano il dono della pace, che è comunione indistruttibile con Dio; mani che portano il dono dello Spirito, il quale ci abilita a riamare Dio e ad amare ogni uomo  che proprio grazie alla forza dell'amore troverà la via che conduce alla Salvezza.

Ecco dunque che vivere da risorti è saper vedere i segni della presenza del Cristo, nostro Signore  e nostro Dio; riconoscere le piaghe che ancora affliggono gli uomini; le croci, che ancora uccidono in tante parti del mondo, e amare con gesti concreti di misericordia chi ne è portatore; cercando di operare sempre a favore della giustizia e della pace, affinché  ogni uomo sia liberato dall’oppressione, dalla schiavitù, dallo sfruttamento e dalla miseria.

Altro commento potete trovarlo nella pagina di Padre Augusto Drago

venerdì 3 aprile 2015

Non siamo nati per spegnerci in una notte: Gesù è risorto!




E' risorto il Signore, dalla tomba: Lui che per noi fu appeso sul legno. Alleluia!


Cristo è risorto come aveva detto. Alleluia!
Di Padre Augusto Drago
Albeggia, guardiamo in su, ed è apparsa la stella del mattino. Allora, sta scivolando via questo sabato! Allora era vero, non siamo nati per spegnerci in una notte.

C'è una luce strana ora, mai vista. Fissiamo meglio, e la pietra dov'è? Ma sì, certo che era viva, s'è mossa infatti, rotolata via. E la tomba è spalancata, luminosa. Ci accostiamo, è vuota. Le bende, il sudario, gli abiti della morte son lì, ripiegati, come una pagina del passato, ma lui, Lui, e tutti noi sepolti nella tristezza e nell'angoscia, dove siamo? Dov'è Lui? Dov'è la morte?

Una voce, qualcuno, qualcosa ci sussurra parole strane. "Non è qui, è risorto! Andate in Galilea, là lo vedrete!". Che vuol dire tutto questo, che significa? Sorpresi, stonati come pugili al tappeto, una gioia straripante mista a dubbi ci tempestano il cuore, e quella domanda che ritorna prepotente, quel "perché?" che neanche ora ci abbandona.

Ma quelle parole, "E' risorto! Non è qui!", ci hanno sconvolto, afferrato, e non ci lasciano. Che fare ora che il sabato è volato via, che questa luce infinita ci avvolge e ci sospinge. "In Galilea!". Ecco che fare, andare in Galilea. E dov'è la Galilea, e che cos'è la Galilea?

Ma sì, certo, è lì dove Lui ci ha incontrati. E' lì dove è venuto a cercarci. Dove ci ha perdonati, chiamati, amati. E' la nostra vita, la nostra povera storia di tutti i giorni, di tutte le ore. E' esattamente il luogo dove ci ha sorpreso la morte, dove avevamo smarrito speranze e risposte.

La Galilea è lì dove il "perché?" non ha smesso un secondo di risuonarci dentro. In Galilea è la risposta. La Galilea è dove Cristo, risuscitato e vittorioso sulla morte e sul peccato, ci ha dato appuntamento.

La risposta è Lui dunque, una persona viva. Un amore vivo. La risposta, l'unica, che non appartiene a nessun criterio, a nessuna intelligenza, la risposta nascosta perfino agli angeli, è uno sguardo d'amore e di compassione. Lo sguardo di Cristo risuscitato dai morti che colma ogni vuoto, lenisce ogni ferita, asciuga ogni lacrima. Lo sguardo di Cristo che attraversa spazio e tempo e incontra, in questa Pasqua, il nostro sguardo impaurito, proprio dove siamo.

La risposta non è una risposta, è Cristo. La risposta si guarda, molto prima di pensarla e capirla. E' in questa notte, è per gli occhi di chi, dopo averne tanto sentito parlare di Lui, finalmente lo guardano. Lo fissano. E ne restano trafitti. La risposta è sperimentare, oggi, e ogni istante, il suo amore infinito, l'unico capace di rotolare la pietra del dolore e cancellare, dal cuore, il "perché?" che ci uccide. Il Suo amore, misterioso, eppure così vero, reale, concreto. Infinito, eterno. Il Suo amore, la Vita eterna per la quale siamo nati

Che Dio ci conceda l'incontro con questo amore, in questa Notte Santa. Buona Pasqua.
Padre Augusto Drago

                                                   

Buona Pasqua  anche da parte nostra Mariella ed Enzo: Cristo è risorto, nostra gioia e speranza! Cristo è veramente risorto! Cerchiamolo nella nostra vita e dei fratelli: è Lui la  vera Vita!

Assieme agli auguri un sentito grazie per la vostra amicizia e bontà nel seguire il nostro balbettio nei commenti del vangelo della domenica e feste: cerchiamo di fare del nostro meglio, speriamo sempre nei vostri commenti che, anche se brevi, sono dichiarazione e testimonianza di fede,  stimolo per tutti coloro che ci leggono.

giovedì 2 aprile 2015

Venerdì Santo:La croce e la vittoria




La croce
Di don Tonino Bello

Il legno della Croce,
quel "legno del fallimento",
è divenuto il parametro vero
di ogni vittoria.
Gesù ha operato più salvezza                                      
con le mani inchiodate sulla Croce,
che con le mani stese sui malati.
Donaci, Signore,
di non sentirci costretti
nell'aiutarti a portare la Croce,
di aiutarci a vedere
anche nelle nostre croci
e nella stessa Croce un mezzo per ricambiare
il Tuo Amore.

Aiutaci a capire
che la nostra storia crocifissa
è già impregnata di resurrezione.
Se ci sentiamo sfiniti, Signore,
è perché, purtroppo,
molti passi li abbiamo consumati
sui viottoli nostri e non sui Tuoi,
ma proprio i nostri fallimenti
possono essere la salvezza
della nostra vita.

                   La Pasqua è la festa degli ex delusi della vita,

            nei cui cuori all'improvviso dilaga la speranza.
                 
             Cambiare è possibile, per tutti e sempre!


Quelli che fanno suonare le campane di don Tonino Bello

Qualche mese fa, concludendo la visita pastorale in una parrocchia della mia diocesi, l'ultimo giorno andai in una scuola materna. C'erano tantissimi bambini di tre o quattro anni che si affollavano stupiti intorno a me: non mi conoscevano, mi vedevano come un personaggio esotico.

 La maestra chiese: "Bambini, sapete chi è il vescovo?". Tutti diedero delle risposte. 

Uno disse: "E' quello che porta il cappello lungo in testa";
un altro, chissà per quale associazione di immagini, disse una cosa bellissima che a me piacque tanto: "il Vescovo è quello che fa suonare le campane". 

Forse mi aveva visto in processione, al suo paese, in qualche festa accompagnata dal tripudio delle campane.
Il vescovo come colui che fa suonare le campane: è una definizione bellissima, forse poco teologica ma profondamente umana. 

Sarebbe bello che i vostri fedeli, i vostri amici, coloro che vi conoscono, potessero dare di voi una definizione così. Sarebbe bello che la gente dicesse di tutti noi che siamo "quelli che fanno suonare le campane":
          le campane della gioia di Pasqua, le campane della speranza.