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martedì 31 marzo 2015

"Signore, tu lavi i piedi a me?...Tu non mi laverai i piedi in eterno!". Gv 13,6...8




"Quando Gesù apparve ai discepoli la sera di Pasqua "mostrò loro le mani e i piedi", di don Tonino Bello

Carissimi,

Io non so se nell'ultima cena, dopo che Gesù ebbe ripreso le vesti, qualcuno dei dodici si sia alzato da tavola e con la brocca, il catino e l'asciugatoio si sia diretto a lavare i piedi del maestro. Probabilmente no. C'è da supporre comunque che dopo la sua morte ripensando a quella sera, i discepoli non abbiano fatto altro che rimproverarsi l'incapacità di ricambiare la tenerezza del Signore.


Possibile mai, si saranno detti, che non ci è venuto in mente di strappargli dalle mani quei simboli del servizio, e di ripetere sui suoi piedi ciò che egli ha fatto con ciascuno di noi? Dovette essere così forte il disappunto della Chiesa nascente per quella occasione perduta, che, quando Gesù apparve alle donne il mattino della risurrezione, esse non seppero fare di meglio che lanciarsi su quei piedi e abbracciarli. "Avvicinatesi, gli cinsero i piedi e lo adorarono". Ce lo riferisce Matteo, nell'ultimo capitolo del suo Vangelo. Gli cinsero i piedi. Non gli baciarono le mani o gli strinsero il collo. No.


Gli cinsero i piedi! Erano già bagnati di rugiada. Glieli asciugarono, allora con l'erba del prato e glieli scaldarono col tepore dei loro mantelli. Quasi per risarcire il maestro, sia pure a scoppio ritardato, di una attenzione che la notte del tradimento gli era stata negata. Gli cinsero i piedi. Fortunatamente avevano portato con sé profumi per ungere il corpo di Gesù. Forse ne ruppero le ampolle di alabastro e in un rapimento di felicità riversarono sulle caviglie del Signore gli olii aromatici che furono subito assorbiti da quei fori: profondi e misteriosi, come due pozzi di luce.


Gli cinsero i piedi. Finalmente! Verrebbe voglia di dire. Ma chi sa in quel ritardo ci doveva essere anche tanto pudore. Forse la chiesa nascente rappresentata dalle due Marie prima di cadergli davanti nel gesto dell'adorazione aveva voluto aspettare di proposito che Gesù riprendesse davvero le vesti. Non quelle che aveva momentaneamente deposto prima della lavanda. Ma quelle veramente inconsutili del suo corpo glorioso. 

Carissimi fratelli, 
 oggi voglio dirvi che la Pasqua è tutta qui. Nell'abbracciamento di quei piedi. Essi devono divenire non solo il punto di incontro per le nostre estasi d'amore verso il Signore, ma anche la cifra interpretativa di ogni servizio reso alla gente, e la fonte del coraggio per tutti i nostri impegni di solidarietà con la storia del mondo.


Non c'è da illudersi. Senza questa dimensione adorante, espressa dal gruppo marmoreo di donne protese dinanzi al risorto, saremo capaci di organizzare solo girandole appariscenti di sussulti pastorali. Se non afferriamo i piedi di Gesù, lavare i piedi ai marocchini, o agli sfrattati, o ai tossici, non basta.


Non basta neppure lavarsi i piedi a vicenda, tra compagni di fede. Se la preghiera non ci farà contemplare speranze ultramondane attraverso quei fori lasciati dai chiodi, battersi per la giustizia, lottare per la pace e schierarsi con gli oppressi, può rimanere solo un'estenuante retorica. Se, caduti in ginocchio, non interpelleremo quei piedi sugli orientamenti ultimi per il nostro cammino, giocarsi il tempo libero nel volontariato rischia di diventare ricerca sterile di sé e motivo di vanagloria. Se l'adorazione dinnanzi all'ostensorio luminoso di quelle stigmate non ci farà scavalcare le frontiere delle semplici liberazioni terrene, impegnarsi per le promozione dei poveri potrà sfiorare perfino il pericolo dell'esercizio di potere. Non basta avere le mani bucate. Ci vogliono anche i piedi forati. E' per questo che quando Gesù apparve ai discepoli la sera di Pasqua "mostrò loro le mani e i piedi".


E poi, quasi per sottolineare con la simbologia di quei due moduli complementari che senza l'uno o l'altro, ogni annuncio di risurrezione rimarrà sempre mortificato, aggiunse: "Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io".

Mani e piedi, con tanto di marchio! Ecco le coordinate essenziali per ricostruire la carta d'identità del risorto. Mani bucate. Richiamo a quella inesauribile carità verso i fratelli, che si fa donazione a fondo perduto. Piedi forati.


Appello esigente a quell'amore verso il Signore, che ci fa scorgere il senso ultimo delle cose attraverso le ferite della sua carne trasfigurata.

 Fin qui don Tonino Bello. L'immagine dell'ultima Cena ci richiama la memoria dell'Istituzione dell'Eucaristia, il dono di Gesù prima della sua morte e risurrezione, Le due cose che commemoriamo in ogni Giovedì Santo, lavanda dei piedi e Eucaristia parlano la stessa lingua: servizio e amore, amore nel servizio. 
E' l'appello di Don Tonino Bello:

Appello esigente a quell'amore verso il Signore, che ci fa scorgere il senso ultimo delle cose attraverso le ferite della sua carne trasfigurata.






giovedì 26 marzo 2015

Settimana santa: Chi sono io davanti al mio Signore?




Domenica delle Palme: Anno B, 29 marzo 2015



Isaia 50,4-7
"Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso".



Per questa domenica in cui ricordiamo l’ingresso  trionfale di Gesù in Gerusalemme non commenteremo il brano del Vangelo di Marco, che narra la passione e morte di Gesù. La  domenica delle Palme introduce la settimana Santa, settimana di riflessione, di preghiera , di revisione della nostra vita per renderla conforme al volere e all’esempio di Gesù, per esplodere poi nel giorno della sua risurrezione nella gioia immensa di ringraziamento per la salvezza che ci è stata donata.
Proponiamo  due riflessioni  , la prima del Cardinal Carlo Maria Martini, la seconda di Papa Francesco, come aiuto alla nostra riflessione e come preparazione ad una bella confessione  sperando fortemente nella misericordia infinta di Dio Padre.


Come vivere la settimana Santa, del Card. Carlo Maria Martini

La benedizione delle palme, da cui questa domenica prende il nome, e la processione che ne è seguita vogliono evocare l'ingresso in Gerusalemme di Gesù e la folla che gli va incontro festosa e acclamante.

Forse la nostra processione appare un po' povera rispetto a ciò che dovrebbe rievocare. L'importante, tuttavia, non è prendere in mano le palme e gli ulivi e compiere qualche pas-so, ma esprimere la volontà di iniziare un cammino. Questa scena infatti, che vorrebbe essere di entusiasmo, non ha valore in sé: assume piuttosto il suo significato nell'insieme degli eventi successivi che culmineranno nella morte e nella risurrezione di Gesù. Contiene perciò una domanda che è anche un invito: vuoi tu muovere i passi entrando con Gesù a Gerusalemme fino al calvario? Vuoi vedere dove finiscono i passi del tuo Dio, vuoi essere con lui là dove lui è? Solo così sarà tua la gioia di Pasqua.

Entriamo dunque con la domenica delle Palme nella Settimana santa, chiamata anche "autentica" o "grande". Grande perché, come dice san Giovanni Crisostomo, «in essa si sono verificati per noi beni infallibili: si è conclusa la lunga guerra, è stata estinta la morte, cancellata la maledizione, rimossa ogni barriera, soppressa la schiavitù del peccato. In essa il Dio della pace ha pacificato ogni cosa, sia in cielo che in terra».
Sarà dunque una settimana nella quale pregheremo in particolare per la pace a Gerusalemme e ci interrogheremo pure sulle condizioni profonde per attuare una reale pace a Gerusalemme e nel resto del mondo.

La liturgia odierna è quindi un preludio alla Pasqua del Signore. L'entrata in Gerusalemme dà il via all'ora storica di Cristo, l'ora verso la quale tende tutta la sua vita, l'ora che è al centro della storia del mondo. Gesù stesso lo dirà poco dopo ai greci che, avendo saputo della sua presenza in città, chiedono di vederlo: «È venuta l'ora in cui sarà glorificato il Figlio dell'uomo» (Gv 12,23). Gloria che risplenderà quando dalla croce attirerà tutti a sé.
(Carlo Maria MARTINI, Incontro al Signore risorto, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2009, 159-160).

CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA DELLE PALME
E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Piazza San Pietro
XXIX Giornata Mondiale della Gioventù
Domenica, 13 aprile 2014

Chi sono io davanti al mio Signore?

 Questa settimana incomincia con la processione festosa con i rami di ulivo: tutto il popolo accoglie Gesù. I bambini, i ragazzi cantano, lodano Gesù.

Ma questa settimana va avanti nel mistero della morte di Gesù e della sua risurrezione. Abbiamo ascoltato la Passione del Signore. Ci farà bene farci soltanto una domanda: chi sono io? Chi sono io, davanti al mio Signore? Chi sono io, davanti a Gesù che entra in festa in Gerusalemme? Sono capace di esprimere la mia gioia, di lodarlo? O prendo distanza? Chi sono io, davanti a Gesù che soffre?

Abbiamo sentito tanti nomi, tanti nomi. Il gruppo dei dirigenti, alcuni sacerdoti, alcuni farisei, alcuni maestri della legge, che avevano deciso di ucciderlo. Aspettavano l’opportunità di prenderlo. Sono io come uno di loro?

Abbiamo sentito anche un altro nome: Giuda. 30 monete. Sono io come Giuda? Abbiamo sentito altri nomi: i discepoli che non capivano niente, che si addormentavano mentre il Signore soffriva. La mia vita è addormentata? O sono come i discepoli, che non capivano che cosa fosse tradire Gesù? Come quell’altro discepolo che voleva risolvere tutto con la spada: sono io come loro? Sono io come Giuda, che fa finta di amare e bacia il Maestro per consegnarlo, per tradirlo? Sono io, traditore? Sono io come quei dirigenti che di fretta fanno il tribunale e cercano falsi testimoni: sono io come loro? E quando faccio queste cose, se le faccio, credo che con questo salvo il popolo?
Sono io come Pilato? Quando vedo che la situazione è difficile, mi lavo le mani e non so assumere la mia responsabilità e lascio condannare – o condanno io – le persone?

Sono io come quella folla che non sapeva bene se era in una riunione religiosa, in un giudizio o in un circo, e sceglie Barabba? Per loro è lo stesso: era più divertente, per umiliare Gesù.
Sono io come i soldati che colpiscono il Signore, Gli sputano addosso, lo insultano, si divertono con l’umiliazione del Signore?
Sono io come il Cireneo che tornava dal lavoro, affaticato, ma ha avuto la buona volontà di aiutare il Signore a portare la croce?

Sono io come quelli che passavano davanti alla Croce e si facevano beffe di Gesù: “Era tanto coraggioso! Scenda dalla croce, a noi crederemo in Lui!”. Farsi beffe di Gesù…

Sono io come quelle donne coraggiose, e come la Mamma di Gesù, che erano lì, soffrivano in silenzio?
Sono io come Giuseppe, il discepolo nascosto, che porta il corpo di Gesù con amore, per dargli sepoltura?

Sono io come le due Marie che rimangono davanti al Sepolcro piangendo, pregando?

Sono io come quei capi che il giorno seguente sono andati da Pilato per dire: “Guarda che questo diceva che sarebbe risuscitato. Che non venga un altro inganno!”, e bloccano la vita, bloccano il sepolcro per difendere la dottrina, perché la vita non venga fuori?

Dov’è il mio cuore? A quale di queste persone io assomiglio? Che questa domanda ci accompagni durante tutta la settimana.


venerdì 20 marzo 2015

Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.




E’ GIUNTA L’ORA

DOMENICA QUINTA DI QUARESIMA ANNO B: 22 MARZO 2015


Dal Vangelo secondo Gv 12,20-33

Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci.
Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù».
Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù.
Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato.
In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.
Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.
Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà.
Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per
questo sono giunto a quest’ora!
Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato».
Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me».
Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

Parola del Signore!

Enzo: Questo brano di vangelo stupisce ogni volta che lo leggiamo, è così profondo che ha bisogno di essere letto e riletto. Cosa in realtà ci vuol dire l’evangelista Giovanni? Giovanni nel suo vangelo ha la sua mente fissa all’attesa dell’ora ultima di Gesù. Forse fu l’unico discepol a capire fino in fondo la realtà del Messia, Salvatore del popolo di Dio, prima che arrivasse l’ora stabilita dal Padre.
Non meraviglia che dei Greci chiedano a Filippo di vedere Gesù, forse per curiosità  avendo sentito le meraviglie operate  da Lui. Gesù informato del fatto sembra non interessarsi a loro, intraprende invece un discorso per parlare in primo luogo di sé.

“È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato”, così risponde ad Andrea e Filippo e indirettamente alla richiesta dei greci di vederlo. La loro domanda sembra non avere risposta ma un significato importante ce lo dà il monologo di Gesù: era necessario che il Figlio dell’uomo fosse innalzato in croce e alla gloria perché anche i pagani potessero vedere Gesù con l’occhio della fede e godere i frutti della redenzione.
E' vicina l’ora della glorificazione di Gesù, l’ora della glorificazione del Padre in Gesù: la missione di Gesù sarà presto compiuta non senza la debolezza dell’uomo che era in lui: la mia anima è turbata, è giunta la mia ora.
La “sua ora”, mille miglia lontana dalle nozze di Cana, adesso è arrivata.

Gesù non si tira indietro, dà una spiegazione a questa sua decisione: la sua morte è necessaria come il chicco  di grano che muore per produrre frutto, se non muore rimane solo. Per Gesù non era sufficiente venire sulla terra, era necessario donare la sua vita, perché apparisse chiaro l’amore del Padre e del figlio per la salvezza dell’uomo: doveva morire per dare credibilità alla sua missione, morire per dare forza e vita a coloro che continueranno ciò che Lui ha iniziato, morire per dare credito alla sua opera.

Nelle sue parole, un invito per chi lo seguirà, parole incomprensibili in quel momento, ma che danno un indirizzo esatto ai suoi discepoli una volta che si ricrederanno: ”Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.
Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà”.

La morte di Gesù è la condizione perché la Chiesa nasca e si espanda in tutto il mondo: Gesù è il seme che il Padre dona alla terra, seme che porterà frutto. Il destino dei credenti sarà quello di Gesù” : “Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. La morte di Gesù è l’istante fondatore dell’essere cristiano, della Chiesa.

La scena si completa con una voce che arriva dal cielo, destinata al popolo presente: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!». Gesù si preoccupa subito di dare una spiegazione: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me».

La gente che lo circonda non si rende conto del valore della missione di Gesù. Il mistero pasquale si caratterizza per il giudizio che esprime sul principe del questo mondo, Satana ,l'istigatore del "Crucifiggilo!".
Sembra che Satana abbia vinto, ma è arrivato il giudizio vero, il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Dalla croce Gesù attirerà tutti a sé. La croce da simbolo di vergogna e di martirio diventerà segno di vittoria.

 “La croce -scriveva Simone Weil-  è la nostra patria…nessuna foresta porta un tale albero, con questo fiore, con queste foglie e questo seme… Se noi acconsentiamo, Dio getta in noi un piccolo seme e se ne va. In quel momento Dio non ha più niente da fare e neppure noi, se non attendere. Dobbiamo soltanto non pentirci del consenso nuziale, che gli abbiamo accordato”.

Mariella: Il brano evangelico della prossima domenica segue la narrazione dell'ingresso di Gesù a Gerusalemme e offre l'annuncio della sua passione e morte.
Gerusalemme, per le cerimonie della pasqua ebraica, diventa centro di interesse per gente straniera di passaggio. Tra la folla dei pellegrini giunti a Gerusalemme per la Pasqua c'erano pure dei proseliti che pur non facendo parte del popolo d'Israele, tuttavia onoravano Dio secondo la religione ebraica. Essi desiderano vedere Gesù, forse spinti dalle tante voci d’interesse verso questo personaggio straordinario per i tanti miracoli da Lui operati e si rivolgono ad un discepolo, Filippo,  dal nome greco, che probabilmente parlava la loro lingua, essendo di Betsàida.
“Vogliamo vedere Gesù”
Vedere, significa in questo caso, capire chi è questa persona, conoscerla  personalmente, è un verbo di movimento che evidenzia lo slancio proprio della fede, di chi cerca la fonte vera della vita, la verità sempre desiderata e mai incontrata  veramente.
 
Gesù rispose loro, dicendo: «È venuta l'ora affinché sia glorificato il Figlio dell'uomo.

Gesù, il Figlio dell'uomo, parla del mistero di quest’ora: la sua glorificazione attraverso la morte. La sua vera gloria avverrà quando salirà sul quel patibolo infame che è la croce, conducendo alla salvezza ogni persona.   La sua morte imminente e il frutto che essa porterà, sta alla radice della possibilità per tutti i popoli di godere della salvezza e di venire alla fede, e dunque di vedere Gesù. 
Gesù sente il turbamento, si rende conto di tutto ciò che dovrà affrontare, però comprende che la fedeltà al Padre è più importante. Egli sa che il suo sacrificio salverà l’umanità intera. E’ il chicco che muore e porta molto frutto.

La risposta di Gesù do­na occhi profondi a tutti noi che forse con la stessa curiosità di allora vogliamo vedere Gesù. Egli ci dice: se volete capire me, guardate il chicco di grano; se volete vedermi, guardate la croce. Il chicco di grano e la croce sono due imma­gini chiave del mistero che avvolge Gesù.
Il chicco che muore produ­ce molto frutto. L'accento non è dunque sulla morte, ma sulla vita.
Gloria di Dio non è il morire, ma il molto frutto buono che produce il morire a sé stessi per rinascere in Cristo.
Un qualsiasi seme in sé stesso non produce nessun segno di vita. Caduto in terra, il seme muore alla sua forma originaria e rinasce in for­ma di germe, seme e germe non sono due cose di­verse, sono la stessa cosa ­ma il seme insignificante viene trasformato in vita: la gemma si muta in fio­re, il fiore in frutto.
Nel ciclo vitale come in quello spirituale «la vita non è tolta ma trasformata»Ogni uomo e donna sono chicco di grano, seminato nei solchi della storia, della fa­miglia, dell'ambiente di la­voro e chiamato a portare molto frutto.
La vita di ogni cristiano non è fatta di allori, ma significa lodare il Signore nel servizio dei fratelli, cominciando dai piccoli segni di ogni giorno, quelli che costano fatica, rinuncia, sacrificio, sofferenza e che si manifestano attraverso l’amore.  Solo dove esiste l'amore, c'è la realizzazione piena dell'uomo, e la vita si ha nella misura in cui ci si dona.

La seconda icona che ci viene evidenziata come cammino di fede per conoscere Gesù è la croce.
«Per sapere chi sia Dio de­vo solo inginocchiarmi ai piedi della Croce»  diceva Karl Rah­ner. Solo ai piedi di essa potremo comprendere l’amore infinito di un Padre che dona suo Figlio per salvare ciascuno di noi. Gesù dall'alto della croce può attirare tutti a se.  La croce dunque non come segno di sconfitta, ma come strumento di vittoria.

 Gesù ora si rivolge direttamente ad ogni discepolo "chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita la conserverà per la vita eterna" cioè solamente dopo aver liberato il cuore da ogni egoismo per aprirsi all'amore totale, il cristiano non mancherà all'appuntamento con la sua "ora", momento in cui accetta di ricominciare a vivere quale seme di Dio nella storia del mondo.
Ogni discepolo di Gesù dovrà essere disposto a seguire la via della croce, la sequela implica la rinuncia anche alla vita terrena se necessario, per condividere fino in fondo la sorte del Maestro.

Il brano volge in una preghiera di Gesù al Padre: “Adesso l'anima mia è turbata; e che dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a questa ora!” più che una richiesta perché lo allontani dalla prova, Gesù manifesta una totale adesione alla volontà del Padre, ma Gli rivolge una forte supplica perché lo sostenga nella lotta che sta per affrontare.

In risposta alla preghiera di Gesù, dal cielo viene una voce che stabilisce una continuità fra il passato, in cui Gesù ha reso gloria al Padre con le sue opere e il futuro, in cui lo glorificherà con la morte in croce, manifestazione definitiva del disegno di salvezza del Padre.

Certamente questo brano ci tocca sul vivo e c’interroga sul nostro sincero desiderio di “vedere Gesù”, ossia di conoscerLo attraverso la sua Parola con cui familiarizzare ogni giorno. Vedere Gesù vuol dire assumerne l'energia spirituale attraverso i suoi sacramenti, vuol dire incontrarlo personalmente in chi vive accanto a noi, soprattutto in chi è più scomodo, in chi è ultimo degli ultimi.

Signore, io voglio vedere te, per vivere te nei miei giorni. Aprimi bene gli occhi di una fede viva perché possa riconoscerti, amarti e servirti.”

La voce di una santa dei nostri giorni

Non cercate Gesù in terre lontane: Lui non è là. È vicino a voi. È con voi. Basta che teniate il lume acceso e Lo vedrete sempre. Continuate a riempire il lume con piccole gocce d'amore e vedrete quanto è dolce il Dio che amate.
Madre Teresa di Calcutta


venerdì 13 marzo 2015

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito.




«Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32)

Quarta settimana di quaresima: Anno B 15 marzo 2015



Dal  Vangelo secondo Gv 3,14-21

E come Mosè innalzò
il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia
salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie.
Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano
riprovate.
Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Parola del Signore!

Enzo: Questo brano segue il dialogo di Gesù con Nicodemo. Non è più un dialogo ma un monologo: difficile affermare che siano parole di Gesù rivolte ancora a Nicodemo o una riflessione dell’evangelista Giovanni, forse di tutti e due.
Questa riflessione comunque dà credito alla missione di Gesù: radicata nella storia di Israele la missione di Gesù apporta il compimento delle Scritture. Gesù ci rivela che il piano salvifico del Padre prevedeva la sua morte in croce. L’innalzamento del serpente da parte di Mosè nel deserto strappava alla morte gli ebrei infedeli, l’innalzamento sulla croce di Gesù, il Figlio dell’uomo, sarà segno di salvezza per coloro che crederanno in Lui.
L’innalzamento sulla croce coincide con l’esaltazione di Gesù, come per l’innalzamento del serpente nel deserto indicava la potenza di Dio.

 L’esaltazione nel vangelo di Giovanni è il centro di tutta la rivelazione della salvezza: la morte in croce di Gesù è l’ora tanto attesa quanto osteggiata della Redenzione, quell’ora diventerà per ogni uomo l’attimo che cambierà la sua vita, il momento in cui per mezzo dello Spirito Santo potremo dire: “Credo in te, Gesù, mio Salvatore”.

La croce è esaltazione perché luogo e segno della rivelazione dell’amore di Dio: Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Unica condizione richiesta per avere la vita è  l’accoglienza del dono di Dio con l’adesione di fede al Figlio unigenito.
Incondizionata deve essere la risposta dell’uomo: “Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”.

Chi non crede si condanna da sé perché continua a preferire le tenebre alla luce, rifiuta la Luce che è venuta nel mondo, la odia: :” la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie”. L’uomo abusando della sua libertà diventa giudice di se stesso.

La liturgia di questa domenica anche se fa intravedere la croce, è un richiamo alla gioia, un viaggio verso la luce: è un invito alla fede in Dio e a compiere le opere in Lui.
L’amore incondizionato di Dio in Gesù esige la risposta dell’uomo. Dio ha fatto la sua parte:” Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia
salvato per mezzo di lui”.  Salvezza vuol dire riconciliazione, riconoscenza, ringraziamento, lode.

Chi ha creduto, chi crede nel mistero di Gesù opera come Gesù, “fa la verità”, va verso la luce: le sue opere sono approvate perché sono state fatte in Dio, nell’amore di Dio. Fa la verità colui che rinnega il peccato, accoglie la Parola e crede in Gesù e in colui che lo ha mandato

Festeggiamo l’espressione ultima dell’amore di Dio: spesso siamo abituati a guardare la croce sotto l’aspetto sacrificale e sanguinoso con un gesto di pietà verso Gesù sofferente. L’aspetto più positivo che ci fa guardare verso l’alto, l’esaltazione, ci dice che nella croce  il Figlio e il Padre sono in comunione perfetta con uno stesso amore per la salvezza dell’uomo.

Gesù ha lasciato alla Chiesa, suo popolo, il compito di continuare la sua missione nel mondo che non lo conosce o che lo nega. Chiede ad ognuno di noi di operare come lui, abbracciare la sua croce, innalzarci cioè sacrificarsi per il Regno di Dio, pregare insistentemente per coloro che si autoescludono dalla salvezza gratuita , pregare per la sua Chiesa che sia santa al cospetto del Padre e testimone del suo inviato, Gesù.

MARIELLA: Il Vangelo che verrà letto domenica prossima è un brano bellissimo che meriterebbe davvero tutta la nostra attenzione e devozione, “Dio infatti ha tanto amato….” sono parole che vanno lette e rilette, meditate, gustate e contemplate!

       Ma ci rendiamo conto che Dio ha preferito salvare la vita dell'uomo a costo della vita di suo Figlio? Dal punto di vista umano questa scelta potrebbe apparire semplice follia! Ma sappiamo anche che ciò che è stolto per l'uomo, è sapienza per Dio...

Allora davanti a questa realtà di apparente insensatezza, non si può restare indifferenti, si deve prendere una posizione, o di consapevolezza e accoglienza nella fede o di rifiuto.L'adesione al progetto divino spalanca le porte alla vita eterna, ma non solo, inizia già in questo mondo perché in questa vita viene offerta la possibilità di percepire la grandezza, la profondità e l'altezza dell'amore divino.

Così anche per chi non vuole credere al Vangelo la condanna inizia egualmente in questa vita perché non si possiede quella luce necessaria per illuminare il proprio cammino e che può venire solo da Dio e da nessun altro!

 Ora se permettete vorrei far parlare Padre Augusto Drago che commentando questo brano evangelico si esprime così:

 Padre Augusto Drago
 
Il Padre ha amato l'umanità, ha amato l'uomo, fatto ad immagine e somiglianza sua. Come non avrebbe potuto amarlo? Di onore e di gloria lo aveva rivestito, lo aveva fatto poco meno degli angeli. Le sue dita lo avevano plasmato .

Come non poteva amarlo? Può un vero Padre non amare la sua creatura? Ed anche quando l'uomo (l'umanità) è caduto nel peccato volgendo le spalle al suo Creatore, Dio non lo ha abbandonato al suo infelice destino. Dio, il Padre, è l'amante che non cessa mai di amare! E come potrebbe non amare Lui che è Amore essenzialmente!

Dire Amore e dire Dio-Padre è la stessa cosa! L'Amore è infinitamente più forte del peccato!La Luce splende nelle tenebre ma queste ultime non l'hanno spenta. Questa Luce è venuta nel mondo, ci dice Giovanni nel Prologo. La Luce che splende nelle tenebre è il Figlio dell'Amore del Padre, il Diletto, l'Amato.

Ebbene, ecco la cosa inaudita: poiché l'Amore è più forte del peccato, per salvare l'uomo Dio manda a noi suo Figlio! Il compito del Figlio è salvare, non giudicare o condannare. Gesù, il Figlio diletto, il Figlio nel quale il Padre ha posto la sua compiacenza, è venuto per dirci, narrarci questo Amore "pazzo" di Dio, Amore folle, come lo descriva sant'Agostino.

Fratelli e sorelle: pensiamo seriamente un poco, solo un poco. Siamo troppo abituati a sentirci ripetere che Dio è Amore, che ci ama, che ci ha mandato suo Figlio, tanto abituati che tutto questo straordinario miracolo dell'Amore lo diamo per scontato, ci siamo abituati a sentircelo ripetere: non ci porta più alcuna novità.

Lo sappiamo. Punto! Invece non dovremmo mai stancarci di essere pieni di ammirato stupore: Dio, il Padre, ci ha dato ciò che di più caro, di più prezioso poteva darci: SUO FIGLIO!!!!!Cosa poteva darci di più?

Perché non ne rimaniamo più stupiti? Perché lo diamo per scontato? Perché le difficoltà della vita ce lo fanno dimenticare? Può un padre dimenticare i suoi figli?No, di certo quando si tratta di Dio. Ma forse il punto è un altro.

Siamo diventati così scettici sull'amore di Dio, e ci siamo fatti travolgere dalle cose e dalle preoccupazioni o magari dalle semplici occupazioni di questo mondo, da non crederci fino in fondo! Ecco il dramma.

Per questo Gesù nel suo discorso, rivolto non più allo scomparso Nicodemo, ma personalmente a noi, ci parla della fede. Questa è il punto discriminante. Siamo posti davanti a questo viscerale Amore del Padre che si manifesta nel Figlio. Non si può essere indifferenti!

Occorre prendere posizione davanti a questa inimmaginabile opera dell'Amore. Le posizioni possibili sono due: o accoglierlo ed accoglierlo nella fede, o non accoglierlo perché irretiti dalle cose di questo mondo. Il rifiuto può nascondere, e di fatto nasconde, la paura che accettando Cristo e l'Amore che Egli è venuto a portarci, perdiamo qualcosa di noi stessi, qualcosa a cui non vorremmo rinunciare mai! Ma non sappiamo che l'Amore non toglie nulla, ed invece dona tutto!
Allora guardate, fratelli e sorelle cosa dice Gesù: chi crede è già salvo! Chi non crede è già condannato. C'è un presente ed un passato storico
.
Chi crede ora, adesso è già salvo! E' entrato nel recinto del Regno e ne assapora le dolcezze che riempiono di gioia e di pace il cuore. Chi non crede è già stato condannato.
Chi condanna? Chi decreta tale condanna? La fede è di per sé discriminante: è l'uomo stesso che scegliendo o voltando le spalle a Cristo e alla sua Luce di verità, si autocondanna, si auto esclude. Non Dio condanna, ma l'uomo si condanna con le sue mani!

Chi crede sarà salvato, già in lui la salvezza comincia ad agire e ad operare: chi crede assapora le gioie del Regno! Questo è il giudizio. A pronunciarlo non sarà Dio, ma l'uomo stesso.
Strano: tutti diciamo di volere la gioia, la pace, la serenità, la concordia e poi, escludendoci dalla fonte da cui queste cose promanano, defraudiamo noi stessi!

La luce è venuta nel mondo: la Luce è l'Amore che l'Amato ci manifesta. Ma Dio non può altro che "tristemente constatare" che gli uomini scelgono le tenebre anziché la Luce!  Allora! Fratelli e sorelle: saremo salvati o siamo già condannati?

Salvati dall'Amore, auto condannati a motivo del rifiuto.
Cosa abbiamo scelto? Gesù questa sera ci chiede di verificare a fondo che cosa veramente abbiamo scelto! 

 Essere nella Bellezza 

sfolgorante della Luce? 

Oppure rimanere prigionieri 

del mondo di tenebra che noi 

stessi ci siamo costruito con le

 nostre mani?



MARIELLA: Terminiamo questa nostra riflessione con la recita del salmo 50 e una preghiera di don Tonino Bello 

Salmo 50:supplica a Dio per il perdono
Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia,
nel tuo grande amore cancella il mio peccato.

Lavami da tutte le mie colpe,
mondami dal mio peccato.

Riconosco la mia colpa,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.

Purificami con issopo e sarò mondato,
lavami e sarò più bianco della neve.

Distogli lo sguardo dai miei peccati,
cancella tutte le mie colpe.

Crea in me, a Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.

Uno spirito contrito è sacrificio a Dio,
un cuore affranto e umiliato, Tu, o Dio, non disprezzi".

L'anima soffre e anela al Signore, preghiera di Don Tonino Bello

Aiutaci, o Signore, a portare avanti nel mondo e dentro di noi la tua risurrezione.

Donaci la forza di frantumare tutte le tombe in cui la prepotenza, l'ingiustizia, la ricchezza, l'egoismo, il peccato, la solitudine, la malattia, il tradimento, la miseria, l'indifferenza hanno murato gli uomini vivi.

Metti una grande speranza nel cuore degli uomini, specialmente di chi piange.
Concedi, a chi non crede in te, di comprendere che la tua Pasqua è l'unica forza della storia perennemente eversiva. 

E poi, finalmente, o Signore, restituisci anche noi, tuoi credenti, alla nostra condizione di uomini.



venerdì 6 marzo 2015

Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere



“Lo zelo per la tua casa mi divorerà”


 Terza domenica di quaresima: 8 marzo2014



Dal vangelo secondo Gv 2,13-25

Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambia monete.
Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».
I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: “Lo zelo per la tua casa mi divorerà”.
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?».
Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere».
Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome.
Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo


Mariella: Dopo il silenzio e le tentazioni del deserto e la luce del monte Tabor, la Parola della terza domenica di quaresima c’invita a riflettere sul Tempio, luogo santo di Dio.
Quello dei venditori del Tempio di Gerusalemme  è un racconto che viene riportato da tutti e quattro gli evangelisti, con la differenza, rispetto ai sinottici, che Giovanni lo colloca all'inizio del ministero di Gesù, forse a voler sottolineare una rottura totale con il mondo e le tradizioni giudaiche.
Per Gesù infatti, la festa ebraica era scaduta nel suo significato, passando dal ricordo della liberazione, ad un evento legato alla vendita di animali per il sacrifico, favorito dai sacerdoti principalmente interessati al guadagno che questo commercio comportava.
Di fronte allo spettacolo poco edificante del commercio di animali nel cortile del tempio, Gesù prepara una frusta di cordicelle e caccia fuori animali e venditori, rovesciando banchi e gettando a terra le monete.

Il suo è un gesto inatteso, ricordiamo che in Lui sono presenti tenerezza e dolcezza infinita, ma anche determinazione, forza e coraggio pari a quelle di un combattente sul campo di battaglia, quando si tratta di riportare alla coerenza ciò che dall’uomo è stato travisato.

In questo testo per la prima volta Gesù chiama Dio con il termine di Padre mio e quindi indirettamente si proclama suo Figlio. Se Dio è Padre allora il culto a lui dovuto non può consistere solo in sacrifici materiali, ma dovrà essere un culto spirituale e interiore da vivere nell'amore totale come si richiede verso un Padre che tutto ha donato.

Gesù non può dunque tollerare che la casa del Padre suo sia luogo di commerci, si arrabbia con chi propone un imbruttimento del volto di Dio, il culto che si deve al Padre è altra cosa e non permette compromessi o contraccambi. Nulla ha a che fare con guadagni o privilegi

Sa bene purtroppo che là dove si accettano anche solo piccoli commerci, piano piano si arriva a vendere e a comprare anche la vita di un uomo, così come avverrà per lui stesso da lì a poco, per trenta denari.  La sua è una vita tutta volta a compiere la volontà del Padre, sino alla fine e in questo senso il testo diventa anche un annuncio della passione e morte.

I giudei e i suoi avversari, chiedono un segno prodigioso a garanzia dell'autorità di Gesù.
Ma il segno proposto da Gesù si pone su di un piano completamente diverso: il suo non vuole essere un segno di potenza, ma un gesto profetico: Giovanni gioca intenzionalmente sull'ambiguità del verbo farò risorgere.
 Indicando la sua resurrezione afferma che avrebbe trasformato il vecchio tempio (di pietre) in uno nuovo segno inequivocabile della sua divinità. Il tempio si identifica così con il suo corpo; è il segno di Giona di cui parlano anche i sinottici.

Gesù, è dunque il luogo della presenza e della manifestazione di Dio in mezzo all'umanità, è il vero tempio ed il culto a Dio dovrà d'ora in poi fare riferimento alla sua persona.
Il segno del tempio che Gesù ha appena offerto, è un gesto che ci richiama all'autenticità del nostro rapporto con Dio.  Anche il nostro cuore è tempio che Dio vuole abitare, non facciamo dunque di questo cuore un mercato.

Dio non si compra e non si vende, Egli non è un funzionario da corrompere o un venditore da tener buono con una abbondante donazione. Con Dio, insomma, non si può mercanteggiare, la fede non si baratta con nulla al mondo, la fede non scende a compromessi e non cede a ricatti, sono valori sacri ed intoccabili, incorruttibili nel tempo.


Spesso anche la vita diventa un mercato, essa viene ridotta ad una sorta di compravendita, così che nulla è fatto gratuitamente. Tutto si fa per interesse, quel che conta è il guadagno a qualunque prezzo e con questa prospettiva si coltivano erbe velenose che sono l’arroganza, l'insaziabilità, l’egoismo, l’invidia che rendono la vita più amara per tutti. Per l’avidità umana tutto si può comprare.

Gesù oggi entra nella nostra vita,  e vuole rovesciare  i falsi valori che nel tempo ci siamo coltivati, manda all'aria le bancarelle dei nostri interessi meschini e riafferma il valore primario ed assoluto di Dio: tutto questo, se lo vogliamo.
È lo zelo che il Signore ha per ognuno di noi, per il nostro cuore, per la nostra vita perché ognuno di noi possa finalmente aprirsi ad accogliere Dio! Lasciamoci cambiare il cuore dal Vangelo e troveremo la via della felicità e della resurrezione.

Enzo:Abbiamo commentato questo brano di Giovanni per la domenica del cinque novembre del 2014 in occasione della festa della dedicazione della Basilica lateranense in Roma.
Molte cose ancora potremmo aggiungere ma ci sarà ancora occasione di tornarci sopra.
In questa occasione vorrei attualizzare questo brano con parole di Papa Francesco con l’intenzione di scoprire insieme i trafficanti cristiani e non, del mondo in cui viviamo. Papa Francesco assimila il Tempio, casa di preghiera, al popolo di Dio, semplice e fedele che andava al Tempio per Dio. La profanazione è ritenuta uno scandalo: profanazione di quello che è di Dio e profanazione dell’uomo giusto.. Facendo poi mente locale cerchiamo di scoprire quali scandali esistevano ai tempi di Gesù e quali quelli dei nostri giorni a tutto campo, religioso e sociale.



  Quello di Gesù – ha spiegato il Papa - è un gesto di purificazione: “il Tempio era stato profanato” e con il Tempio, il popolo di Dio. Profanato con il peccato tanto grave che è lo scandalo”.
 
“La gente è buona – osserva il Papa - la gente andava al Tempio, non guardava queste cose; cercava Dio, pregava … ma doveva cambiare le monete per fare le offerte”. Il popolo di Dio andava al Tempio non per questa gente, per quelli che vendevano, ma andava al Tempio per Dioe “lì c’era la corruzione che scandalizzava il popolo”. 

Il Papa ricorda l’episodio biblico di Anna, donna umile, mamma di Samuele, che va al Tempio per chiedere la grazia di un figlio: “bisbigliava in silenzio le sue preghiere”, mentre il sacerdote e i suoi due figli erano corrotti, sfruttavano i pellegrini, scandalizzavano il popolo. “Io penso allo scandalo che possiamo fare alla gente con il nostro atteggiamento – sottolinea Papa Francesco - con le nostre abitudini non sacerdotali nel Tempio: lo scandalo del commercio, lo scandalo delle mondanità … Quante volte vediamo che entrando in una chiesa, ancora oggi, c’è lì la lista dei prezzi” per il battesimo, la benedizione, le intenzioni per la Messa. “E il popolo si scandalizza”.

“Una volta, appena sacerdote, io ero con un gruppo di universitari, e voleva sposarsi una coppia di fidanzati. Erano andati in una parrocchia: ma, volevano farlo con la Messa. E lì, il segretario parrocchiale ha detto: ‘No, no: non si può’ – ‘Ma perché non si può con la Messa? Se il Concilio raccomanda di farlo sempre con la Messa …’ – ‘No, non si può, perché più di 20 minuti non si può’ – ‘Ma perché?’ – ‘Perché ci sono altri turni’ – ‘Ma, noi vogliamo la Messa!’ – ‘Ma pagate due turni!’. E per sposarsi con la Messa hanno dovuto pagare due turni. Questo è peccato di scandalo”.

Il Papa aggiunge: “Noi sappiamo quello che dice Gesù a quelli che sono causa di scandalo: ‘Meglio essere buttati nel mare’”:
"Quando quelli che sono nel Tempio – siano sacerdoti, laici, segretari, ma che hanno da gestire nel Tempio la pastorale del Tempio – divengono affaristi, il popolo si scandalizza. E noi siamo responsabili di questo. 

Anche i laici, eh? Tutti. Perché se io vedo che nella mia parrocchia si fa questo, devo avere il coraggio di dirlo in faccia al parroco. E la gente soffre quello scandalo. E’ curioso: il popolo di Dio sa perdonare i suoi preti, quando hanno una debolezza, scivolano su un peccato … sa perdonare. Ma ci sono due cose che il popolo di Dio non può perdonare: un prete attaccato ai soldi e un prete che maltratta la gente. Non ce la fa a perdonare! E lo scandalo, quando il Tempio, la Casa di Dio, diventa una casa di affari, come quel matrimonio: si affittava la chiesa”.

Gesù “non è arrabbiato” – spiega il Papa – “è l’Ira di Dio, è lo zelo per la Casa di Dio” perché non si possono servire due padroni: “o rendi il culto a Dio vivente, o rendi il culto ai soldi, al denaro”:
“Ma perché Gesù ce l’ha con i soldi, ce l’ha con il denaro? 

Perché la redenzione è gratuita; la gratuità di Dio Lui viene a portarci la gratuità totale dell’amore di Dio. E quando la Chiesa o le chiese diventano affariste, si dice che … eh, non è tanto gratuita, la salvezza … E’ per questo che Gesù prende la frusta in mano per fare questo rito di purificazione nel Tempio”.

“Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. 


Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché 

conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno

 desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti 

conosceva quello che c’è nell’uomo”.

 Enzo: Viene da chiedersi: e di noi cosa ne pensa Gesù?
 
Ancora una citazione di Papa Francesco tratta dal suo discorso ai rappresentati della confederazione delle cooperative italiane:


Non è facile parlare di denaro. Diceva Basilio di Cesarea, Padre della Chiesa del IV secolo, ripreso poi da san Francesco d’Assisi, che “il denaro è lo sterco del diavolo”. Lo ripete ora anche il Papa: “il denaro è lo sterco del diavolo”!
Quando il denaro diventa un idolo, comanda le scelte dell’uomo. E allora rovina l’uomo e lo condanna, lo rende un servo. Il denaro a servizio della vita può essere gestito nel modo giusto dalla cooperativa: una cooperativa sarà autentica e vera se in essa  non comanda il capitale sugli uomini ma gli uomini sul capitale.