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giovedì 27 novembre 2014

Voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà


Domenica prima di Avvento   Anno B: 30 novembre 2014

Due parole di introduzione al periodo liturgico che incomincia. Per quasi tutti, dire avvento vuol dire prepararsi alla nascita di Gesù, ma l’avvento non è questo. 
L’avvento ricorda e proclama diverse venute del Signore, presenza che lascia sempre un’impronta del suo passaggio nella vita, nella vita di ogni credente. Questa prima domenica d’avvento ci introduce nella prospettiva ultima della vita umana: Il Signore Gesù verrà alla fine dei tempi per instaurare il Regno di Dio con tutti gli eletti. 
Ciò che potrebbe turbarci è il non sapere quando tutto questo avverrà: ci faremo trovare presi da cure mondane, o pronti e felici dell’incontro? Questo invito ad essere sempre pronti è il messaggio di Gesù per noi in questa prima domenica di Avvento.





Dal vangelo secondo Matteo 13,33-37

Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti, vegliate”

Parola del Signore!

Enzo: Mentre ci disponiamo a tornare sui nostri passi per ripetere o rinnovare il cammino per un nuovo anno liturgico in attesa del Natale di Gesù e rafforzarci in quel dono meraviglioso della fede, la liturgia della prima domenica dell’avvento ci invita a vegliare per un’altro avvenimento, il ritorno di Gesù Re e giudice, che ci è stato proposto domenica scorsa. Le due cose non si escludono anzi si completano: l’attesa del messia storico in questo periodo, è soltanto una celebrazione, una commemorazione gioiosa della sua nascita, celebrazione che porta grazia, allegria nei nostri cuori e nelle famiglie, soprattutto ai nostri figli piccoli che ammirano nel presepe uno come loro. Gesù nasce per tutto il mondo: credenti e non festeggiano in modo diverso questo avvenimento, miracolo che unisce nel pensiero tutto il mondo, regalo di un Bambino venuto dal Cielo.


L’attesa per ciò che avverrà negli ultimi tempi che viene proposta alla nostra attenzione si chiama “vegliate”, ossia siate giusti, siate santi, fatevi trovare pronti per quando Lui tornerà: è una vigilanza sulla nostra vita, una continua conversione, un indirizzarci sempre di più verso il Regno di Dio.

Con questo brano si chiude il discorso riportato dall’evangelista Marco sulla fine dei tempi, che segnerà la fine del mondo e il ritorno glorioso del Figlio dell’uomo per la piena attuazione del Regno di Dio.
La fine è certa, Gesù stesso ce lo ha rivelato, ma quel momento è conosciuto soltanto dal Padre, come al Padre era conosciuto il momento dell’invio di Gesù messia, Salvatore. A Gesù fu affidato il compito dell’attuazione del regno e non la rivelazione della fine della storia umana da lui guidata.


Gesù rivolge un appello pressante alla vigilanza ai servitori ( i suoi discepoli) del padrone ( è Lui che torna al Padre).
Quello che dico a voi, lo dico a tutti, vegliate” : le disposizioni del vegliare sono rivolte al portiere cioè al responsabile della comunità e a tutti, al ristretto gruppo dei discepoli e tramite loro a tutte le generazioni dei credenti e anche ai gentili: ciascuno renderà a Dio ragione di se stesso. 
Le parole di Gesù non hanno lo scopo di spaventarci, ma sono una spinta a prendere coscienza del nostro modo di condurre la vita.


Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà…in che ora si farà vivo…
Gesù viene: C’è anche un’ora speciale per ogni uomo, un’ora in cui il Signore vuole entrare nella nostra vita, nelle nostre esperienze quotidiane o in casi non previsti: è il caso dei pastori che vegliavano nella notte, il caso dei re magi studiando le stelle, il caso di Paolo di Tarso…anche per noi è scoccata quell’ora? Tutti siamo chiamati a custodire quell’ora, quel momento magico di un incontro con Dio, cioè vegliare su noi stessi “per non cadere in tentazione”, perdere quell’ultimo importante appuntamento.


L’ora: c’è stata un’ora anche per Gesù, attesa tremenda, quella della sua morte, seguita poi dalla sua risurrezione. Era l’ora stabilita dal Padre per la nostra salvezza.

Oggi ci viene annunciata un’altra ora: l’ultima della storia, quella del ritorno del nostro Salvatore, l’ora del resoconto per tutta l’umanità, l’ora del Regno di Dio, della glorificazione di Gesù che riporta al Padre l’umanità redenta.

Quando verrà?

voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino.



Di sera, a mezzanotte, al canto del gallo, al mattino? Corrispondono alla divisione di quattro tempi di tre ore ciascuno con cui veniva divisa la notte secondo il computo romano; dal tramonto del sole fino alle sei del mattino, secondo gli ebrei che dividevano la notte in tre veglie di quattro ore. Gesù può arrivare in qualsiasi momento, ci vuole pronti ad accoglierlo.



Sant’Agostino in una sua omelia così esorta:

“Veglia, quindi, in questa notte, tanto il mondo ostile, quanto il mondo riconciliato. Questo, veglia per lodare, liberato, il proprio medico; quello, condannato, per abbandonarsi alla bestemmia. Veglia questo, fervido e luminoso nei pii pensieri; quello digrignando i denti e struggendosi per la rabbia. Finalmente, a questo la carità, a quello l'iniquità; a questo il cristiano vigore, a quello il diabolico livore, mai permetterebbero di dormire in questa solennità”. Sant’Agostino

"Vegliare": l’apostolo Paolo nella sua lettera ai Romani così ci esorta: "Questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi, invece, del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri" (Rm 13,11-14).
Cosa rischia di farci addormentare?
Gesù nel Getsemani per ben te volte ricorda a Pietro, Giovanni e Giacomo la necessità di vegliare di pregare per non cadere in tentazione.

 


Mariella: Avvento, tempo di vigilanza, tempo di attesa della venuta di Cristo inviato dal Padre, tempo di speranza in Colui che viene per salvare ogni uomo, tempo d’implorazione, di preghiera e di meditazione, affinché il Signore alla sua venuta non ci trovi impreparati!

Egli viene per ricondurci al Padre, come un  pastore conduce le  sue pecore all’ovile. Perché sappiamo che l’umanità da sempre tende ad allontanarsi dalla retta via, per questo il profeta Isaia nella prima lettura, rivolge un’accorata preghiera:



"Tu, Signore, tu sei nostro padre, da sempre, ti chiami nostro redentore.
Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema?
Ritorna, per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità. Se tu squarciassi i cieli e scendessi!
Davanti a te sussulterebbero i monti!....



Queste parole profetiche trovano anche oggi ragione di esistere e ci fanno riflettere sul tempo che stiamo vivendo, non mancano infatti esempi continui di gente che cammina su vie sbagliate, di quel " vagare lontano"  che, troppo spesso, conduce alla perdizione.



Ed ecco quindi che dopo più di duemila anni la stessa invocazione si leva verso il cielo e chiede a Dio il suo intervento per restituire a questa umanità quella dignità che ha perso strada facendo.  L’Avvento dunque è questo tempo di attesa di una nuova venuta del Salvatore, il solo capace di restituire a questa umanità perduta una luce nuova ed una speranza certa.



Anche nel Vangelo di domenica prossima c’è questo invito all’attesa, una parabola nella quale  Gesù si paragona ad "uno che è partito per un viaggio, dopo aver lasciato la propria casa, e dato il potere sui suoi beni ai servi, assegnando a ciascuno un compito.  Sappiamo infatti che Cristo ritornerà, lo abbiamo ascoltato anche nel Vangelo di domenica scorsa, festa di Cristo Re dell’universo, nel tempo che ci è dato, dobbiamo vivere in operosa e vigilante attesa.



In questo senso, siamo noi i servi cui il Padrone, allontanatosi per un lungo viaggio, ha affidato i beni della sua casa, le sue ricchezze,  i suoi talenti. A ciascuno di noi ha affidato un compito ben preciso, nell’interesse del prossimo, soprattutto quello più bisognoso, compito che deve essere svolto con amore prima di tutto e con generosità. Quando Cristo ritornerà infatti, saremo giudicati sull’amore, l'amore per Lui, che si fa presente tra noi nella persona degli ultimi della terra.

Sì Dio accoglie il nostro grido disperato di aiuto, cammina verso di noi, viene a salvarci attraverso il volto di Cristo, ma attende anche che noi camminiamo verso di Lui, che ci mettiamo in viaggio verso Betlemme.



“Fate attenzione e vegliate” questo è il richiamo che Gesù ci lascia nel cuore per iniziare bene questo Avvento ed è un invito rivolto a tutti, senza esclusione e senza limite, tutti sono invitati alla vigilanza piena, come vigile è il portiere, affinché quando arriverà non ci trovi impreparati.



Ma cosa significa vegliare?

Significa riconoscere la meta verso la quale stiamo camminando e non smarrire la strada, significa non appesantire la nostra bisaccia ma renderla leggera fornita solo di quanto veramente ci è necessario e non del superfluo, perché i beni che ci vengono donati vanno condivisi e non devono essere un privilegio.  Vegliare significa essere sempre pronti ad annunciare e testimoniare la nostra fede, compiendo il nostro servizio proprio là dove siamo inviati, conservando sempre l’animo dei servi inutili, vegliare è rispettare il creato ed averne cura, affinché le generazioni che verranno possano godere degli stessi doni. Buon Avvento a tutti!

Nella pagina "Racconti" un bello e simpatico racconto sull'Avvento di Gianni Rodari



venerdì 21 novembre 2014

Siederà sul trono della sua gloria e separerà gli uni dagli altri.




Gesù unico re e giudice

Domenica 23 novembre 2014: FESTA di CRISTO RE
Ultima domenica dell’anno liturgico 2013-2014

 
Dal vangelo di Matteo 25, 31-46

Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli.
Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi
avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto,
nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito?
Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”.
E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco
eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”.
Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Parola del Signore!

Mariella: Con la prossima domenica, festa di Cristo Re, si chiude l’anno liturgico che quest’anno ci ha fatto gustare e meditare il Vangelo di Matteo, seguirà poi il periodo dell’Avvento in preparazione al Natale.
La liturgia di questa domenica è l'invito a guardare in alto e pensare al futuro, quello che sarà al termine della nostra vita terrena e questo è essenziale per noi, troppe volte assorbiti da un ritmo quotidiano di vita frenetico e materialista.

Il Vangelo ci vuole sottolineare che questo futuro ce lo prepariamo già oggi con i nostri atti concreti d'amore oppure di egoismo, con le nostre scelte rivolte al bene oppure al male.  Il nostro destino ultimo si gioca sulla realtà attuale della nostra vita.
Al termine dei nostri giorni saremo giudicati dal Re, non in base al nostro conto in banca o alla nostra qualifica professionale, ma in funzione di quanto avremo saputo amare i più bisognosi, i più emarginati, i più sofferenti.

Il nostro Re non vive in palazzi lussuosi,  non vuole primeggiare, non compete con altri nelle prime pagine dei giornali, ma si nasconde nell'affamato, assetato, ammalato, nello straniero che ci cammina accanto.
Cristo è Re di amore e per questo dona tutto se stesso, nulla impone, nulla pretende. Egli solo propone, noi siamo liberi di essere suoi oppure di rifiutarlo, scegliendo altri re che nulla hanno a vedere con Lui e con il suo amore.

C’è una domanda nel testo evangelico che colpisce, è rivolta a Gesù da parte dei giusti, ossia coloro che stanno alla destra di Dio nel giorno del giudizio. “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? ”
Una domanda piena di stupore, che esprime la semplicità e la gratuità di coloro che non fanno calcoli, ma amano col cuore di Dio.
Risponde Gesù: “ Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.   I poveri sono corpo di Cristo.  Chi ama i poveri ama Dio.

Dare da mangiare, visitare, coprire, consolare, accogliere i più bisognosi: questo significa appartenere a Lui. Amare perché lui ci possa amare, perché su di noi scenda la sua benedizione:  “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo…”
Siamo suoi quando impariamo ad essere sensibili alle sofferenze del mondo, ad avere un cuore, a volere bene, a sporcarsi le mani per gli altri!

Gesù a coloro che sono radunati alla sua sinistra rivolgerà parole molto dure che esprimono la condanna eterna: “Via, lontano da me, maledetti….”  Anche questi ultimi si dimostrano molto stupiti e rivolgono una domanda:  “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?” E Gesù risponde: “tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.

Ecco la differenza fra occhi che “vedono” e occhi che “non sanno vedere” fra un cuore che spinge a “fare” qualcosa per gli altri, ed un cuore che si chiude nel proprio egoismo e “non fa nulla” per il prossimo e dunque neppure per Dio!
Non basta andare a messa regolarmente, non bastano delle opere fatte per apparire, occorre un salto di qualità che è conversione quotidiana: punto di partenza e non di arrivo.
La conversione è cambiamento del cuore, è saper andare oltre i nostri calcoli, è lasciarsi condurre dal Signore là dove non avremmo mai voluto andare, è farsi vicino a quanti non potranno mai ricompensarci, è perdere tempo prezioso per chi è solo, disperato, malato, emarginato, anziano.
Sulla carità vera si gioca il nostro futuro eterno! La partita è aperta, sta a noi capire in quale direzione vogliamo muovere i passi!


Enzo: Il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria…siederà sul trono della sua gloria. Davanti a Lui tutti i popoli della terra.
Grandiosa questa immagine profetica di Gesù. Immaginiamo i tanti miliardi di uomini, donne, bambini che si sono succeduti sulla terra : ora si trovano radunati davanti al Re dei re, all’unico possibile Re di tutta la terra, attorniato da tutti gli angeli. Quanti angeli? Tanti miliardi anche loro… Ce n’è da far girare la testa, è la fine del mondo, grande gaudio! E’ l’ora eterna che non avrà fine.

Sì, è proprio della fine del mondo che Gesù ci parla questa domenica, ci parla in qualità di re e giudice. Ci torna a parlare del Regno dei cieli promesso, ci ricorda  con poche frasi quella che è stata la sua predicazione  quando si trovò in mezzo a noi, il comandamento più grande della Rivelazione:
Amare Dio e il prossimo, unico comandamento che supera qualsiasi altra legge, comandamento che assimila il nostro prossimo a Dio stesso.
“In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Venite, benedetti dal Padre mio”.
“In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno...”                 

L’evangelista Matteo conclude con questo brano il discorso escatologico, l’inizio e il trionfo del Regno dei cieli.  Dal modo di come si svolge l’azione del brano e dalle domande e risposte che abbiamo letto, possiamo capire che apparterrà al regno chi ha saputo accogliere il fratello bisognoso, non necessariamente chi ha conosciuto Gesù (ricordiamo il Buon Samaritano),

Nel brano si parla di giusti che andranno alla vita eterna. Tutti saremo giudicati unicamente in base alla carità verso i “suoi piccoli fratelli”, i poveri, coloro che nella propria carne hanno condiviso la stessa logica della croce, la sofferenza, la fame, la nudità, la solitudine, il rifiuto, coloro che sono stati perseguitati per il suo nome, tutti coloro con cui Gesù si è identificato in vita, povero tra i poveri.
 E tutto questo avverrà in un attimo terreno, nel Regno dei cieli non esistono orologi.

Quale re si è mai identificato con i suoi sudditi? Gesù è il re che si fa amico. Oggi ci appare come re e giusto giudice: l’amore predicato, crocifisso, non si contrappone alla giustizia del giudice e potente re.

L’evangelista Matteo ci riferisce altrove  che gli uomini dovranno rendere conto di tutti gli atti della loro vita (16,27) perfino di ogni parola (12,36). Annunciando il giudizio finale Gesù ci ricorda che per meritare il suo Regno ognuno deve praticare l’amore concreto per i poveri, i forestieri, gli oppressi, i  torturati, trascurati, deboli, disprezzati dai singoli o dalle comunità.
 Questa è la volontà di Dio, questa è la vigilanza a cui siamo stati spesso invitati, la pratica dell’amore.
L’enumerazione delle opere buone che Gesù fa in questa occasione non è esclusiva, ma complementare: vuole mettere in evidenza l’importanza che ha, per lui, il precetto dell’amore manifestato appunto in queste opere. Non esclude il resto, anzi, lo suppone


La sorte di ogni uomo dipende dall’accoglienza mostrata a tutti gli uomini, e in modo particolare a coloro che sono stati inviati ad annunciare il Vangelo, alla Chiesa tutta. Ogni uomo e ogni comunità cristiana  verranno giudicati sull’amore con cui hanno accolto lo straniero e quelli più vicini.

L’amore e l’impegno per gli altri. dunque definisce i veri discepoli di Gesù: lo abbiamo fatto, continuiamo a farlo per Lui, grande Maestro.

- Sia che viviamo, sia che moriamo,  siamo del Signore; Riceveremo una dimora eterna nei cieli.
- Saremo sempre con il Signore:Vedremo Dio così come egli è.
- Siamo passati dalla morte alla vita,  perché amiamo i fratelli. E allora sentiremo le dolci parole del nostro  Re:
- «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi».

Mariella:  E’ molto bello questo brano, soprattutto ci induce a molte riflessioni sulla nostra vita.
A noi ora appare conosciuto il suo volto, sappiamo dove possiamo e dobbiamo cercarlo, tuttavia sappiamo anche che alcune volte è davvero scomodo riconoscerlo o per meglio dire facciamo molta fatica a riconoscerlo.
I nostri occhi sono occhi molto razionali e poco spirituali, non riusciamo mai ad andare oltre...lo sguardo si ferma sempre all'apparenza e per questo ci restano nascoste molte realtà e molte verità.

Enzo: Sì, questo brano è molto bello! Ci sprona alla speranza, alla carità: una speranza nella fede e ad una carità silenziosa.
Una carità silenziosa, non assillante per noi e per il prossimo. Una carità che deve farci sentire discepoli di Gesù, il Maestro, il maestro che senza clamore ci ha salvati, che misericordiosamente ha perdonato Pietro, Tommaso, Matteo e tanti altri…

Ciò che ci deve spingere a non mollare deve essere la virtù dell'umiltà: non pretendere di fare miracoli, sapersi accontentare di quello che riusciamo a fare (ma è lo Spirito che opera in noi).
Non ci scoraggino le nostre manchevolezze, non ci giudichiamo in fretta: Lui sa di che stoffa siamo, ha contato tutti i nostri capelli.
Sì, è molto bello questo brano: un Re giusto che non fa paura e che dà speranza, che ci aspetta perché ci ha già preparato un posto alla sua mensa.


venerdì 14 novembre 2014

La parabola ha la scopo di far comprendere il vero rapporto tra Dio e l’uomo




Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra…

Domenica XXXIII del tempo ordinario:16 novembre 2014



Dal vangelo di Matteo 25,14-30

Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.

A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque.

Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.

Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.

Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.

Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”.

 “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”.

 “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere

su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso.

Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.

Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e

raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti.

Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha.

E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.


Parola del Signore!


Enzo: L’anno liturgico 2013-2014 volge al termine, e la liturgia di domenica ci invita a riflettere ancora una volta sul nostro comportamento di discepoli in attesa della seconda venuta di Gesù, venuta di cui non conosciamo né il momento né l’ora. Quell’ora sarà anche il tempo della raccolta, il tempo del giudizio, il momento dell’ingresso da parte di coloro che nell’attesa del Figlio dell’uomo sono stati attenti e premurosi nell’accogliere l’annuncio del Regno dei cieli, nel testimoniarlo, nel farlo fruttificare, crescere, espandere.

I talenti di cui si parla nella parabola non sono le doti o qualità naturali che ognuno può avere, ma il dono gratuito della vita che non deve rimanere isolata, nascosta, magari con la paura di perderla di fronte ai tanti pericoli che ci circondano, un dono prezioso da curare, e da donare a sua volta.



La parabola di oggi riguarda tutti i cristiani, discepoli di Gesù: tutti abbiamo ricevuto col battesimo il dono del Regno da annunciare, far crescere, e in modo particolare riguarda tutti coloro che avendo avuto una chiamata speciale hanno la responsabilità di predicare, annunciare, accompagnare, guidare, mantenere vivo l’annuncio evangelico,  far crescere il gregge loro affidato.



La chiave dell’intera parabola è il dialogo fra il servo “malvagio, pigro” e il padrone. Se il Padrone, Gesù che verrà, è concepito come un padrone duro, severo, da temere, “che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso”,  ci sarà posto soltanto per la paura e la scrupolosa osservanza della legge, dei precetti. Non si vogliono correre rischi, ci si vuole mettere al sicuro, tenere nascosto il dono ricevuto gratuitamente per renderlo così come è stato ricevuto.

Non è questo ciò che vuole il Signore!



Il dono di Dio è sempre in funzione non solo di se stessi ma anche dei fratelli. Il dono di Dio è luce che deve illuminare, lampada da alimentare, pane da distribuire, fratello da perdonare, lavoro da retribuire, acqua che deve dissetare, malati da curare, anziani da assistere , annuncio da testimoniare. Non è solo questione di giustizia, di parità, ma di Amore, un amore dinamico.

La parabola ci indica il vero rapporto che deve avvicinare l’uomo a Dio. Siamo cristiani che non cercano soltanto rifugio e sicurezza in Dio solo osservando i comandamenti, la legge, ( questi erano i farisei), ma cristiani che vivono in un rapporto di amore, di coraggio, generosità.



La parabola  ha la scopo di fa comprendere il vero rapporto tra Dio e l’uomo: Dio è un padrone buono , si accontenta di quel poco che riusciamo a fare, accoglie sempre premiando la nostra buona volontà: ““Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Dio non vuole che restituiamo i suoi doni, vuole che li utilizziamo per il bene nostro e del prossimo: Dio premia anche il poco dandoci “potere su molto”  facendoci parte della sua gioia.



Sappiamo come i primi cristiani credevano imminente il ritorno di Gesù. Matteo raccoglie la parabola, la rielabora inserendola nel discorso escatologico, invitando alla vigilanza, come nella parabola delle dieci vergini: “Vegliate dunque perché non sapete né il giorno, né l’ora”.

“Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà” (Mt 24,42).



Vigilare dunque, vegliare: vuol dire superare il timore servile, la paura del castigo, la concezione farisaica del dovere religioso, il rispetto umano che frena le nostre decisioni in atti concreti, generosi, coraggiosi perché siamo coscienti che lavoriamo per un Padrone-Signore che paga sempre bene, anche se arriviamo per lavorare nella sua vigna all’ultima ora.



Il Signore a tutti dona dei talenti e non solo ad alcuni, Dio chiama tutti a lavorare nella sua vigna, a lavorare non a guardare gli altri che lavorano. Dobbiamo accostarci agli altri e lavorare insieme, ognuno con le proprie forze, le proprie capacità fisiche, intellettuali e ancora quella di rischiare sapendo che il suo aiuto non mancherà se richiesto.



Il Signore mette paura? Lo pensiamo o siamo noi paurosi? “Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra”. Paura spesso è sinonimo di timidezza, pigrizia, scusa per non prendersi responsabilità: così teniamo nascosti i doni che abbiamo ricevuto, ignorando che sono doni consegnati a noi per arricchirci e arricchire gli altri. Dio premierà anche i rischi  che corriamo anche quando falliamo, Dio non ci vuole inerti, è lì che ci guarda e ci esorta sempre a cercare il bene, fare il bene, a rischiare per Lui.


“I talenti della parabola, sono la misura del nostro coraggio, della nostra disponibilità ad agire secondo l’amore”. (Giancarlo Maria Bregantini, Parole condivise, Fondazione talenti).

Mariella: In questo brano ci son diversi punti sui quali riflettere, forse già li hai messi tu in evidenza.


Prima cosa: i talenti sono stati dati a tutti e non solo ad alcuni, si legge infatti: “chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni” quindi è nostro preciso dovere accogliere i talenti a noi affidati, ma anche saper riconoscere i talenti che son stati affidati agli altri, questo significa anche saperli valorizzare e non esserne invidiosi.


Seconda cosa: abbiamo una grande responsabilità, quella di saper rischiare per far fruttare i talenti, ci viene chiesto di non nasconderli, ma di metterli in gioco, affinché possano servire al bene comune
.

Terza cosa: non possiamo e non dobbiamo aver paura, il Signore si fida di noi e ci affida il suo Regno, non possiamo illuderci di amare senza rischiare! Il rischio fa parte della vita e si affronta ben sapendo che il Padrone è comprensivo, misericordioso, lento all’ira e ricco di grazia. Accetta anche i nostri fallimenti, se vissuti con l’animo dei servi fedeli.


Chi non rischia è perché non ha conosciuto il vero Amore, quello che si dona gratuitamente, quello che si dona sempre senza attendere ricompense. 
Ci viene da chiederci quante volte siamo stati delusi dagli altri e per questo motivo abbiamo deciso di chiuderci in noi stessi e non amare, non aiutare più? Anche le nostre stesse comunità parrocchiali quanto sono aperte all’accoglienza?


Quarta cosa: Il Signore valuta sempre le nostre capacità e si regola di conseguenza, ha fiducia ma non s’illude, calcola le nostre forze prima di affidare i talenti, guarda bene in faccia prima di affidare il denaro al suo servo, ma è generoso oltremisura, chiama i servi fedeli alla sua stessa gioia, l’amore infatti si condivide, i servi non sono schiavi ma amministratori che prenderanno parte al Banchetto eterno.


Ultima cosa: abbiamo letto: “Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro”  Non dimentichiamoci: il Signore torna, torna sempre e ci chiede conto di ciò che abbiamo fatto dei talenti ricevuti, a Lui si deve rendere conto di tutto ciò che abbiamo ricevuto. Ognuno di noi deve essere un dono per gli altri, solo così potrà realizzarsi la provvidenza divina.

Il Signore verrà e ci renderà conto di ogni minuto, sprecato nell’ozio e nell’indifferenza, tutto sarà scritto sul libro della nostra vita, la mediocrità nella quale abbiamo vissuto, l’invidia e la maldicenza fonte di dissapori e rancori, l’egoismo nel quale ci siamo chiusi all’amore..  Ci doni il Signore la forza di esserGli fedeli  sempre. Amen

.

Mariella: Questo brano è bellissimo ed è un metro sul quale misurare tutta la nostra vita e

ci aiuta a non restare nella penombra, ma a buttarci nella luce, quella che porta diretti verso Dio


Enzo: La prima impressione quando lessi il brano mi ricordai dell'altra parabola,del padrone della vigna che va in piazza a chiamare degli operai. Va diverse volte e a ore diverse.
Alla fine dà a tutti la stessa paga. Agli  operai che si lamentavano dice di essere "Buono".

Qui è diverso, assistiamo allo stesso "padrone" che premia e castiga.

Questo mi ha impressionato subito, ma mi ha fatto pensare alla tiepidezza che mettiamo noi cristiani nel vivere il nostro discepolato cristiano, la trascuratezza nel nostro operare e testimoniare.

Poi pensai al Maestro Buono: e le sue parole ebbero un tono diverso. Perché siamo noi cattivi, presuntuosi quando abbiamo un maestro buono che ci tratta tutti allo stesso modo? Ci ha chiamati amici rendendoci figli dello stesso Padre celeste.

Ci salverà una fede cieca in lui, la speranza che quanto ci ha lasciato si avveri, l'amore con cui abbracceremo il vangelo e il prossimo.

Mariella: Il Signore in fondo ci chiede di essere anche noi altrettanto generosi e buoni con i nostri fratelli, dobbiamo imitarlo nel nostro faticoso cammino di vita.




Nella pagina PREGHIERE abbiamo inserito due preghiere che potrebbero completare questa riflessione 

-        Tu che ci ami per primo  di Soren Kierkegaard

-   Donaci intelligenza  di Tonino Lasconi,

 

sabato 8 novembre 2014

Quale segno ci mostri per fare queste cose?




«Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere».


Domenica XXXII  del tempo ordinario: 9 novembre 2014



Dal vangelo di Giovanni 2,13-22

Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.

Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambia monete.

Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio,

con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i

banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate

della casa del Padre mio un mercato!».

I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà

Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?».

Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere».

Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?».

Ma egli parlava del tempio del suo corpo.

Quando poi fu risuscitato dai morti i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

Parola del Signore!

Mariella: Domenica prossima ricorre la festa della dedicazione della Basilica lateranense

Un piccolo accenno storico: la Basilica Lateranense venne fondata da papa Melchiade (311-314) nelle proprietà donate a questo scopo da Costantino di fianco al Palazzo Lateranense, fino allora residenza imperiale e poi residenza pontificia.

Sorgeva così la "chiesa-madre di tutte le chiese, distrutta e ricostruita molte volte.

Vennero celebrati nella Basilica ben cinque concili,essa fu la prima chiesa in assoluto ad essere pubblicamente consacrata.

Fare memoria della Basilica Lateranense non significa venerare un luogo, ma fare memoria del legame inscindibile che lega cristiani provenienti da luoghi e culture diverse, vuol dire anche venerare ogni chiesa come tempio di Dio, come casa del Padre di Gesù e nostro.



Nel brano evangelico che abbiamo letto, Gesù va a Gerusalemme in occasione della Pasqua dei Giudei: è un'occasione clamorosa per manifestarsi in pubblico e per rivelare a tutti che egli è il messia.

In quella festa Gerusalemme è piena di pellegrini venuti da ogni parte e quindi il suo operato avrebbe avuto un effetto risonante in tutta la Palestina e altrove.



Arrivato a Gerusalemme Gesù si reca nel tempio dove trova all'azione diversi tipi di venditori e cambiavalute.

L'incontro nel Tempio non è con persone che cercano Dio ma commercianti del sacro.   Gesù questo non lo può accettare e sceglie questa occasione e questo luogo (il tempio) per dare un segno.

Prende un flagello e caccia tutti dal tempio, insieme a pecore e buoi dicendo: “Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!” 

Egli manifesta lo zelo per la casa del Padre, ridotta ad una spelonca di ladri e infestata da venditori e cambiavalute, mostra la sua giusta ira e il suo sdegno.



Il tempio non è più il luogo di preghiera, ma un mercato dove vige la presenza del denaro.   Il culto è diventato il pretesto per fare lucro: il comportamento di Gesù in tale occasione suscita la reazione dei presenti.

 I Giudei forse anche in buona fede pensando che Gesù potrebbe  essere il messia atteso chiedono: «che segno mostri per poter compiere queste cose?»

Gli domandano dunque un segno. Egli dà loro quello della sua morte e risurrezione: allegoricamente dal tempio fatto di pietre parla del tempio del suo corpo. «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Un enigma per tutti , Giudei e discepoli di Gesù.

La sua opera più vera è ricostruire, per questo Egli è stato mandato sulla terra l’azione propria di Dio è far risorgere. Là dove gli altri ti fermano, Egli ti fa ripartire!

Là dove eri caduto, Egli ti fa rialzare e risveglia la tua vita.

Gesù è il tempio che assicura la presenza di Dio nel mondo e la presenza del suo amore

 La morte in croce farà di Lui il tempio unico e definitivo di Dio. 



Questo testo ci offre diversi spunti di riflessione:

primo è l'occasione per esaminarci sul rispetto che riserviamo alla casa di Dio che ogni giorno ci accoglie; ma ancora di più sul rispetto che abbiamo verso il Signore che lì ha stabilito la sua dimora tra noi.



Non da ultimo siamo invitati a riflettere sulla sacralità del nostro corpo, tempio santo dello Spirito

Gesù insegna che il tempio di Dio è, innanzitutto, il cuore dell'uomo che accoglie la sua Parola.

 "Non fate della casa del Padre mio un mercato! "    Questa frase ci deve risuonare nelle orecchie.

Gesù non si rivolge soltanto ai custodi dei templi, ma a ciascuno di noi: la casa ultima di Dio sei tu, sono io, siamo noi. Ciascuno di noi è pietra viva, che concorre a formare il suo tempio santo.

“Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” Gv 14,23.



Non possiamo essere pietre lontane le une dalle altre, abbandonate nella solitudine e al non senso e neppure pietre sconnesse di una casa che non può quindi reggersi in piedi.

 Noi siamo pietre raccolte con amore dal Signore, smussate nelle spigolosità e unite le une alle altre, con ordine, dall'unico cemento che è l'amore del Signore.

Non possiamo essere casa ingombra di pecore e buoi, di denari di paccottiglie, che troppo spesso non lasciano più trasparire Dio! Dobbiamo essere degna dimora del suo Santo Spirito.


Enzo: “I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà”.

Incomincio da questa frase di Giovanni per dare importanza alle Scritture: averle lette, meditate, saranno la memoria storica della nostra fede, la presenza continua di Dio in noi. Così è stato per gli apostoli e i discepoli di Gesù.

In questo brano sono importanti il racconto che Giovanni fa di Gesù che manda via dal tempio i mercanti, e anche le rivelazioni che Gesù fa nel contesto.

La presenza dei cambiavalute nelle vicinanze del tempio era necessaria per permettere ai pellegrini di scambiare le loro monete con effigi imperiali (denaro considerato impuro), con denaro non impuro. Anche la vendita di animali per il sacrificio era una necessità per chi veniva da lontano e non poteva portare con sé l’animale da sacrificare.



Tutti e quattro gli evangelisti riferiscono questo episodio. Giovanni lo situa all’inizio del ministero di Gesù, mentre i sinottici  lo situano verso la fine del ministero.

Giovanni qualifica il tempio trasformato in “casa di mercato”, i sinottici rendono questa espressione con “covo di ladri”.

Il mercato di Gerusalemme era legato al Tempio ed erano i sacerdoti coloro che lo controllavano.

L’ira di Gesù è doppia: il tempio, casa del Padre suo è deformato dalla vicinanza di affaristi e dallo sfruttamento economico che si faceva della credulità dei semplici, “covo di ladri”. Da qui le due versioni nei vangeli. Non potevano convivere le due cose con la sacralità del tempio.



Mercato e sacrificio sono in stretta relazione: si vendevano gli animali per il sacrificio cultuale,e in qualche modo è lo stesso popolo che viene sacrificato perché sfruttato dai mercanti. Gesù non condanna il mercato in se stesso come spazio di scambio, ma  perché la loro pratica genera una violenza che attenta alla vita delle persone semplici lasciando senza sostentamento i più deboli.

“Lo zelo per la tua casa mi divorerà”, il ricordo della Scrittura  che farà comprendere più tardi ai discepoli l’agire di Gesù.



Per Giovanni questo avviene all’inizio della missione di Gesù: dopo le nozze di Cana, questo è il secondo atto della vita pubblica.. Gesù con il suo forte gesto rivela Dio come Padre suo, non accetta che la casa del Padre diventi un covo di ladri. “non fate della casa del Padre mio un mercato...un covo di ladri”.

Tutto questo quando era imminente la Pasqua dei Giudei.



All’ira e all’operato di Gesù i Giudei chiedono un segno autorevole per quello che ha fatto. La risposta di Gesù rientra nello stile dei profeti, è un oracolo sul nuovo tempio dell'era messianica e insieme un annuncio della sua passione e risurrezione. I giudei, chiusi alla fede, fraintendono e non possono cogliere l'annuncio profetico. «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere».



Il segno! Desiderio dell’uomo che non capisce o che non vuol capire. I giudei erano convinti che Dio dimorasse nel “santuario” parte più importante del tempio:come potevano capire che Gesù stava parlando del suo corpo morto e risorto, come nuovo tempio come luogo di incontro per accedere al Padre?



Nemmeno i discepoli avevano capito il gesto di Gesù prima e dopo le sue parole.

I vangeli testimoniano spesso che il significato di parole e gesti di Gesù furono capiti alla luce della risurrezione e della venuta dello Spirito Santo.



Giovanni dà una lettura profetica e teologica:  

-         la distruzione di Gerusalemme e del tempio, già avvenuta  quando scrive il suo vangelo, per mano dei romani è la fine dei sacrifici della Pasqua ebraica.

-         La distruzione  del tempio e ricostruito in tre giorni annunciano la passione e morte di Gesù accompagnata dalla sua risurrezione. Il suo corpo risorto al terzo giorno dalla morte diventa il nuovo Tempio a cui guarderanno nei secoli tutti coloro che crederanno in Lui.  

-         La risurrezione di Gesù, la nuova Pasqua, inaugura i tempi nuovi, la seconda e definitiva alleanza di Dio con l’uomo.



Spesso in questi commenti abbiamo parlato della pedagogia di Dio che non pretende che si capiscano subito le sue parole e il suo operato, ma che la sua parola venga ascoltata, meditata nell’attesa che lo Spirito Santo illumini la nostra mente e dia fuoco alla nostra anima.

Quando poi fu risuscitato dai morti i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.



A noi sono state tramandate le Sacre Scritture: che uso ne facciamo?

I nostri dubbi, perplessità, debolezze sono avvalorati, aiutate, superate dalla lettura della Parola di Dio?



L’apostolo Paolo così spiega il nuovo tempio che nasce dalla morte e risurrezione di Gesù:



“Fratelli, voi siete edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi”.



Confrontiamoci in questa settimana con queste parole dell'apostolo Paolo

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Per chi lo volesse potrà ancora leggere, nella sua pagina, un commento di Padre Augusto Drago al brano di oggi.


sabato 1 novembre 2014

Il Padre dona al figlio l'umanità. Questa umanità verrà al Figlio



Questa è
la volontà del Padre: che chiunque vede il Figlio e
crede in lui abbia la vita eterna

Domenica XXXI del tempo ordinario: 2 novembre 2014



Dal vangelo secondo Giovanni 6,37-40

Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me,
io non lo caccerò fuori,
perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà,
ma la volontà di colui che mi ha mandato.
E questa è la volontà di colui che mi ha
mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti
nell’ultimo giorno.
Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il
Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Parola del Signore!


 Enzo: Abbiamo assistito leggendo questo brano ad una rivelazione di Gesù preceduta dal versetto 35: “ Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà mai fame e chi crede in me non avrà mai più sete”.
Gesù parla ai suoi discepoli e ad una grande folla. Le sue parole mostrano chiaramente, ma non  tutti le recepiscono, chi è Gesù. Lui è il pane della vita per tutti gli uomini. E’ un pane speciale inviato dal Padre: il pane era ed è un segno, simbolo di vita, alimento giornaliero di cui non se ne può fare a meno.

Gesù è stato inviato dal Padre per adempiere ad un compito specifico: come pane, dono del Padre, si darà in alimento agli uomini, donerà la sua vita per la salvezza degli uomini.

Gesù, inviato dal Padre, porterà a termine la volontà del Padre in un rapporto stretto di obbedienza; rapporto dunque tra il Padre e Gesù ha come scopo la salvezza dell’uomo: “tutto ciò che il Padre mi dà” ossia l’umanità intera, dovrà volgere lo sguardo verso Gesù.
Anche il rapporto di Gesù con gli uomini sarà molto stretto con una cura particolare: “che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato”.

Gesù sarà il Buon Pastore che raduna, cerca le pecorelle smarrite, non manderà via nessuno di coloro che lo cercano e credono in Lui. Tutti coloro che mangeranno quel pane di vita, saranno dissetati da ogni parola che uscirà dalla sua bocca: “colui che viene a me, io non lo caccerò fuori”.

Vedere, credere sono i due verbi che caratterizzano questo brano nel rapporto dei Gesù con gli uomini.
Gesù è il centro verso cui tutti devono convergere per ottenere la salvezza e non solo: “chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Ecco la volontà del Padre che manifesta il futuro della vita eterna con l’attualità della salvezza nella vita terrena mediante Gesù.
La vita eterna che il Padre vuole che ogni uomo raggiunga è suffragata per sempre da Gesù con la promessa della risurrezione dei corpi:”io lo risusciterò nell’ultimo giorno”.

La risurrezione non è fine  a se stessa, ma ha una logica interna in quel “non perdere nulla”: il sacrificio di Gesù , il dono della sua vita farà si che nessuno di coloro che il Padre ha dato al Figlio,vada perduto. Tutti coloro che hanno creduto rientrano in anima e corpo nella logica dell’amore divino, la logica Trinitaria: DIO E’ AMORE! 
A questa logica dobbiamo credere e  attaccarci e non mollare mai, consapevoli che la fedeltà non è acquisita una volta per tutte.             

Mariella: Immediatamente dopo aver celebrato la festa di tutti i Santi, ossia coloro che intercedono per noi dal Cielo, la Chiesa ci invita a raccoglierci attorno a coloro che ci hanno preceduti, che ora non son più qui fra noi, ma il cui esempio ci deve aiutare ad elevare i nostri occhi verso il cielo
La liturgia non ha lacrime, ma vuole aprirci ad una grande speranza; essa infatti non pronuncia parole sulla fine della vita, ma sulla risurrezione.: non ci vuole parlare di morte ma di vita oltre la morte.
Possiamo tranquillamente dire che fuggire la morte è la tentazione più ricorrente del mondo di oggi, fa indubbiamente paura questo salto nel buio, soprattutto per chi non possiede la luce della fede.
Per chi crede, per chi vive la speranza cristiana cambia la prospettiva di quell'ultimo viaggio,
si guarda ad essa come all'incontro con Colui al quale abbiamo offerto tutte le nostre pene.

Il Signore ci insegna ad avere più paura di una vita sbagliata che della morte. A temere di più una vita vuota e inutile che non l’ultima frontiera che passeremo aggrappandoci forte al suo cuore.
Nel suo cuore di Padre nulla andrà perduto e tutto avrà una  ragione di esistere
Ma qual è il meccanismo che ci conduce a questo incontro con il cuore del Padre? Credere in Gesù, vivere la sua Parola e amarlo sopra ogni cosa
Questa è la nostra speranza, questa è la fede che ci condurrà alla morte con cuore sereno.

Aggiungo a questo mio breve commento una piccola parte del commento di Padre Augusto Drago, nostro carissimo amico che per parecchio tempo è stato con noi:

“Gesù si innalza verso l'alto. Ci fa contemplare l'Amore del Padre per noi, l'ubbidienza del Figlio che per amore compie la volontà del Padre, e l'uomo che è l'oggetto dell'Amore!   Ma ci si può abituare davanti a questa meraviglia dell'Amore che parla al cuore dell'uomo?    Ci si abitua perché lo diamo Fratelli e sorelle, per un cuore che ama, ogni giorno, ogni cosa del giorno, ogni evento del giorno, anche se stancamente ripetitivo, è sempre nuovo: l'Amore fa sempre nuove tutte le cose.

Di questo Amore Gesù adesso ci parla. Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me...

Notate! Gesù afferma di essere stato mandato dal Padre per la salvezza del mondo, come nutrimento unico per la salvezza del mondo. Questo essere mandato significa una sola cosa: Il Padre ci dona il Figlio e noi siamo donati al Figlio! "Tutto ciò che il Padre mi dona, verrà a me"!

Il Padre dona al figlio l'umanità. Questa umanità verrà al Figlio. Il secondo verbo è espresso al futuro. Perché? Gesù ha accettato il dono che, di noi, il Padre gli ha fatto: lo ha accettato nel momento stesso della sua Incarnazione. L'uomo verrà a Gesù, chiamato dal Padre: ma non necessitato, liberamente: vale a dire, se accetta, se vuole accogliere la chiamata che già ha ricevuto.

L'Amore lascia liberi. Non coarta nessuno, non costringe nessuno. Invita, attira, chiama con voce dolcissima, ma tocca a ciascuno di noi accogliere. Dio aspetta: Dio è Uno che sa aspettare. Dio è paziente: la pazienza infinita dell'Amore! Tutto quello che il Padre mi dona verrà a me!
Chi accetta questo invito entra nel recinto di Cristo. Egli non ci caccia, non può cacciarci, perché la Volontà del Padre ci ha consegnati alla sua obbedienza: "Sono disceso dal cielo, non per fare la mia volontà, ma la Volontà di Colui che mi ha mandato!"

Che cosa contiene la Volontà del Padre riguardo a Cristo suo Figlio diletto?   ...non perdere nulla di quanto Egli mi ha dato!"
Che parole belle e consolanti. Fratelli e sorelle, le comprendete?  E se le comprendete veramente, non sentite il tintinnìo del cuore che sussulta di gioia? Non sentite attorno a voi il canto dell'eterno Amore? Eterno è il suo Amore per noi!

Attirati dunque nel recinto di Gesù non saremo mai perduti! Saremo custoditi, perché Gesù compie sempre  la Volontà del Padre. Mi sembra di presentire le parole che Gesù dirà al Padre nella grande preghiera sacerdotale (Giovanni 17): "Padre di quelli che mi hai dati non ne ho perduto nessuno,  eccetto il figlio della perdizione...!"
Il figlio della perdizione, o meglio, il figlio perduto è Giuda il traditore, Colui che non ha capito l'Amore e Gli ha voltato le spalle. Questa dunque è la Volontà del Padre: che Gesù non perda nessuno di quelli che Egli gli ha affidato e che hanno accolto la chiamata già inscritta fin dall'eternità nel cuore del Padre!

Bello: non saremo perduti in eterno se rimarremo sempre nel recinto di Gesù!
Adesso Gesù parla di resurrezione. Un altro balzo più in alto. Il suo discorso si eleva ulteriormente: ....."e lo risusciti nell'ultimo giorno!"

La salvezza piena e totale si ha proprio in quell'ultimo giorno del tempo. La resurrezione è la salvezza dell'uomo in tutta la sua interezza: anima, spirito e corpo.  Allora sì, saremo per sempre nel recinto di Dio che è Cristo stesso! Nel recinto dell'Amore del Padre assieme al Figlio. Per sempre. Nel Pane eucaristico c'è allora il germe dell'eternità, del tempo futuro, del tempo oltre il tempo.
Mangiando il Pane, spezzandolo e bevendo il Vino, già opera in noi l'eternità. Il Pane spezzato è già l'anticipazione di ciò che saremo.

Pensate bene, fratelli e sorelle al potere trasformante che ha l'Eucarestia. Sa trasformare l'oggi in eternità, sa trasformare il "consueto" in novità, sa trasformare il dolore in letizia, sa trasformare il nostro gemito in un canto d'amore, le nostre tristezze in una danza meravigliosa!

E' possibile? O si tratta di una vana parola smentita dai fatti concreti?
E' possibile?. Dipende con quali occhi sapremo guardare la vita: se con gli occhi della carne o con gli occhi del cuore che sanno trasfigurare la realtà terrena in profezia di eternità. "Questa è la Volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in Lui abbia la vita eterna: ed Io lo risusciterò nell'ultimo giorno!"
Vedere il Figlio altro non è che credere in Lui. Credere in Lui significa avere già nel cuore la speranza teologale della vita eterna. La vita eterna è la risurrezione integrale della nostra umanità trasfigurata ad immagine del Cristo pasquale. il Cristo risorto ed uscito vivo dalla tomba.
Fratello, sorella, credi veramente a questo tuo "felice destino"? Se credi gioisci, diceva sant'Agostino. Ma se non credi, conoscerai il buio della notte!

Tu credi tutto ciò? IO CREDO


Nota: Nella pagina di Padre Augusto, chi lo desidera potrà leggere il commento per intero.