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B E N V E N U T O !! Lo Spirito Santo illumini la tua mente, fortifichi la tua fede.


venerdì 31 ottobre 2014

I santi, uomini e donne delle Beatitudini, sono il Vangelo in carne ed ossa.



Sabato Primo novembre 2014 : Festa di tutti i santi

Con questo post vogliamo fare gli auguri di santità ad ogni uomo di buona volontà, ad ogni discepolo di Gesù.  In comunione con i Santi del Regno dei cieli festeggiamo questa giornta di festa lodando e ringraziando il Padre Celeste.



Dal Vangelo secondo Matteo 5, 1-12
Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i
suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorte di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.

Da un commento di Padre Augusto Drago

I Santi, gli uomini e le donne delle beatitudini, sono rimasti i più umani tra gli uomini,
poiché la luce di Cristo ha penetrato la loro umanità.
Giovanni Paolo II, un giorno, durante un raduno di giovani, lanciò un grido:
"Diventate santi per la gioia di Dio e la felicità degli uomini!", "Non abbiate paura di diventare
santi!"

I santi, uomini e donne delle Beatitudini, sono il Vangelo in carne ed ossa.
La loro luce penetra la mia carne come diceva uno scrittore russo esiliato in Francia:
"Visto dall'alto, un santo è tutto intessuto di luce, visto dal basso, non cessa mai di lottare!"
In questa maniera le beatitudini passano dalla partitura scritta all'oratorio cantato, come
affermava Daniel Ange, alla danza della vita.
Ognuno con il suo strumento, nell'immensa orchestra della Chiesa.
Essi, uomini e donne delle Beatitudini, traspongono il tema unico musicale nella vasta gamma
del quotidiano.

Fratelli e sorelle, vuoi essere tu, voglio essere io, donna, uomo delle beatitudini?
Aspettando cieli nuovi e terra nuova, per prepararne l'avvento, affrettarne il Giorno:
noi non saremo dei santi isolati, diventeremo santi insieme.
E per diventarlo canteremo, ascolteremo, veglieremo:la preghiera non si estingue. Staremo di guardia, profetizzeremo, testimonieremo:
La verità non si avvizzisce. Noi giocheremo, danzeremo, ameremo.

L'amore non è mai stanco! Tutto questo lo vivremo come fanciulli.
L'avvenire, quello di Dio e quello degli uomini, non spetta ai fanciulli.
Riceveremo la nostra infanzia nuova: l'infanzia non appassisce.

La gioia di vivere le Beatitudini ce la scambieremo gli uni gli altri.
La doneremo a Dio.
Non deluderemo la sua speranza. La soddisferemo a pieno.

Lasceremo che ci riempia: la santità non si sciupa! E regale sarà la nostra gioia!
Per conservarla, la trasmetteremo: la gioia non invecchia!
Un giorno, in Dio, saremo come Lui, santi: Gioia eterna!

Fratello e sorella, affascinate tutto questo! Facciamoci attrarre da questa bellezza, da questa
chiamata. Diventiamo uomini e donne delle Beatitudini e domani, celebrando la nostra festa,
celebreremo anche la possibilità di diventare anche noi santi, oggi, adesso! Amen.

sabato 25 ottobre 2014

Tu amerai il Signore, tuo Dio… ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore!”.


DOMENICA  XXX DEL TEMPO ORDINARIO 26 OTTOBRE 2014

A S C O L T  A   I S R A E L E!



Dal vangelo secondo Matteo 22,34-40


Allora i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme
e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova:
“Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”.
Gli rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima
e con tutta la tua mente
Questo è il grande e primo comandamento.
Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso.
Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”.

Parola del Signore!

Mariella: Gesù è ormai a Gerusalemme. Il confronto con i capi religiosi e politici si fa sempre più serrato. I farisei, i sadducei, i dottori della Legge, rappresentanti delle categorie più influenti esprimono il loro sconcerto di fronte a Gesù, cercano di prenderlo in fallo, cercano dei motivi  per eliminarlo
Un dottore della Legge domanda a Gesù qual è il comandamento più grande, ma Lui anziché uno ne elenca due: amerai Dio e amerai il prossimo.

Vediamo di capire il senso di questi due comandamenti per riuscire a viverli nel miglior modo possibile
Anzitutto:" Amerai Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente."   Gesù indica tre cose per dirci come amarlo:
-         ama con tutto il cuore: cioè senza mezze misure.
-         Ama con tutta la tua anima. L'amore riesce a raggiungere profondità più recondite dell’essere umano, l’anima è ciò che prima di tutto appartiene a Dio e a Lui ritornerà al termine dei nostri giorni terreni e parlerà di noi al Padre. 
-         Ama con tutta la mente perché l'amore rende intelligenti, fa capire prima, andare più a fondo e più lontano, la mente ci rende capaci di costruire il Regno


Ma come riusciamo a raggiungere questa perfezione nell’amore verso Dio? Riconoscendo di essere stati amati per primi e soprattutto lasciandoci amare, lasciandoci trasformare dal suo Amore!
L'amore verso Dio deve anzitutto assumere i tratti di riconoscenza per tutte le meraviglie compiute verso noi e verso l'umanità, vale a dire, la gratuità del dono della vita, e la gioia della vita nuova donata da Cristo nel mattino di Pasqua

L'esortazione di Gesù  "amerai" è l’invito rivolto ai discepoli a spendere la propria vita per gli altri. Lo stesso Spirito invita all'amore, cioè a scorgere in ogni fratello il volto di Dio; “Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede.” (1Gv 4,20)
Amare è la capacità di uscire da noi stessi e di andare verso l'altro e qui sperimentiamo la nostra credibilità di cristiani. Chi fosse convinto di poter fare a meno degli altri, è vittima di se stesso, del proprio egoismo e del limite umano.

Oggi in verità, viviamo una grande carenza di amore, gli altri ci fanno paura, ci disturbano per ben che vada, preferiamo isolarci, chiuderci in noi stessi, vivere nell’autosufficienza e non aprirci all’amore verso l’altro. L’amore, quello vero, vince il pregiudizio, l’interesse personale, il desiderio di superiorità.
L’amore, quello vero, ci fa sentire persone libere, capaci di vivere con gioia ogni nostro incontro. Il non amore ci spegne alla vita, ci chiude gli orizzonti, ci limita la gioia
Eppure assistiamo sempre più ad una sorta d'intolleranza e di isolamento che non ha nulla di cristiano.

Una cosa va sottolineata. Gesù  pone una condizione: amerai il tuo prossimo come te stesso, c’è un termine di paragone in questo comandamento: “come te stesso”
Perché amare Dio e il prossimo slegati dalla nostra storia è cosa troppo facile. Amerai il tuo prossimo come ami te stesso.
È quasi un terzo comandamento sempre dimenticato: «ama te stesso», perché sei stato fatto come un prodigio, porti l'impronta della mano di Dio.
Se non ami te stesso, non sarai capace di amare nessuno, saprai solo prendere e possedere senza la gioia della gratitudine.

Il Vangelo di domenica prossima ci interpella dunque in modo particolarmente forte: siamo coscienti della novità cristiana a cui siamo chiamati?
Siamo proprio certi che l'amore per Dio venga prima di ogni altro amore e, come primo, susciti e sostenga tutti gli altri?

Su questi temi siamo chiamati a confrontarci.
Enzo: Chiamerei questo brano di Vangelo col titolo "Il comandamento principale" e non andrei a cercarne altri come i rabbini di Israele.
I rabbini contavano  613 comandamenti, dei quali 248 erano positivi, precetti da osservare, e 365 erano proibizioni, da evitare. Un’altra suddivisione secondo l’importanza  della materia erano catalogati in lievi e gravi. Avevano un bel da fare e da complicarsi la vita
Nelle scuole teologiche si discuteva quali dei precetti erano più importanti. Secondo la tradizione giudaica ogni precetto aveva lo stesso valore e comportava un medesimo obbligo morale di obbedienza.
Da qui nel brano del vangelo di domenica la domanda posta dai farisei a Gesù per metterlo alla prova secondo Matteo e Luca, non per Marco. Ogni evangelista adatta la sua versione per il pubblico a cui si rivolge.

«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Quale comandamento dobbiamo in assoluto osservare?

IL comandamento dell’amore di Dio era considerato il perno di tutta la legislazione mosaica ed era ben noto ad ogni ebreo, perché incluso nella preghiera quotidiana. Ma come spesso capita anche a noi ci dimentichiamo spesso del valore della Parola anche se letta o recitata tutti i giorni.

La risposta di Gesù è racchiusa in due citazioni della legge (Dt 6,5 e Lv 19,18) che formano il fondamento della nuova morale del vangelo.
Dt 6,5-6 “Ascolta Israele! Il Signore è il nostro Dio, unico e Signore! Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore , con tutta la tua anima e con tutte le tue forze.”
Lv 19,18: Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore!”.
Gesù non cerca definizioni diverse da quello che il popolo ebreo non conoscesse già, ma conosceva e applicava male. Gesù conosceva i cuori, la sua gente e della sua gente parlava la lingua e si addentrava nella loro vita quotidiana. Bella lezione per tanti operatori di catechesi!

Gesù presenta i due comandamenti come se fossero in realtà uno solo. E solo Matteo, che si rivolge ai giudeo-cristiani capaci di capire , aggiunge che da questi due comandamenti “dipendono tutta la Legge e i Profeti”.  Non andate a cercare Dio dove non  lo troverete:

Le opere buone, l’amore hanno valore in quanto opere di Dio e del prossimo.
“Amerai il tuo prossimo come te stesso!”. Facile da capire il primo comandamento, non così il secondo.
Per Gesù il prossimo non va identificato concretamente soltanto nell’amore verso gli altri ebrei, ma anche verso ogni altra persona di altri popoli, anche nemici. Vedi la parabola del buon samaritano (Lc 10,29-37)  e la regola d’oro del discorso della montagna Mt 712: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voli fatelo a loro”.

L’insegnamento di Gesù, con le sue parole e la sua vita, manifesta l’amore di Dio che deve irradiare verso ogni essere umano: questo è osservare il grande comandamento che racchiude tutta la Legge e i Profeti. Siamo capaci di essere buoni cristiani e bravi discepoli del Maestro? Non dalle nostre parole ci riconosceranno come discepoli di Gesù ma dall’amore che dimostriamo verso il prossimo. Chi dice di amare Dio e non ama il suo prossimo è un bugiardo.

Mariella: una frase mi ha colpito: “Facile da capire il primo comandamento, non così il secondo”.
Io direi di più: non si può capire sufficientemente il secondo se non si è pazzamente innamorati di Cristo!
E’  veramente difficile applicarlo se non si è ricchi di Spirito Santo e non si è assimilati al suo Corpo ed al suo Sangue attraverso l'Eucarestia.
Chiediamo alla Madre di Dio, che tanto ha vissuto questo comandamento dell'amore, di aiutarci a metterlo in pratica.

Enzo: Facile da capire il primo comandamento, non così il secondo: questo valeva per il popolo giudeo-cristiano per il quale Dio è l'onnipotente a cui sottostare e si dovevano osservare le sue leggi; ma amare il prossimo e poi anche i nemici?!
Vale anche per i cristiani di oggi: spesso amiamo troppo noi stessi da trascurare gli altri, anche i più vicini a noi.
IL terzo comandamento a cui accennavi di amare se stessi, dovremmo tenerlo presente nei momenti brutti della vita, quando non siamo capaci di amare: pensare che Dio  vuole che lo ami, che ami me stesso come creatura sua dello stesso suo amore che ha per me: questo ci deve spingere ad interessarci agli altri, amarli per quello che sono anche se ci considerano loro nemici.

Mariella: è facile, ma sempre più dobbiamo sforzarci a vivere questo amore che va al di sopra di ogni atro amore, convinti chenon Dio ci ha amati e ci ama sempre per primo.



 Nella pagina di Padre Augusto potrai leggere un suo commento molto bello, come sempre da esperto studioso biblico, e ottimo religioso come da tempo lo conosciamo.

venerdì 17 ottobre 2014

Le due facce del denaro.


 E’ lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?




Domenica XXIX DEL TEMPO ORDINARIO: 19 OTTOBRE 2014



Dal Vangelo secondo Matteo 22,15-22


Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi.

Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli Erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».

Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova?

Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro.

Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?».

Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

A queste parole rimasero meravigliati, lo lasciarono e se ne andarono.


PAROLA DEL SIGNORE!

Enzo: L’avvenimento appena letto è la seconda di cinque narrazioni di controversie narrate dagli evangelisti. Tutte narrate da Marco e riprese poi da Matteo e Luca.
La prima riguardava l’autorità di Gesù: si contesta a Gesù il potere di rimettere i peccati  (Mc 2,1-12), “solo Dio può rimettere i peccati”.
La seconda , a pranzo da Levi: Gesù mangia con i peccatori (Mc 2,13-17)
La terza: Gesù difende i suoi discepoli accusati di non osservare la pratica del digiuno (Mc 2,18-22)
La quarta (Mc2,23-28) in cui Gesù difende ancora i suoi discepoli accusati di raccogliere le spighe di sabato
Nella quinta controversia Gesù prende l’iniziativa di guarire in giorno di sabato (Mc 3, 1-6)
Come vediamo Gesù è accusato di non essere un ebreo religioso che osserva la legge di Mosè, un peccatore, un sovvertitore, un bestemmiatore…

Nel racconto di oggi i farisei non sono presenti, mandano dei loro discepoli accompagnati da alcuni Erodiani, fazione religiosa filogovernativa, giudei simpatizzanti di Erode.
Il tema è scottante, politico: “è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?”.
Al tempo di Gesù la Palestina era diventata quasi da 100 anni una provincia dell'impero romano e si parlava spesso di una questione cruciale: "E' lecito o no pagare il tributo a Cesare", un nemico del popolo di Dio?
Non tutti la pensavano allo stesso modo: sadducei ed erodiani, simpatizzavano per i Romani ed erano favorevoli a pagare le tasse. Al contrario degli zeloti che addirittura predicavano la rivoluzione armata. Infine i farisei, ostili ai Romani, facevano però buon viso a cattivo gioco e pagavano le tasse per evitare il peggio.  Da che parte starà Gesù?
Abbiamo ascoltato le parole faziose, maliziose dei discepoli dei farisei… Ma Gesù dà una lezione  che lascia meravigliati i suoi interlocutori. “A queste parole rimasero meravigliati, lo lasciarono e se ne andarono”.     

Questa presa di  posizione di Gesù contribuì ad orientare le prime comunità cristiane al rifiuto di posizioni anarchiche (Rm 13,7; 1 Pt 2, 13-14) e alla denuncia del potere divinizzato, per amore di Dio, unico Signore e giudice.

Rom.13, 3-7: “I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver paura dell’autorità? Fa’ il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora devi temere, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi fa il male. Perciò è necessario stare sottomessi,
non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza.
Per questo infatti voi pagate anche le tasse: quelli che svolgono questo compito sono a servizio
di Dio.
Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le tasse; a chi l’imposta l’imposta; a chi il timore il timore; a chi il rispetto il rispetto”.

1 Pt 13-17
“Vivete sottomessi ad ogni umana autorità per amore del Signore: sia al re come sovrano,
sia ai governatori come inviati da lui per punire i malfattori e premiare quelli che fanno
il bene.
Perché questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all’ignoranza degli stolti, come uomini liberi, servendovi della libertà non come di un velo per coprire la malizia, ma come servi di Dio. Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re”.

Questa posizione di Gesù ci orienta ancora oggi per ragione del bene da fare e il male da evitare, di dare ad ogni istituzione ciò che gli è dovuto, ad ogni fratello il rispetto e l’amore, a noi stessi una coscienza timorosa di Dio.

Viene da pensare al marciume dei tanti che governano, che evadono le tasse, che rubano il tesoro del popolo: non tocca a noi giudicare, ma a Dio. L’apostolo Giovanni così descrive la loro sorte paragonandoli alla Babilonia la grande, la Gerusalemme che uccide i profeti:
Ap 18, 9-10:


“I re della terra, che con essa si sono prostituiti e hanno vissuto nel lusso, piangeranno e si lamenteranno a causa sua, quando vedranno il fumo del suo incendio, tenendosi a distanza per paura dei suoi tormenti, e diranno:
«Guai, guai, città immensa,
Babilonia, città possente;
in un’ora sola è giunta la tua condanna!».

«Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Tertulliano scrive: «Quali saranno le cose di Dio che siano simili al denaro di Cesare? Si intende l'immagine e la somiglianza con lui. Egli comanda quindi di rendere l'uomo al creatore, nella cui immagine e nella cui somiglianza era stato effigiato» (Contro Marcione IV, 38,1).



Così san Lorenzo da Brindisi, sacerdote  1559-1619, dalle “Omelie”

“A Cesare dobbiamo dare la moneta che porta l'immagine e l'iscrizione di lui, a Dio invece ciò su cui è impressa l'immagine e la somiglianza divina: «Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto (Sal 4,7).

Tu,o cristiano, sei uomo: sei dunque moneta del tesoro divino, sei il danaro che porta impressa l'immagine e l'iscrizione del re divino. Con Cristo io ti chiedo: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?» (Mt 22, 20) Tu dici: di-Dio. Osservo: e perché non dai a Dio ciò che è suo? Se vogliamo essere immagine di Dio, dobbiamo essere simili a Cristo, perché egli è l'immagine della bontà di Dio e forma della sua sostanza…

…Chi pertanto nella vita, nei costumi e nelle virtù è simile e conforme a Cristo, manifesta davvero l'immagine di Dio: e il pieno splendore di questa divina immagine consiste in una perfetta giustizia:

Rendiamo a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio, la sua immagine  e somiglianza che ha impresso nei  nostri cuori fin dalla creazione..


Mariella: L'inganno che farisei ed erodiani tendono a Gesù è di quelli molto sottili

sulle prime lo elogiano, poi gli tendono un tranello per farlo cadere.

Infatti, se egli avesse dato una risposta affermativa, sarebbe stato bollato come cattivo patriota. Se invece avesse dato risposta negativa, lo avrebbero denunciato alle autorità romane come agitatore politico, avendo così un valido appiglio per farlo condannare.

Era un dilemma dal quale sembrava non esserci scampo. Ma per Gesù si tramuta in occasione. buona per impartire una lezione di comportamento sia civile che religioso, valido allora quanto mai ora.



Egli con intelligenza chiede di mostrargli la moneta del tributo. Gli presentano un denaro, moneta d'argento molto diffusa al tempo di Tiberio, che recava l'iscrizione: "Tiberio Cesare, figlio del divino Augusto, pontefice massimo"  Farisei ed erodiani posseggono le monete che mostrano a Gesù;dunque è evidente che, aldilà della loro posizione verso gli occupanti, si servono degli strumenti e delle strutture economiche romane per i loro affari e commerci.



Per questo Gesù risponde: "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare".

Senza con ciò legittimare il potere di Roma, Gesù si limita ad una constatazione di fatto: l'imperatore esercita un governo e un'amministrazione e dunque è leale pagare i tributi.

Ma ciò che sorprende di più i suoi interlocutori è la seconda parte della risposta, con la quale afferma: “rendete a Dio quel che è di Dio”.

Egli non prende una delle due posizioni come volevano i suoi avversari, ma da un lato riconosce l'autonomia della sfera politica, civile ed amministrativa, dall'altro ne delimita chiaramente i confini.



Fatte queste premesse di ordine storico, a questo punto dobbiamo fare due considerazioni.

La prima è che la sfera politico – civile non può essere superiore a quella religiosa, ossia lo stato non può imporre leggi che vadano contro la legge morale data da Dio, Dio è l’Assoluto per eccellenza, tutto viene dopo di Lui ed in funzione di Lui.



La seconda è questa:  riconoscere Dio come "Assoluto" non significa diminuire i doveri verso lo stato: se mai il contrario, i credenti devono essere anche cittadini esemplari, rispettando le leggi; quindi, per stare all'argomento della controversia evangelica, "pagare le tasse" non è solo dovere civico, ma anche morale e religioso.



Perciò non è ammissibile l’evasione fiscale, così come non è ammissibile sottopagare il lavoro altrui, distruggere, il bene comune, inquinare il pianeta e via dicendo. Se si vuole essere buoni cristiani si deve tener conto dei doveri civili che regolano la civile convivenza fra i fratelli.



A Dio quel che è di Dio, ma tutto proviene da Dio, per questo tutto merita rispetto assoluto e condivisione perfetta, a Lui dovremo rendere conto di come avremo amministrato i beni che ci son stati affidati.


Vorrei concludere con un brano tratto da un commento di Padre Augusto Drago che trovo bellissimo

Svegliati tu che dormi! Svegliati cristiano che ti sei fatto assorbire dalla mentalità di questo secolo: dai gloria a Dio nel tuo impegno temporale, e santificherai con il tuo lavoro la storia e la dignità oltre che la qualità della vita!

Dare a Dio quel che è di Dio adesso ci appare chiaro!

Dio ci ha dato tutto e noi siamo chiamati a dare a Dio "Tutto".

Il tutto del nostro lavoro, il tutto dei nostri impegni nel mondo, il tutto della nostra professionalità, il tutto delle nostre qualità. Che significa tutto questo? Solo una cosa: mettere a disposizione del bene del mondo quello che Dio ci ha donato.



Allora anche noi potremo cantare il Grande Hallel:

Lui solo ha compiuto grandi meraviglie,

perché eterna è la sua misericordia!

Lui solo ha creato il cielo e la terra,

perché eterna è la sua misericordia,
e così via, fino ad arrivare all'ultimo stadio del riconoscimento dato a Lui:
Egli dona il cibo ad ogni vivente, perché eterna è la sua misericordia.
Rendete grazie al Dio del cielo e della terra, perché grande è la sua misericordia.


La misericordia diventa il canto di danza che, ritmando i legittimi desideri dell'uomo verso la propria dignità e la propria vita, rendono tutto il mondo, tutta la creazione, tutta la storia, tutto il vivere umano, un meraviglioso canto di Misericordia

Date a Dio quel che è di Dio! Nulla di nostro riteniamo per noi!


 Enzo: Vorrei aggiungere ancora una idea che mi sembra importante per la vita di ogni cristiano.

E' vero che dobbiamo ubbidire, osservare le leggi etc. ma è altrettanto vero che potremmo cambiare in meglio le leggi se ci impegnassimo di più anche nella politica. Considero un atto di omissione non farlo, e disinteressarsi completamente è qualcosa che grida a Dio per il sangue sofferente di tanti innocenti, dei poveri, dei perseguitati…

Non possiamo difendere il Vangelo se poi non imitiamo nelle parole e nei fatti l'operato del Maestro.

In questo modo diventiamo testimoni di noi stessi, del nostro quieto vivere ma non testimoni credibili che non danno né a Cesare né a Dio. Cesare va aiutato, Dio vuole che manteniamo in noi la sua immagine immacolata e divina.

 Mariella: ogni peccato di omissione provoca intorno a noi dolore e pianto, di questo dovremmo essere più consapevoli!

Enzo: Se fossimo più consapevoli del dono ricevuto, saremmo anche solo cristiani modesti, ma cristiani; poveri ma cristiani.  

Dio non vuole strangolarci, ma vuole che se modesti facciamo cose modeste, se dotati cose dotate.



Capiamo tutti questo? Se sì, alziamoci e andiamo a salvare il mondo. Diamo a Dio quello che è di Dio, dando a Cesare quello che è di Cesare.


Avviso: sulla pagina di Padre Augusto potetre trovare un suo commento al Vangelo di domenica.

venerdì 10 ottobre 2014

Il Regno dei cieli non è un regalo: sgorgato dalla passione, morte e risurrezione di Gesù va conquistato.




Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.

Domenica XXVIII  del tempo ordinario 12 ottobre 2014



Dal vangelo secondo Matteo 22,1-14

Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio.
Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”.
Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero.
Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora
ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”.
Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la
sala delle nozze si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale.
Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di
denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

Parola del Signore! 

Mariella: lo Spirito del Signore sia su di noi e ci guidi alla verità. Amen!

 Leggendo questo brano evangelico tre sono le immagini che devono colpirci e farci riflettere
 - Una sala vuota, preparata per una festa alla quale nessuno partecipa. Eppure era un dono! Non c'era nessun biglietto d'ingresso. Perché gli invitati a nozze non sono entrati?
Dio, Creatore e Padre di tutti gli uomini, rispettando la loro libertà, li invita a partecipare alla sua vita, alla felicità che è Lui. E’ un invito rivolto a tutti, non esclude nessuno buoni e cattivi sono chiamati a questo banchetto, eppure la sala resta vuota!

- Le strade, crocevia dei servi che vanno a chiamare i passanti e di questi ultimi che transitano per raggiungere le loro occupazioni. La strada, simbolo della libertà delle scelte: alcuni la percorrono verso la festa, altri verso i campi e gli affari.    I servi del re sono tuttora per le strade del mondo ad annunciare il vangelo, cioè ad invitare tutti, buoni e cattivi, a partecipare a quella gran festa che è l'amicizia con Dio. Alcuni accolgono l’invito, altri invece, troppo impegnati a vivere una vita fatta solo di materialismo, rifiutano la chiamata, anzi arrivano perfino ad uccidere i servi che disturbano la loro coscienza.

- La terza immagine è l'abito nuziale. Abito necessario per chi vuol far parte della festa L'uomo che ne è sprovvisto non porta il suo contributo di bellezza, possiamo dire che non s’è rivestito di Cristo, ossia non ha saputo imitarlo e testimoniarlo con la propria vita.

L’inizio di questo brano potremmo definirlo gioioso, il Regno di Dio ci viene presentato come un re che fece una festa di nozze, un banchetto regale.  Mentre invece verso il termine del brano la scena cambia e assume un significato severo.

A questo punto potrebbe sorgere spontanea una domanda: perché mai il re s’inquieta così tanto a causa di questi ultimi personaggi ammessi al banchetto che non si vestono adeguatamente all’occasione?  Infondo il re non aveva discriminato i più miserabili, quelli che si trovavano a passare in quel momento per la via, li aveva fatti chiamare tutti quanti, così come si trovavano in quel momento.

L’insegnamento che scaturisce dal brano è questo: Dio ci accoglie così come siamo, o per meglio dire ci viene a cercare proprio là dove ci siamo lasciati sedurre dal mondo e abbiamo perso la nostra dignità di figli, lascia che entriamo al suo cospetto nella situazione in cui ci troviamo in quel momento, ma non tollera che noi ci adattiamo ad essa. Egli attende il nostro impegno, la nostra quotidiana conversione: è questo l'abito nuziale che ci viene richiesto.

Non è certo una parabola tiepida quella che stiamo meditando, vuole farci capire che la fede è una cosa seria, non un cammino occasionale, ma un impegno costante e decisivo verso la conversione vera, quotidiana ed esigente!.
Una domanda deve inquietarci: in che stato è il nostro abito nuziale? Lo abbiamo forse anche noi dimenticato nell’armadio?

Enzo: Sì, una domanda veramente inquietante...Lo Sposo, Gesù, vuole fare festa con la sua sposa, la Chiesa. una chiesa santa e immacolata, responsabile, cosciente dell'amore dello Sposo...una responsabilità libera ma capace di tirarsi indietro. Ma che speriamo, non debba capitare mai!

Gesù in queste domeniche in mille salse ci sta presentando il Regno dei Cieli che è venuto ad instaurare in mezzo a noi, a stabilire una nuova alleanza. Capire il Regno dei cieli vuol dire anche aderire, volere raggiungerlo.
In questa parabola  «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio”.

Già nell’Antico Testamento l’alleanza con Dio era raffigurata da immagini nuziali. Isaia così presentava sotto il simbolo di un banchetto l’era messianica:

Isaia  25, 6-10

“Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte,
un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati.
Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni.
Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato.
E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse.
Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza,
poiché la mano del Signore si poserà su questo monte”.

Parole di speranza, la fine della morte in queste parole  di Isaia per un futuro migliore, futuro di prosperità, in vista di un Regno stabile dove il Re farà festa come in un banchetto nuziale, mentre nelle parole di Matteo si intravede la prospettiva escatologica e il giudizio finale: il re che prepara le “nozze”  del figlio vuole indicare che è giunta l’età della salvezza e il suo compimento in Gesù

Leggendo attentamente questi versi vediamo l’assonanza della parabola appena letta. Il Figlio del Re  è il Messia, per Lui è preparato un banchetto di lusso al quale tutto il popolo eletto è invitato a partecipare.
Come in ogni festa nuziale ci sono degli invitati speciali ma questi declinano l’invito, ma senza invitati non è una vera festa.

Il Re , Dio Padre, non fa distinzioni tra buoni e cattivi: per tutti invierà suo Figlio, sposo dell’umanità redenta. Alla libertà dell’uomo la scelta…a Dio poi il giudizio: tutti siamo stati avvisati, non è una minaccia ma un atto di giustizia.

La risposta all’invito divino a partecipare al banchetto è dura e negativa, al punto che ci si accanisce perfino sui servi che comunicano l’invito, cioè i profeti (come già era accaduto nella parabola precedente dei vignaioli).

Nella seconda parte il re procede a nuovi inviti: tutti, buoni e cattivi, sono convocati alle nozze, è ormai l’apertura a tutti i popoli. Tuttavia, anche per costoro vale la necessità di un’adesione autentica e totale (rappresentata dal simbolo del mutamento di veste, l’abito della festa), cioè della propria realtà interiore. Secondo il valore biblico di questa immagine: le opere della giustizia devono accompagnare la fede.

 L’essere entrati nella sala non è ancora una garanzia: occorre essere in ordine, convertiti, vigilanti.
“Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale”.

Quell'uno rappresenta i tanti, i molti....  

“Le Sacre Scritture infatti c'insegnano ch'esistono due banchetti del Signore: l'uno è quello al quale partecipano i buoni e i cattivi, l'altro è quello dal quale sono esclusi i cattivi. Ecco perché il banchetto del Signore, di cui abbiamo sentito parlare durante la lettura del Vangelo, comprende precisamente buoni e cattivi. Tutti coloro che si scusarono dal partecipare a quel banchetto sono i cattivi; ma non tutti quelli che vi presero parte sono i buoni”. (“Sant’Agostino)

“Ne trova uno solo e dice: "Ne sia gettato fuori un gran numero, ne rimangano pochi". Infatti dire: Molti sono i chiamati, ma pochi sono gli eletti, non significa altro che mostrare apertamente come in questo convito ci si debba presentare in modo da poter essere condotti all'altro convito al quale non avrà accesso nessuno dei cattivi”. (idem)

Bisogna indossare l’abito nuziale: L’'abito di nozze?  è la carità che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera.

Questa parabola rivista dall’evangelista Matteo per la sua comunità è da noi questa sera rivisitata per il nostro mondo di oggi. Non credo che sia cambiato molto da allora, prime comunità cristiane. L’umanità debole non cambia, ma la Parola di Dio rimane, la Parola che ci chiama e che vuole essere assecondata ci vuole coinvolgere , ci chiama alla carità, a rivestirci dell’amore con cui siamo stati amati da Dio.
Ecco l’abito nuziale che dobbiamo sempre indossare come se fossimo invitati ogni giorno al Banchetto Celeste: l’Amore per Dio e il prossimo. Tutti siamo chiamati…cerchiamo con forza e con l’aiuto divino di essere tra gli eletti.
Il Regno dei cieli non è un regalo:
sgorgato dalla passione, morte e risurrezione di Gesù va conquistato.


Mariella: Il Regno dei cieli va conquistato:siamo chiamati  a rivestirci dell’amore con cui siamo stati amati da Dio.
Questo è l'abito che spesso dimentichiamo nell'armadio, dobbiamo trasformare il nostro cuore ogni giorno, in un cammino di conversione continua.

Enzo: Questo brano, iniziato con delle note festive, sembra lasciare in noi una nota triste...quell'abito dimenticato nell'armadio...
Ma il vangelo non è tutto in questa pagina, in questa parabola.
Sappiamo e ricordiamocelo spesso, che abbiamo un Padre misericordioso che ci attende, cha ha pronto un vitello grasso e dei vestiti regali con cui coprirci...

Mariella: é certamente un brano impegnativo quello appena letto e meditato che ci chiama in causa anche nella testimonianza cristiana perché in un certo senso anche noi siamo un po’ come quei servi inviati per le strade a cercar commensali.
Siamo convincenti perché abbiamo già partecipato a questo banchetto? O la nostra partecipazione è del tutto marginale?

Enzo: Spero che il Maestro guardi la nostra buona volontà e che il suo Spirito ci faccia sempre sentire la sua voce: da soli, saremmo come una campana stonata, i cui rintocchi si perdono nell'aria o come un disco stanco che sa soltanto graffiare parole e musica.

giovedì 2 ottobre 2014

"A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti"




Il regno di Dio non è un possesso e neppure un privilegio
 
Domenica  XXVI del tempo ordinario – 5 ottobre 2014





Dal vangelo secondo Matteo 21,33-46


Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.

Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono.
Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.

Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”.  Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”.
Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.

Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».

E Gesù disse loro: “Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi. Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.
Chi cadrà sopra questa pietra si sfracellerà; e colui sul quale essa cadrà, verrà stritolato».

Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta.

Parola del Signore!

Enzo:   In queste domeniche stiamo riflettendo su alcune parabole della predicazione di Gesù, parabole dedotte dalla vita ordinaria dei palestinesi di allora che rendono evidente alla fine il passaggio alla rivelazione e comprensione del Regno dei cieli.

L’immagine della vigna è stata sovente riportata nei testi dell’antico Testamento dai profeti Osea, Isaia, Geremia, Ezechiele e dal salmo 80: tra questi soprattutto in quelli di Isaia  che descrive la monotona storia del suo popolo. Da una parte l’amore e le preoccupazioni di Dio e dall’altra il continuo allontanamento da Dio che si aspettava uva pregiata ed invece ebbe uva scadente. A questo punto non resta che il castigo: la vigna cadrà in rovina, non sarà più coltivata e vi cresceranno pruni e rovi. Una storia che non potrà durare all’infinito e ci sarà un giudizio.
“Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.
Chi cadrà sopra questa pietra si sfracellerà; e colui sul quale essa cadrà, verrà stritolato”.


In questa parabola gli agricoltori della vigna indicano i capi dei giudei, i servi mandati dal padrone simboleggiano i profeti, portavoce di Dio al suo popolo. Gesù, raccontando questa parabola manifesta la sua consapevolezza  della sorte che lo attendeva, la stessa dei profeti. Quale Figlio del Padrone Gesù verrà gettato fuori della vigna e poi ucciso.

Gesù, quale pietra d’angolo della nuova Chiesa sarà scartato dai “guardiani della Legge” come pietra non adatta. Ma Dio Padre farà di Gesù la pietra d’angolo del nuovo tempio spirituale costituito dalla comunità messianica.

In questa parabola vengono precisati due punti:
- il castigo consiste nel fatto che il popolo eletto, gli ebrei,  ha tolto di mezzo i suoi profeti e alla fine addirittura uccide il Messia. E’ un duro giudizio su Israele ed è un perenne avvertimento per gli stessi cristiani: non ci sarà un altro Messia, una nuova redenzione, ma soltanto un giudizio finale

- Il secondo punto consiste nel fatto che il Regno sarà tolto ai capi d’Israele e sarà dato ai pagani, sarà tolto ai vicini (al popolo eletto? e passerà ai lontani ( a tutti i popoli della terra).
Anche questo è un duro giudizio su Israele e un perenne monito ai cristiani: l’evangelista Matteo manda un monito ai cristiani della sua comunità e a noi. Non basta un’adesione intellettuale al Vangelo ma bisogna “fare frutti” per non essere esclusi dal regno come i capi dei giudei (i vignaioli).

“Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di
loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta”.

Oggi Gesù parla ancora a noi. Una esortazione a dare una risposta oggi al brano del vangelo ci giunge dall’apostolo Paolo, nella seconda lettura della liturgia di domenica:

“In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri.
Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!”

Mariella:   Nell'antico Israele, la vigna rappresentava il popolo eletto di Dio, reso oggetto di continue attenzioni. Nonostante tutta la premura del suo Padrone, questo popolo si dà al peccato e và verso la sua distruzione, così come questa vigna che, pur avendo la possibilità di produrre tanto frutto,  non dà alcun risultato.
Ora, il fatto che questa vigna possa non dare frutti, in determinati contesti potrebbe anche essere comprensibile, ma ciò che risulta incomprensibile ed inaccettabile, è il fatto che essa produce frutti selvatici e velenosi! Essa risponde in senso opposto a quelle che sono le sollecitazioni e le cure del Padrone. 
Da questo racconto evangelico, dobbiamo sottolineare che risulta evidente un grossissimo rischio:  più cresce l’amore di Dio più si rischia il rifiuto da parte degli uomini, o viceversa: quanto più cresce la non accoglienza degli uomini, tanto più aumenta l’amore di Dio per loro.  Dio infatti non si stanca mai di recuperare l'uomo dal suo errore. Infatti, nella sua infinita misericordia, Egli va in cerca del peccatore e non si stanca di chiamarlo a conversione.  Per questo manda continuamente operai nella vigna, per curare e bonificare il terreno. 
Ora, nonostante questi vignaioli vengano violentemente uccisi, Egli non si arrende e vi manda suo Figlio, che non solo si limiterà solo a coltivare il terreno e curare le viti, ma perderà perfino la vita per questa causa.
Quale sarà dunque la posizione di Dio Padre nei confronti di questo popolo infedele?
Egli, che non manca di rispettare la libertà di ciascuno, consente che il popolo prediletto sperimenti la propria autonomia e indipendenza. 
Questa vigna dovrà quindi sopportate il peso dei suoi peccati e per conseguenza, la condizione di smarrimento che il peccato stesso comporta. Sarà preda di mercenari, ossia delle forze del male, nella misura in cui aveva mostrato indifferenza, o per meglio dire rifiuto  nei confronti dell'Amore,
 Il regno di Dio non è un possesso e neppure un privilegio, sarà dato ad un altro popolo che saprà farlo fruttificare.  In queste parole è evidente il riferimento che Gesù fa alla sua Chiesa
La Chiesa è dunque il nuovo popolo di Dio, chiamato a dare frutti di giustizia di amore e di pace.  . Nessuno può considerarsi proprietario del questo regno, perché questo è un regno di amore, dove tutti sono chiamati a farne parte già fin da oggi, a patto che sappiamo riconoscere il privilegio di appartenervi, sappiano accogliere la Parola, vogliano custodire il dono della fede. 
Infatti una società che bandisce Dio è una società destinata a scomparire, mentre una società che pone Dio al centro dei valori, crea dentro nelle persone un grande anelito di vita e di speranza.
Nel brano evangelico di questa domenica è racchiusa una grande domanda che il Signore pone a ciascuno di noi: a che punto sta il tuo cammino di fede? Siamo forse un po’ anche noi come quei contadini infedeli, che oltre a non portare frutto, arrivarono perfino ad uccidere il Figlio del Padrone, pensando così di ereditare il terreno con all’interno la vigna?  IL dono ricevuto della fede, va custodito, coltivato e testimoniato, solo così potremo essere certi che il Regno non ci verrà tolto!