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giovedì 31 luglio 2014

La moltiplicazione dei pani


 
Congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da

mangiare




Domenica XVIII del tempo ordinario 3 Agosto 2014


Dal vangelo di Matteo 14,13-21



Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i

loro malati. Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è

deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da

mangiare».

Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da

mangiare».

Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!».

Ed egli disse: «Portatemeli qui».

E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.

Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene.

Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
                                                                                                                             Parola del Signore!
 
Pubblichiamo anzitutto un commento di Padre Augusto Drago

XVIII Domenica del Tempo Ordinario: la domenica della moltiplicazione dei pani! Deve essere stato un segno straordinariamente significativo, questo, se tutti e quattro gli evangelisti lo hanno raccontato. Matteo e Marco addirittura due volte! Segno evidente questo, che la Comunità primitiva aveva intravisto nel miracolo di Gesù, già il segno della santa Eucaristia.
D'altra parte le Parole con le quali Gesù prende il Pane e lo benedice, sono le stesse identiche di quelle dell'ultima cena.
Non erano tempi facili quelli che stava attraversando Gesù. Erode Antipa aveva fatto massacrare Giovanni Battista solo per piacere ad una donna arsa di vendetta!
In quella morte Gesù presenta la sua.
Ed è proprio questo il motivo che lo spinge verso un luogo solitario, il deserto. Lì, da solo, potrà stare un pò di tempo con il Padre. Rinfrancarsi della Sua Presenza.
Trovare forza e conforto per proseguire la sua missione sino alla fine.
Egli infatti sa bene, che come Giovanni, anche Lui subirà la stessa pena dei profeti: la morte.
Solo che la sua sarà la morte più ignominiosa che possa esserci: quella della Croce, là dove venivano giustiziati i malfattori! Ma Gesù non riesce neppure per un istante a rimanere solo.
La gente lo aveva preceduto, avendo intuito le sue intenzioni.
Gesù non ha un attimo di tregua. E' venuto a servire e non per essere servito.
E dimentico del suo dolore e del suo desiderio di stare un po con il Padre, subito si mette al "lavoro": il "lavoro" della compassione e della Predicazione accompagnata da segni, prodigi e miracoli.
Non ha un momento di tregua il "povero" Gesù! E' venuto apposta per questo: per non avere tregua e per donarsi sino in fondo.
Sa molto bene che la sua Vita non gli appartiene: essa appartiene al Padre e, per Sua Volontà, agli uomini, che con amore e dedizione totale serve ed ama.
Qui comincia il miracolo della moltiplicazione dei pani.
Era sera ormai e tutti erano rimasti talmente ammaliati dalle Parole di Gesù e dai segni che compiva, da dimenticare che l'ora si era fatta tarda.
Non c'è cibo. Non si può nemmeno andare a comprarlo a quell'ora tarda! Che fare?
Gli apostoli, costernati si chiedono dove possono andare a comprare del pane.
Gesù invece non parla di comprare. Parla di donare!
Ci sono cinque pani e due pesci in tutto. Non importa la quantità: importa il donare.
Quando si dona, anche il poco che si ha, diviene una moltitudine di dono che ristora.
"Date voi stessi da mangiare..." Qual è la logica di tutto questo?
Semplicemente quella di sapere imparare a condividere e a donare. Anche il poco che si ha!
Ed allora tutto si trasforma in VITA! L'Eucaristia è condivisione dell'UNICO PANE!
Condivisione dell'UNICA PAROLA!  Condivisione che rende famiglia di Dio il popolo a cui essa è donata.
Mi ricordo, un pò vagamente per la verità, di un libro scritto da Jean Vanier negli anni settanta: La Comunità, luogo della festa.
In questo libro il nostro autore, ricordo, scrisse presso a poco così:
"Il nostro tempo ha perso il senso della festa, e lo ha sostituito con quello del party.
La festa si ricollega ad una tradizione familiare e religiosa.
Non appena la festa si allontana dalla tradizione, tende a divenire artificiale ed occorrono, per attivarla, degli stimolanti, come per esempio l'alcool, la droga, e simili. Non è più festa!
La nostra epoca ha il senso del party, cioè dell'incontro in cui si beve, si mangia, ci si diverte, ci si droga. Si organizzano dei balli e dei divertimenti: la nostra epoca ama lo spettacolo della vita, ma non la vita! Ha perso il senso della festa.
Gesù nel Vangelo di oggi invece ci parla, in filigrana, proprio della vera festa: quella di cinque pani e di due pesci che, grazie alla solidarietà, diventano moltiplicati a dismisura: e tutti mangiano e fanno festa. La festa della condivisione. La festa dell'Eucaristia.
Quel popolo che era accorso nel deserto era "non popolo" perché non aveva ancora incontrato Gesù. Egli si era commosso per loro, perché lo seguivano, perché sentivano che la loro vita non bastava a se stessa. Erano come pecore erranti senza pastore.
In quel commuoversi, in quel sentire compassione da parte di Gesù, sono dette insieme tutta la grandezza della vita umana e tutta la pochezza che il Signore ben conosce.
Ed ecco il frutto della commozione: la moltiplicazione dei pani!
Solo chi si commuove per chi ha bisogno, sa condividere anche il poco che ha: e tutto diventa benedizione e vita.
Gesù ci invita a questa commozione: sentire il bisogno del fratello e a non nasconderci dietro a quell'espressione "ho poco per me" e non posso.
Non abbiamo capito che dal poco Dio fa nascere la ricchezza vera, che è la dignità della vita?
Questa è Eucaristia! Eucaristia dove l'unico Pane diventa vita per tutti!
Insieme al pane c'è il pesce.
Perché non si vive solo del necessario. Il pane è il necessario. Ma bisogna anche far festa. Ed ecco i due pesci.
Il companatico, ciò che accompagna il pane e lo rende più gustoso e saporito.
Questo significa che non si vive solo dell'atto eucaristico, ma occorre rivestire di "companatico" l'Eucaristia ricevuta.
Il companatico eucaristico è l'Amore di condivisione con l'uomo: esso moltiplica la vita.
Ed è festa per tutti.
Quando la festa è solo per pochi, per quelli che possono permettersela, non c'è vera festa.
No! Non c'è vera festa fino a quando c'è un uomo, una donna, un forestiero che non possono partecipare al nostro banchetto perché non invitati.
La scusa è:" ce n'è poco per noi...."
Questo, oggi specialmente, questo è molto vero.
Ma se ci sono dei cristiani che, seguendo le orme di Cristo, sanno donare e condividere il poco che hanno, allora si può far festa vera, perché si moltiplica l'Amore e la solidarietà.
Nasce una nuova qualità di vita! Molti di noi pensano all'Eucaristia come ad un semplice atto di culto spirituale, intimistico. Ma questo non basta, non può bastare, non deve bastare!
L'Eucaristia deve tramutarsi in un potente moltiplicatore di solidarietà e di Amore. Allora si continuerà a perpetuare il miracolo della moltiplicazione dei pani che Gesù benedice, spezza e dona, attraverso le mie e le tue mani fratello e sorella!
E allora tutti saremo seduti sull'erba là, dove il Buon Pastore conduce le sue pecore per ristorarle.
E sarà festa, quella vera!
Cosa facciamo per vivere l'Eucarestia dentro questo mistero di Amore e di condivisione?

Enzo Questa pagina di vangelo, così come l’evangelista l’ha tramandata, sembra essere la cronistoria di un fatto semplicemente accaduto. Pur nella sua visione miracolistica tutto sembra un fatto normale: non c’è la meraviglia come in altri miracoli di Gesù, non c’è stupore, non c’è acclamazione. Forse nessuno si è accorto di quello che Gesù aveva compiuto?
Gli stessi discepoli, a parte la difficoltà di dare da mangiare alla folla, fanno automaticamente quello che Gesù ordina, non chiedono spiegazioni.



Può sempre capitare che presi dal contingente giornaliero non ci si accorge del divino in mezzo a noi…



Il luogo dove si trovano non doveva essere molto distante da qualche villaggio se i discepoli vogliono congedare la folla “ perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare”.

E’ singolare l’operato di Gesù: 


- ordina alla folla di sedersi (lo stare insieme, la nuova assemblea che sostituirà le dodici tribù d’Israele, radunata dalla nuova assemblea intorno a Gesù e ai dodici apostoli;

- prega per ottenere il beneplacito del Padre per quello che si accingeva a fare: insegna così il valore della preghiera;

- benedice e spezza i pani: si compie il miracolo della moltiplicazione, frutto della compassione per la folla, e nuova manifestazione divina del potere soprannaturale in favore dei discepoli ancora dubbiosi, per incoraggiarli a superare ogni incertezza;

- diede i pani ai suoi discepoli e questi li distribuiscono alla folla: la chiesa nascente all’opera, destinata a continuare l’opera salvifica e misericordiosa di Gesù, invitata a spartire con gli altri i doni ricevuti evitando il ripiegamento su se stessi.


L’agire di Gesù va oltre la moltiplicazione di quei cinque pani e due pasci: questa è un segno anticipatore prossimo a realizzarsi, una realtà che perdurerà nei secoli, un segno che anticipa l’Eucaristia, il suo corpo donato per sempre al popolo di Dio sarà al centro della cristianità futura.

La celebrazione eucaristica sarà il nucleo centrale nella comunità ecclesiale, rinnovo della nuova Pasqua, sacrificio offerto in remissione dei peccati dalla comunità di fratelli e di poveri in memoria di Gesù.

Richiamerà sempre alla disponibilità per un servizio sempre più libero, spontaneo, che si identifica con il servizio di Dio a tutti gli uomini.

Gli apostoli e i suoi successori avranno il mandato, in quel famoso Giovedì, di rendere possibile per i secoli a venire il ripetersi di un si grande miracolo nella Chiesa: “Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò, lo diede loro dicendo: Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me” Lc 22,19



Forse questa sera abbiamo letto e commentato la pagina più bella della storia di Gesù in mezzo a noi.


Giuseppe   Quante volte, abbiamo ascoltato e letto questa pagina di vangelo! Quante volte abbiamo creduto di aver capito tutto! Ma la Parola nasconde mille e mille trabocchetti linguistici, di traduzione, di incontro con l’anima e la sensibilità di ognuno di noi.
Gesù ci dice: aiutami! Se mi darai il minimo dei minimi, un solo millesimo di millimetro di te, Io ne farò una meraviglia, un miracolo grande, anche se tu forse non lo saprai, non te ne accorgerai.
Ecco, allora, quanto è importante  quel briciolo di tempo, quella cellula d’amore  Nel cantico dei cantici leggiamo che l’amore è forte come la morte. Ed io dico che Gesù è venuto a insegnare a noi che, addirittura, senza rinnegare il passato, grazie a Lui, l’amore è divenuto più grande ancora della morte.
Un piccolo, forse inutile esempio, lo sto vivendo con la mia semplice eppur vulcanica scelta di vita, quella di amare, anche attraverso il servizio umile e discreto. 
Sta a chi mi conosce “vedere”, attraverso la mia vita, il mio amore per Dio!

venerdì 25 luglio 2014

IL REGNO DEI CIELI E IL SUO TESORO



TRE PARABOLE SUL REGNO DEI CIELI


Domenica XVII del tempo ordinario 27 luglio 2014 

 
Il Signore ci doni il suo Santo Spirito per poter comprendere e diffondere la sua Parola

Dal vangelo secondo Matteo 13,44-52

Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.

Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle

preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.

Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie

ogni genere di pesci.

Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi.

Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.



Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì».

Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un

padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».


Parola del Signore!

Enzo:Ancora tre parabole, brevi ma importanti, per sottolineare l’abbandono senza riserve e senza compromessi al Regno di Dio, indicano il motivo che spinge il discepolo a lasciare e ad aderire a Gesù: la gioia di averlo trovato.


Come colui che trova un tesoro nascosto e vende tutto per comprare il campo e così venire in possesso del tesoro trovato; come il mercante alla ricerca di perle che trovata la perla di grande valore vende anche lui tutto per comprare la perla tanto desiderata e cercata.



Un’occasione improvvisa per l’uomo del tesoro nascosto nel campo, una ricerca voluta per il mercante che trova finalmente quello che cercava. Due modi per incontrare Gesù, il grande Tesoro, e aderire poi a Lui con la certezza nel cuore. A tutti è offerta la possibilità di decidersi per il Regno di Dio e l’opportunità di conseguire la salvezza.



La terza parabola, diretta principalmente ai discepoli, ci indica due tempi distinti: quello della pesca e quello della scelta dei pesci.



Quello della pesca: «Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini» Mt 4,18-22. nella libertà che il Signore ci dona nella scelta di seguirlo o di prendere altre strade, abbiamo sempre più possibilità di decidere quando diventare “strumento del Signore”.



Quello della scelta dei pesci: “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» Lc17,10 La risposta alla chiamata del Signore è un invito al servizio, è un dono divino totalmente gratuito che esige una risposta anch’essa gratuita: la ricompensa è Dio stesso Non siamo noi a scegliere ma è Lui che sceglie noi, e questo ci fa sentire importanti ai suoi occhi.



La scelta dei pesci che i pescatori fanno dopo la pesca è un lavoro minuzioso per evitare che assieme ai pesci buoni rimangano dei pesci cattivi ( detti impuri secondo le consuetudini ebraiche per quei pesci privi di pinne e di squame, e ne era proibito il consumo).

Questa scelta indica la cura della Chiesa verso i fedeli, non un giudizio che spetta solo a Dio; contemporaneamente è  una sollecitazione dell’evangelista ai lettori a decidersi per il regno dei cieli per sfuggire alla dannazione eterna, quando nel giudizio finale gli angeli separeranno “i malvagi di mezzo ai giusti”.



Tornando al brano a scanso di equivoci arriva la spiegazione di Matteo con le parole messe in bocca a Gesù:“Avete compreso tutto questo?”

 E’ una domanda sicuramente rivolta alla sua comunità e non ai discepoli che seguivano storicamente Gesù, in particolare a  coloro che erano o dovevano diventare le guide spirituali nelle comunità cristiane ( ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli).



Questi sono simili ad un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche: il Tesoro rappresenta le Scritture, Antico e Nuovo testamento: dei due il Nuovo testamenti è la pienezza, il compimento della legge.



Il Vangelo non annulla la Torà, le “cose antiche”, anzi la conoscenza  della storia degli interventi di Dio per il suo popolo per formarlo, per educarlo con bontà e misericordia e a volte col castigo, è indispensabile per comprendere meglio la novità del vangelo di Gesù.



 Bontà e misericordia non sono un annuncio morale, come spesso avviene, ma una notizia nuova, di gioia,  di amore misericordioso del Padre.



Non lasciamo che la chiamata che abbiamo avuto sia vana…………………


Mariella: Con questo brano continuano le parabole intese a far capire cosa sia il Regno di Dio e come si possa instaurare in questo mondo.

Anzitutto vorrei riportare alcune riflessioni che mi sono venute in mente  leggendo il suddetto brano con attenzione:
 
prima cosa: a proposito del tesoro nascosto si legge: “un uomo lo trova” potremmo pensare che per trovarlo ci vuole fortuna, non a tutti succede di trovarlo, viene spontanea una domanda: noi ci sentiamo fra questi fortunati?

Oppure siamo piuttosto fra quelli che non lo hanno mai percepito questo tesoro nascosto,  e quindi siamo lontani dalla sua esistenza?

Seconda cosa: se siamo a conoscenza dell’esistenza di questo tesoro, di 

questa perla preziosa, di questa pesca miracolosa, la stiamo cercando? 

Non si troverà mai nulla se non si cerca sempre e continuamente. Luca 

nel suo Vangelo riporta le parole di Gesù: "Cercate e troverete..." (11,1-13)



Terza cosa: l’uomo e il il mercante, protagonisti del brano, vendono tutti i loro averi pur di ottenere il tesoro nascosto e la perla preziosa.  Ma vendere i propri averi significa rinunciare al proprio egoismo, rinunciare a  valori materiali per arricchirsi di doni spirituali; significa mettere Dio al primo posto nella vita, significa scegliere di vivere secondo il Vangelo e non secondo le regole del mondo.  Significa vivere nell’ottica del Regno di Dio.



Ma che cos'è il regno di Dio, e chi ne fa parte?

Possiamo tranquillamente dire che il regno è la signoria di Dio sul creato e a questo Regno  appartiene solo chi riconosce questa signoria. E' una realtà in continua crescita, infatti Gesù insegna a pregare chiedendo: "Venga il tuo regno”  Riconoscere la sua esistenza è come aver trovato un tesoro, una perla preziosissima e fatta una pesca abbondantissima.



Appartenere al regno significa dunque vivere da saggi: ossia non essere orgogliosi o presuntuosi al punto da ritenersi autosufficienti, né distratti o superficiali tanto da non distinguere i veri dai falsi tesori. Significa stare dalla parte di Dio, fare la sua volontà, accogliere e ricambiare la sua amicizia



Il Vangelo termina con questa espressione: "Avete compreso tutte queste cose? per capirle, non è difficile; ma per accoglierle, condividerle, farle nostre, ci vuole molta volontà e determinazione: ben pochi sono disposti a superare i propri egoismi e scendere dalle proprie certezze per cercare la volontà di Dio.



Per riuscire a cambiare radicalmente noi stessi dobbiamo veramente chiedere il dono dello Spirito Santo come fece Re Salomone, che per poter governare saggiamente il suo popolo, non confidò nella sua potenza, ma solo ed esclusivamente sulla sapienza di Dio.

Pertanto, non dormiamo sonni tranquilli sugli allori delle nostre certezze, perché chi vive di certezze ha già smesso di cercare. Accogliamo invece l’invito alla conversione vera, ben sapendo che Dio non cesserà mai di donarci il suo Amore, quello stesso Amore sempre antico e sempre nuovo che accompagna il cammino dell’umanità. 


Anna: Questo brano del Vangelo mi fa ritornare alla mente quella frase che dice: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua Croce e mi segua” e ancora: “se vuoi essere perfetto và vendi quello che possiedi dallo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli”. Gesù questa sera ci parla di una Perla di grande valore e il mercante vende i suoi averi pur di averla .... il Signore spiega ad ognuno di noi che per Amare Lui si deve lasciare tutto ...e deporre , il nostro cuore nel suo Cuore  per trovare la via del Cielo ...


Ma in pratica che significa lasciare tutto ? che cosa vuole Gesù da noi ? 

Gesù certamente non è assolutista .... ma ci insegna a liberarci dalle cose 
a non attaccarsi materialmente e spiritualmente alle cose esteriori, 

materiali ....ma ci indica la strada per guardare ogni giorno a se stessi 

cercando di cambiare rotta ossia essere altruisti e saper donare e amare come Lui ha amato.

venerdì 18 luglio 2014

Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo.



Non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano.


Domenica XVI  del tempo ordinario 20 luglio 2014

Il Signore ci doni il suo Santo Spirito per poter comprendere e diffondere la sua Parola



Dal vangelo secondo Matteo 13,24-43

Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo.
Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne
andò.
Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania.
Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del
buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”.
Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”.
“No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano.
Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”».
Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».
Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole,
perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: Aprirò la mia bocca con parabole,
proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.
Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo».
Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli.
Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo.
Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!


Mariella: Continua, nella domenica XVI del tempo ordinario, la lettura del capitolo 13 di Matteo, ossia il discorso in parabole, questo discorso si trova al centro, per sottolineare l'importanza del messaggio che l'evangelista vuole comunicare e per poter far arrivare il suo messaggio a tutti sfrutta delle tematiche vicine all'esperienza concreta della gente .

Esso tiene conto della vita di ogni comunità cristiana nascente, delle varie situazioni e delle difficoltà che incontra, delle domande e dei problemi che nascono nel cuore dei credenti.


Domenica scorsa abbiamo parlato della parabola del seminatore e degli insuccessi che Gesù e la Chiesa sperimentano. La parabola che segue è la prosecuzione di quella del seminatore. Si parla di un contadino che semina il proprio seme buono e si accorge che, accanto al proprio seme, cresce anche la zizzania

Ciò che meraviglia in questa parabola non è la presenza della zizzania, ma bensì il fatto che il padrone del campo non ordina di strappare la zizzania, ma di lasciarla crescere con il grano.

Ma come "lasciatela"? Il male va tolto, estirpato! Cos'è questa determinazione nel voler far crescere il grano con la gramigna?


Bisogna, secondo l'opinione comune, togliere la gramigna di torno, così finalmente potremo stare tranquilli!

Questo è proprio ciò che Gesù non vuole!

Egli non vuole una comunità ristretta di presuntuosi e duri di cuore che si atteggiano a giustizieri, simili a mietitori pronti a eliminare ogni possibile zavorra.

Gesù non confonde il bene col male, la sua non è faciloneria, ma annuncia che il tempo della separazione non è ancora arrivato e comunque,  per fortuna, non compete a noi il giudizio, sarà Dio a giudicare al momento opportuno!


Da Dio non viene il male, viene soltanto ciò che è buono, magari fragile, ma frutto dell'infinito desiderio di Dio di donarsi, eppure intorno a noi appare evidente il dilagare della zizzania, quanto dolore voluto dall'uomo, quanto odio, quanta ingiustizia, quanta cattiveria. Tutto questo non può non suscitare grandi domande: perché c'è tanto male nel mondo? Perché la presenza del regno dei cieli non ha eliminato dal mondo ogni tipo di sofferenza e di peccato? 

Ecco dunque riaffiorare la stessa domanda fatta dagli Apostoli: "Signore, se tu hai seminato del buon seme, da dove viene la zizzania?" alla quale  Gesù risponde: "Mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò”.


Riflettiamo sull'espressione “mentre tutti dormivano” ecco l'oscurità del cuore, nella quale l'uomo cade vittima del tentatore! Quante volte forse anche noi ci siamo assopiti, non abbiamo vegliato con la lucerna in mano e la cintura ai fianchi?


Quanto è facile restare intrappolati nelle maglie del tentatore e diventare zizzania anziché essere buon grano!

Quando viviamo nel buio delle tenebre non possiamo essere illuminati dal raggio di luce che è fede, amore, misericordia, carità, fraternità.


Eppure Dio non si stanca di attendere la nostra conversione, è sempre pronto a venirci incontro, ad accoglierci, a far festa quando ci pentiamo, a proposito della zizzania Egli ordina: “Lasciatela!”

Nessuno di noi è solo zizzania, così come nessuno è solo buon grano, nel campo del nostro cuore convivono il bene ed il male, Dio non ci elimina anche se lo rinneghiamo, ci riabilita con la forza del suo Amore!

Così anche le altre due parabole del seme e del lievito ci vogliono far capire come dobbiamo porci di fronte alla vita che ci è stata donata.


Quel piccolo granello che diventa albero capace di ospitare gli uccelli del cielo ci parla della forza vitale che è racchiusa nello scrigno di ogni vita umana. Il lievito non è forse una piccola cosa? Eppure fermenta una grande quantità di farina.

La forza della vita che genera e si rigenera è stata seminata in ognuno di noi, perché mai dobbiamo lasciarci soffocare dalla zizzania del male e non cercare invece quel pizzico di lievito che farà della nostra vita un buon pane fragrante?

 Una preghiera letta su internet desidero porgere al termine di questa riflessione.



Enzo:Tre parabole di Gesù oggi, tre parabole seguite da spiegazione: : da  una parte abbiamo le parabole di Gesù, dall’altra la spiegazione che va direttamente a chi ascolta, alla comunità.
Gesù è solito prendere dalla vita di ogni giorno lo spunto per i suoi insegnamenti: tra gli uomini vediamo la coesistenza del bene e del male, la zizzania non deve essere una sorpresa, non deve essere come un fallimento, un abbattimento: Gesù fu rimproverato per la sua bontà e tolleranza verso i peccatori e la prima parabola fa riferimento a coloro che offendono, oltraggiano, calpestano i giusti, i poveri, i peccatori, coloro che si erigono a giudici:
 “Vuoi che andiamo a raccogliere la zizzania?”.

La zizzania diventa scandalo dei “servi”, di coloro che non capiscono la politica di Dio, la pazienza di Dio,
è stato e forse lo è ancora scandalo nella Chiesa per la presenza al suo interno di buoni e cattivi correndo il rischio di un integralismo fanatico o di un qualunquismo disimpegnato: “le chiacchiere” e il “chi sono io per giudicare” di Papa Francesco. 

La parabola in questione  è una risposta agli avversari di Gesù, e contemporaneamente un messaggio di fiducia per i discepoli, un invito a vedere e manifestare la pazienza di Dio, a non anticipare il giudizio di Dio,
il tempo della mietitura, il tempo degli ultimi giorni quando si applicherà la sorte del grano e della zizzania, la sorte dei buoni e dei cattivi, e…sarà istaurato il Regno dei cieli.

Zizzania e grano riflettono la situazione attuale dei tempi di Gesù e dei nostri tempi: da una parte cresce la coscienza della missione universale, dall’altra le defezioni, l’allontanamento e abbandono del religioso.
C’è semplice adattamento nel nostro  modo di vivere di fronte alle difficoltà, pazienza nell’attesa, zelo ardente di chi vorrebbe fare giustizia da solo?

Siamo chiamati, e questo è il senso delle parabole del lievito e del granello di senape, a propagare, far crescere il Regno di Dio, ad essere seminatori e coltivatori della Parola, ad abbandonarsi senza riserve e senza compromessi al Regno dei Cieli, nutrendo in noi stessi la gioia di averlo trovato e aver infuso nei fratelli la speranza di una eternità felice.
Se abbiamo orecchi  ascoltiamo: è l’invito di Gesù.



Preghiera:

Impaziente di fronte a tutto ciò che nella vita mi è d'intralcio,

che non mi fa realizzare i miei progetti,

impaziente di fronte alle situazioni "stagnanti",

le cui soluzioni rimando o addirittura annullo.

La tua parola Signore mi educhi a comprendere

che non spetta a me eliminare, tagliare, bruciare

Pietà o Dio, per tutte quelle volte che ho giudicato al posto tuo,

non sono stato benevolo, ed impaziente non ho tollerato.



Pietà o Dio, per tutte le volte che ho mancato di speranza,

non credendo che dalle cose piccole potevano sorgere le grandi,

che il poco bene seminato poteva crescere smisuratamente.

Grazie o Dio Buono,

per tutta la pazienza che hai avuto nei miei confronti.



Grazie per aver aspettato e non avermi strappato alla vita

quando operavo il male.



Grazie per avermi dato tempo, concesso tempo

per riconoscere i miei limiti, il mio peccato, e pentirmi.   Amen




venerdì 11 luglio 2014

Ecco, il seminatore uscì a seminare.



Il seminatore semina abbondante e non sa quanto frutteranno tutti quei semi.
Domenica xv del tempo ordinario A: 13 luglio 2014

 
Dal vangelo di Matteo 13,1-23

Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare.
Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare.
Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse«Ecco, il seminatore uscì
a seminare.
Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli
e la mangiarono.
Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta
terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo,ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò.
Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono.
Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno.
Chi ha orecchi, ascolti».

Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato.
Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha.
Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.
Così si compie per loro la profezia di Isaia che dice: Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile , sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca!

Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano.
In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!
Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore.
Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada.
Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno.
Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del
mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto.
Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

Parola del Signore!

Mariella: Il Vangelo di domenica prossima ci fa leggere l'inizio del "discorso in parabole" del cap. 13 di Matteo.
La scena si svolge presso Cafarnao dove Gesù, salito sulla barca insegna a "una folla immensa”
Nel Vangelo di Matteo ha una importanza particolare il simbolismo dei luoghi nei quali viene collocata la vita e l'attività di Gesù,  il mare per Matteo rappresenta  l'universalità dell'uditorio al quale è rivolta la sua Parola che è per tutti, si diffonde sulle onde del mare, raggiunge orizzonti infiniti, tocca il cuore di ogni persona, in qualsiasi situazione si trovi.
Gesù parla di molte cose in parabole, parla come se fosse possibile scoprire le leggi del Regno  partendo dalla normale esperienza del lavoro quotidiano, dello scorrere dei giorni e delle stagioni. La parabola del seminatore è la prima di una lunga serie di "parabole del Regno".
Il racconto del seminatore è di una semplicità sconcertante. Il seminatore esce per seminare e getta il seme, non si preoccupa di scegliere il terreno, molti semi vanno perduti, solo quelli che cadono sulla terra buona danno frutto.
Quel seminatore ripone fiducia anche nei terreni più aridi e anche là  getta la semente, sperando che attecchisca, nessun terreno è scartato perché ogni terreno può mutare la sua sostanza ed il suo aspetto.
Il seminatore è Gesù,  terreno è il mondo, anche quella parte di mondo che è ciascuno di noi. Non è difficile riconoscere nella diversità del terreno la complessità delle situazioni del mondo e quelle di ciascuno di noi.
Possiamo certamente dire che in ogni cuore sono comprese tutte le diversità di terreno riportate dal Vangelo. Magari un giorno è più sassoso, altri meno, un giorno produce frutto abbondante altri è completamente sterile, in alcuni giorni i rovi. Una cosa è certa per tutti: il terreno, sassoso o buono che sia, deve accogliere il seme, ossia la Parola di Dio. Essa è sempre un dono, dono che rende possibile il Regno di Dio qui e ora, eppure occorrono occhi capaci di vederlo questo Regno, così come occorrono orecchi per accogliere la Parola e metterla in pratica!
Nel brano leggiamo anche che dalla folla si muovono alcuni discepoli che si accostano a Gesù e lo interrogano. "Perché parli loro in parabole"?   Gesù parla in parabole per farci capire, con esempi a noi vicini, che tutto ciò che esiste è segno dell’Amore di un Padre che riempie l'universo con i suoi doni, doni magari piccolini, mentre noi li vorremmo grandi.
Noi molte volte siamo attenti a cose del tutto terrene, il cui valore, anche se inesistente a livello spirituale, assume però sul fronte mondano un valore grande,
mentre il piccolo seme della Parola viene sottovalutato, soffocato e  non trova spazio per crescere e fruttificare.
Nella prima lettura di domenica prossima, il profeta Isaia scrive: "Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare... così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata".
Questo è quanto dobbiamo tenere ben presente: Gesù ci chiede di accostarci a Lui, diventare suoi discepoli, ma entrare nella sua intimità, accogliere con umiltà la sua Parola e farne una ragione di vita e trasmetterla agli altri. Solo così potremo crescere e fruttificare nella gioia cristiana!

Enzo: Spesso di questa parabola di Gesù si parla degli ascoltatori della parola che portano o meno frutto. E questo è vero ma il brano ha un altro insegnamento che riguarda i seminatori o meglio i predicatori, coloro che annunciano la Parola, dal semplice cristiano impegnato, ai catechisti, diaconi, sacerdoti, vescovi e mettiamoci anche il Papa e in prima persona il Seminatore per eccellenza, Gesù la Parola del Padre.
La parabola così incomincia:
 “Ecco, il seminatore uscì a seminare”. Il seminatore, non un seminatore...
Il seminatore dunque è l’attore principale in questa parabola: prepara il terreno, concima, ara, semina. In questi quattro verbi scorgiamo la preparazione di un lavoro forse pesante, faticoso, in vista di un raccolto abbondante ma incerto. Il seminatore sa tutto questo eppure va a seminare. Semina nel terreno che si è trovato, non lo sceglie, lui stesso è stato scelto, il suo seme cade in terreni di diverse qualità.
Il seminatore semina e non sa quanto frutteranno tutti quei semi. Eppure Gesù parla di raccolti abbondanti…non delude la speranza del seminatore, di chi annuncia la sua parola: a lui il compito di annunciare, buttare semi senza risparmio, senza guardare il terreno (gli uomini), senza pregiudizi, senza giudicare, senza stancarsi. La Parola  non è proprietà di chi annuncia, ma chi annuncia è consapevole che nel regno di Dio non c’è lavoro inutile, né spreco: bisogna essere ricchi di fede, di speranza, di amore e tanta, tantissima fiducia in Dio, imitando Colui che è Maestro nell’amare, nel semimare, nel donare e nel donarsi.
Ed ecco che dal seminatore passiamo ai terreni. Gesù dà una spiegazione della parabola ai suoi discepoli perché a loro è dato “conoscere i misteri del regno dei cieli”perché saranno loro a trasmettere, attualizzare la Parola, e mantenerla viva tra i convertiti: la garanzia di Dio!
Trasmettere cioè annunciarla a tutti senza distinzione alcuna; attualizzarla cioè incarnarla nella diversità dei popoli; mantenerla viva nelle comunità dei credenti insistendo sulle necessità di alcune disposizioni interiori e personali perché la Parola venga ascoltata, capita, interiorizzata, e badare affinché cresca in una libertà interiore subordinando ogni altro interesse alla fedeltà del Vangelo.
Chi annuncia ha davanti ogni sorta di uomini, ma crede fiducioso che tutti possono diventare “terreno buono che produce il cento, il sessanta, il trenta per uno”: al Signore spetterà il giudizio e il raccolto.
“Terreno buono che produce il cento, il sessanta, il trenta per uno” è l’invito finale di Gesù affinché si perseveri nella fede in lui.
A questo punto mi chiedo, chiediamoci: qual è il mio atteggiamento nel ricevere la Parola, e la mia disponibilità nel seminarla?

Anna,
non presente per impegni, ci ha inviato questo passaggio del commento di Mons. Tonino Bello:

…E c’è però anche il seme che cade nel terreno buono e che al momento opportuno germoglia e produce il trenta, il cinquanta, addirittura il cento per uno…Ecco il terreno buono: te bambina, te uomo, te donna…
…Speriamo che non ci siano mai sassi nel vostro terreno, mai spine. Che non passi mai sul vostro cuore il cilindro che getta catrame.
Che la parola di Dio possa crescere in voi, dare frutti a tal punto che la gente accanto a voi si senta consolata.
Ascoltiamo la Parola del Signore! Ascoltiamola! E’ una parola che ci provoca: E non è in linea con la logica umana. Ricordatevelo sempre!





Per i più volenterosi pubblichiamo nella pagina di Padre Augusto Drago un suo commento al vangelo del Seminatore: molto profondo e anche bello. Lo consigliamo...




venerdì 4 luglio 2014

Venite a me: Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero



XIV Domenica del Tempo ordinario 6 giugno 2014




Lo Spirito Santo ci coinvolga in questa preghiera-rivelazione di Gesù: un Dio che è Padre e che si preoccupa degli ultimi, degli oppressi, dei poveri che non possiedono ma che hanno uno spirito spoglio da legami terreni. Amen



Nessuno
conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

Dal Vangelo di Matteo 11,25-30
In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della
terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai
piccoli.
Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.
Tutto è stato
dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno
conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di
cuore,
e troverete ristoro per la vostra vita
Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero

Parola del Signore! 

Enzo:Abbiamo appena letto la più alta rivelazione di Gesù. Gesù svela il mistero della sua identità e si rivolge a persone semplici e umili, disponibili all’ascolto della Parola.
Gesù svela l’intimo rapporto di conoscenza e d’amore che lo lega al Padre. Solo Lui può conoscere e poteva rivelare il disegno salvifico del Padre e il Padre stesso.

La preghiera di Gesù suona come un inno di giubilo al Padre, giubilo di comunione divina, per un disegno eterno d’amore per l’uomo, disegno di alleanza con i più poveri.
La preghiera di Gesù, inno di giubilo si compone di tre parti:
-         Lode di Gesù al Padre
-         Rivelazione del Padre e della conoscenza reciproca tra il Padre e il Figlio
-         Invito di Gesù ad avvicinarsi a Lui che è mite ed umile di cuore e a prendere il suo giogo soave e leggero.

Questo inno-preghiera contiene dentro un esempio di preghiera, preghiera di lode e di azione e di comunione. Preghiera basata sulla conoscenza intima tra persone che si amano, dialogo e ascolto, effusione dell’amore come proposta verso gli altri, rivelazione, testimonianza, annuncio. Da qui l’invito di Gesù a seguirlo, andare da Lui, a seguirlo.
Gesù, inviato dal Padre, ha qualcosa da donare: ciò che era rimasto nascosto adesso è rivelato per benevolenza del Padre dal Figlio suo.
Un esempio per la nostra preghiera: conoscere, amare, dialogare, ascoltare, donarsi.

Questa Rivelazione è affidata al Figlio per coloro ai quali vorrà annunciarla, e si rivolgerà a quella parte del popolo di Dio, rimasta ultima, repressa, schiacciata dai potenti. Si rivolgerà “agli infanti”, a coloro che sono tenuti in poco conto nella società, alle persone umili, poveri ma liberi nello spirito, disprezzati quali ignoranti dai farisei, gli intelligenti, cultori intransigenti della legge, non disponibili ad accogliere il dono della salvezza, chiusi alla novità messianica di Dio.

La rivelazione non è stata negata (nascosta) ai saggi e ai sapienti della comunità giudaica, ma da questi è stata rifiutata, perseguita, condannata. La loro conoscenza della legge fu un ostacolo alla comprensione del messaggio di Gesù: la superbia e l’odio hanno avuto il sopravvento.

La sua dottrina, il suo giogo, se accettati liberamente per amore saranno veramente soavi e leggeri, sopportabili perché accettati, hanno come frutto la gioia come dopo una guarigione, la libertà di manifestarla come vedenti dopo una cecità, come la gioia per un bimbo che nasce per la pace donata ai fratelli, per la testimonianza di un dono ricevuto, per la speranza di una vita eterna beata.

Il “giogo” e il peso di Gesù sono la sottomissione al Regno di Dio, alla rivelazione di un Padre che  non impone ma mostra dei precetti da accogliere con amore perché libera dai gioghi e dai pesi da cui siamo circondati e oppressi e rende più facile conformarsi alla sua volontà.
Il cristiano è tale perché ama, non perché è ligio alle leggi.

Siamo chiamati da Gesù a prendere il suo giogo, a svelare ad altri l’amore premuroso e sommo con cui il Padre celeste si è presa cura di noi.

Mariella: Il brano evangelico appena letto potremmo dividerlo in due parti, la prima parte una preghiera di lode e ringraziamento a Dio e una seconda parte contiene un insegnamento fondamentale per la nostra spiritualità
Per capire la preghiera che Gesù rivolge al Padre, occorre ricordare che essa si colloca tra ripetuti episodi di rifiuto e ostilità verso Gesù, per opera dalle ricche città del lago di Tiberiade, dai farisei che si ritenevano perfetti nella pratica religiosa, dai capi del popolo preoccupati del loro potere.

Essi non hanno capito quello che oggi Gesù propone a noi, ossia che la verità non è posseduta da chi si ritiene autosufficiente, ma da chi comprende i propri limiti umani e si affida a Dio, i "piccoli" del Vangelo,  ovvero coloro che non si ribellano, non si sottraggono, non s'illudono, ma  cercano aiuto nella grandezza divina.
Piccoli sono i semplici, gli umili, i poveri nello spirito, quanti sono disponibili ad accogliere come un dono le attenzioni di Dio. Sono loro a "capire" davvero le cose di Dio, perché a Lui si affidano e di Lui si fidano.
"Venite a me voi tutti" dice Gesù nello stesso brano evangelici, quindi la proposta cristiana è rivolta a tutti, non ad alcuni soltanto. In realtà però questa proposta la faranno propria solo alcuni.
Seguire Gesù e praticare i suoi insegnamenti non è comodo, neppure facile, richiede rinunce e correzioni.
In particolare è disposto ad accogliere i suoi messaggi e a praticarli nel giusto modo solo chi in qualche maniera Gli assomiglia e coltiva nel suo cuore qualità essenziali  quali la mitezza, l'umiltà, la purezza.

"Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi”

Gesù non parla come un sapiente, ma come “Figlio obbediente” Egli conosce cosa significa accogliere la volontà del Padre; non scarica su di noi il peso dell'obbedienza, ma lo porta insieme a noi, è per noi esempio di santità.
Ciò che Lui vuole donarci è una strada sicura verso il bene, inteso anche come salvezza.  Gesù non propone un ideale impossibile superiore alle nostre capacità. 
Lo Spirito Santo viene in soccorso alla nostra debolezza aiutandoci a realizzare ciò che Lui ci propone
Per chi ama il Signore nulla è impossibile, tutto è accettabile, basta affidarsi a Lui che è esigente, ma che sa dare sostegno, ristoro e vera felicità.
Dio non è un concetto, non è una regola o una disciplina, Egli è il cuore dolce e forte della vita che pulsa nelle vene di ogni cristiano, è l'amore senza tramonto, è la gioia vera che non delude!

Un'ultima cosa vorrei porre alla nostra attenzione: dire di amare il prossimo non basta, bisogna amarlo come Gesù lo ama, con cuore mite ed umile, senza presunzione, senza pretesa, senza violenza, senza inganno! Solo così saremo noi stessi anche ristoro per gli altri.

Vogliamo accogliere questo invito ed applicarlo nella nostra quotidianità?

Anna: Riporto un commento di Benedetto XVI prima dell’Angelus:  “Oggi, nel Vangelo, il Signore Gesù ci ripete quelle parole che conosciamo così bene, ma che sempre ci commuovono: "Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita.
Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero" (Mt 11,28-30). Quando Gesù percorreva le strade della Galilea annunciando il Regno di Dio e guarendo molti malati, sentiva compassione delle folle, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore" (cfr Mt 9,35-36). Quello sguardo di Gesù sembra estendersi fino ad oggi, fino al nostro mondo. Anche oggi si posa su tanta gente oppressa da condizioni di vita difficili, ma anche priva di validi punti di riferimento per trovare un senso e una meta all’esistenza.
. Moltitudini sfinite si trovano nei Paesi più poveri, provate dall’indigenza; e anche nei Paesi più ricchi sono tanti gli uomini e le donne insoddisfatti, addirittura malati di depressione. Pensiamo poi ai numerosi sfollati e rifugiati, a quanti emigrano mettendo a rischio la propria vita. Lo sguardo di Cristo si posa su tutta questa gente, anzi, su ciascuno di questi figli del Padre che è nei cieli, e ripete: "Venite a me, voi tutti…".

Gesù promette di dare a tutti "ristoro", ma pone una condizione: "Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore". Che cos’è questo "giogo", che invece di pesare alleggerisce, e invece di schiacciare solleva? Il "giogo" di Cristo è la legge dell’amore, è il suo comandamento, che ha lasciato ai suoi discepoli (cfr Gv 13,34; 15,12). Il vero rimedio alle ferite dell’umanità, sia quelle materiali, come la fame e le ingiustizie, sia quelle psicologiche e morali causate da un falso benessere, è una regola di vita basata sull’amore fraterno, che ha la sua sorgente nell’amore di Dio.
Per questo bisogna abbandonare la via dell’arroganza, della violenza utilizzata per procurarsi posizioni di sempre maggiore potere, per assicurarsi il successo ad ogni costo. Anche verso l’ambiente bisogna rinunciare allo stile aggressivo che ha dominato negli ultimi secoli e adottare una ragionevole "mitezza". Ma soprattutto nei rapporti umani, interpersonali, sociali, la regola del rispetto e della non violenza, cioè la forza della verità contro ogni sopruso, è quella che può assicurare un futuro degno dell’uomo”. ([01051-01.01] [Testo originale: Italiano]